Ci sono suoni che ascoltiamo pur non riconoscendone l’origine e la fonte. Ci capita ogni giorno nella realtà rumorosa in cui viviamo. Ci sono altri suoni, ben distanti dalla definizione di rumore, che compongono quei sottofondi musicali con cui scegliamo di colmare ogni istante. Non sempre è facile distinguere ogni singolo suono e lo strumento che lo ha prodotto. Tra questi, uno non proprio noto a tutti, è il vibrafono. Di origine relativamente recente, il vibrafono è uno strumento a percussione che ricorda uno xilofono. Nasce come strumento jazz ma ben presto si dimostra adatto a tutti i generi musicali. Tra i suoi estimatori, incontriamo Roberto Celi, che attraverso questa pagina di LostHighways spera di far conoscere ai più il suono del suo strumento.
La sua biografia la racconta come un laureato in sociologia, un percussionista, un compositore, un arrangiatore e un vibrafonista, ovviamente. La passione per la musica rappresenta sicuramente il legante principale tra queste diverse attività. Qual è stata l’evoluzione che l’ha portata in questa direzione?
Sentirmi dare del lei mi trasmette una sensazione di importanza che non mi dispiace. Premetto che gli studi di sociologia sono un mio personale interesse che si è manifestato ed estrinsecato nel tempo. Comprendere al meglio la realtà in cui viviamo ed i suoi mutamenti sempre più veloci è necessario e lo sarà sempre più. La musica è di per sé un linguaggio universale attraverso il quale spesso si socializza: un gruppo di persone che ascoltano e condividono un brano musicale sono già molto più vicine fra di loro di quanto non possano esserlo in altri modi! E’ molto significativo anche quanto lo stare su di un palco suonando ed interagendo col pubblico serva per maturare ed acquisire consapevolezza di sé. Fin da piccolo ho avuto una naturale propensione per tutto ciò che riguarda il ritmo, un naturale istinto per esprimere stati d’animo ed emozioni in modo “cifrato”; percuotevo oggetti domestici, scatole vuote ed ogni altro oggetto utile che mi capitava a portata di mano o bacchetta, infatti ho iniziato suonando la batteria. Crescendo ho poi avvertito la necessità di avere a disposizione anche i suoni oltre al ritmo, ecco che quindi ho cominciato a studiare la teoria musicale per impadronirmi dei mezzi alfabetici (pentagramma e note) e realizzare forme espressive personali. Di lì a poco è avvenuto il “colpo di fulmine” che mi ha fatto comprendere che il vibrafono era il “mio” strumento; infatti ascoltandone il suono da un disco jazz del Milt Jackson Quartet ne sono rimasto letteralmente folgorato. Potrei in effetti dire che l’evoluzione (evolvere è un concetto intrigante) è stata nel cercare e trovare un linguaggio ed un mezzo che mi potesse consentire una comunicazione totale e trasversale con l’ambiente esterno, d’altra parte è lo stesso ambiente che mi ispira ed influenza nelle mie espressioni musicali che altro non sono che stati d’animo tradotti in suoni e ritmo.
Il vibrafono sicuramente non è uno strumento noto a tutti. Come nasce questa passione? Dice che non è stato casuale ma che vi siete cercati a vicenda. In che modo?
Certamente non è il più facile degli strumenti né da imparare a suonare e neppure da trasportare! Per me comunque si tratta di uno strumento straordinariamente contemporaneo, un po’ per le sue origini recenti (1922) ed un po’ per le sue caratteristiche uniche che consentono di unire ritmo, melodia, armonia e dinamica.
Per vari motivi lo si è spesso confinato nell’ambito della musica jazz dove peraltro ricopre in molti casi un ruolo da protagonista e leader grazie alla tecnica ed all’opera di grandi vibrafonisti, come ad esempio Gary Burton, che sono stati in grado di valorizzarne enormemente le possibilità.
Lo studio di uno strumento simile può svilupparsi attraverso le istituzioni tradizionali come i Conservatori, dove è presente nei programmi di percussioni, o rivolgendosi a Scuole e Maestri privatamente.
Per me è stato un “incontro” atteso dato che sentivo che poteva esistere uno strumento attraverso il quale veicolare la vasta gamma di sensazioni e stati d’animo; però necessariamente doveva possedere caratteristiche tali da astrarlo il più possibile dalla materia ed avvicinarlo allo spirito, all’anima.
Trovo che il suono del vibrafono abbia qualcosa di celestiale, che appartenga molto poco ai rumori e alla velocità della terra. Con il suo suono sembra fermare il tempo per qualche istante. Lei come lo descriverebbe?
Come scrivo nel mio sito: “una sorta di astronave con cui abbandonando la dimensione spazio-tempo si entra in un ambito onirico”.
Come vibrafonista ha una carriera solista, cui si aggiunge una serie di collaborazioni con nomi noti della scena musicale. Mi parla di entrambe le esperienze? In quale delle due si riconosce di più?
Certamente sono due aspetti complementari e necessari nel senso che per un musicista credo sia molto importante collaborare con altri “colleghi” e condividere nuovi progetti, ciò è possibile quando però si è raggiunta una propria maturità musicale a livello personale e ci si è impadroniti anche di una buona tecnica. Per me l’esperienza solista, parlo dei concerti live, è quella dove mi riconosco maggiormente. Il mio aspetto più interiore esce allo scoperto ed interagisce col pubblico, un vero e proprio scambio di vibrazioni. Anche il comporre i brani e successivamente arrangiarli ed inciderli in studio è importante, è come se in un certo senso producessi uno specchio per riflettere e notare le mie espressioni.
Le collaborazioni ugualmente costituiscono una notevole esperienza che permette un confronto ed uno scambio da cui si esce diversi e migliorati. Un ringraziamento va a Lorenzo Bedini della Cyc Promotions che mi ha fatto conoscere Brychan col quale ho vissuto un bel periodo realizzando diversi lavori in studio e numerosi concerti live in tutta Italia. Moltheni l’ho cercato, sono andato a trovarlo in backstage per conoscerlo e parlargli; era il momento in cui tornava sulle scene dopo un periodo di assenza, di lui mi ricordavo bene l’esibizione ad una passata edizione del Festival di Sanremo e mi aveva fin da subito interessato. Antonella Mazza è una bravissima professionista, una bassista coi fiocchi, ho pensato a lei per incidere le cover di Summertime e The man who sold the world. Non è stato agevole concordare una data per entrare in studio, visti i suoi numerosi impegni, il tutto si è poi concretizzato a Milano e sono contento del risultato. Il mio recente video del brano Inside or You porta la firma di Graziano Staino, è una persona competente e disponibile, abbiamo girato le riprese a Firenze ed anche qui sono stato io a contattarlo, avevo apprezzato molto i suoi lavori realizzati per gli Afterhours e Beatrice Antolini ed ho pensato che poteva dare un giusto aspetto visivo alla mia musica; penso che ciò sia avvenuto al meglio. Il video mi piace molto!
Quali sono i suoi progetti per far conoscere il suo strumento?
Per il momento sto componendo nuovi brani che andranno a formare un ep di prossima produzione. Bolle in pentola anche qualche nuova collaborazione di cui però non posso anticipare nulla.
Ringrazio anche LostHighways che contribuisce alla mia opera ed invito tutti i lettori a fare una capatina sul mio sito e sulla pagina MySpace. A presto! Un saluto vibrante a tutti!