L’inverno scioglie i suoi ultimi spasmi di freddo lungo le stradine antiche di Benevento. E ne avvolge il centro-cuore che si stende nell’ambizione del bianco e in un ordine da fare invidia a un qualunque nord delle geografie immaginate.
La sera è appena calata sulle voci che passeggiano, immerse nella luce fioca dei lampioni. Sembra tutto ovattato, sospeso e rintanato. Come la porticina del Morgana, chiusa perché è ancora il tempo del soundcheck. Sì, si parla di un localino dove, da qualche anno, si concede spazio alla musica con amore e con entusiasmo. Un luogo come tanti, certo. Come pochi, direi invece. Perché a mettere in piedi un locale non ci vuole poi tanto, è il modo a fare la differenza, l’impegno affinchè tutto funzioni, il senso del rispetto per la musica, per gli artisti, per il pubblico. E qui torna il cantautore milanese Giuliano Dottori, per un concerto che vede le sue canzoni vestite di nuovi suoni, quelli ricamati nell’aria dal sannita Enrico Falbo, piccolo elfo polistrumentista.
Giuliano Dottori, in pausa dal tour degli Amor Fou, riprende a camminare in solitaria per proporre al suo pubblico i brani di un repertorio ormai ben nutrito da due album alle spalle (Lucida, Temporali e rivoluzioni) e arricchito da quel primo ep, ovvero Fantasmi, che ha visto la luce lo scorso dicembre. In quattro anni si è fatto le ossa, come si suol dire, su e giù per l’Italia, sempre generoso e in continua crescita. Ci sono quelli che esplodono all’attenzione in un attimo, e quelli che arrivano conquistando ogni singola tappa col talento svelato piano, quasi confidando la profondità e la delicatezza. Poi lo vedi sedersi, abbracciare la sua chitarra, concentrarsi, chiudere gli occhi. E vedi la gente attenta, che si accalca davanti, che lo ha aspettato, che vuole ascoltarlo. Ed è chiaro che questo cantautore ha messo da parte tante piccole vittorie. Granello dopo granello ha messo in piedi un piccolo mondo di suoni e parole che sanno raccontarsi agli altri coinvolgendo e emozionando. Enrico Falbo, dopo l’esperienza targata Lamia, è membro della band campana de Il cielo di Bagdad e in solitaria sta sperimentando sulla pelle di un fervore creativo che lo ha portato, da autodidatta, a scoprire le potenzialità della viola e di quello che definisce folk ancestrale, alimentato dallo studio di una serie di strumenti etnici e confluito in Canti Silvani, sua prima autoproduzione; Un folletto geniale, irrequieto e pronto a volare molto in alto.
Stasera Dottori lascia che Amuleto, Silenzi, Tenerti stretto un ricordo, La tua casa è piena, Catene e gioie fragili, Le cose semplici, Sirene e vampiri scivolino una dietro l’altra immerse in un’atmosfera quasi senza tempo grazie agli incantesimi di Falbo, che si destreggia tra la viola, l’harmonium e la chitarra con una grazia incantevole. Ma è su Lucida, Cuore di bue e Nel cuore del vulcano (in cui si incastra la citazione di There There dei Radiohead) che emergono tutte le potenzialità di questo duo nato quasi per caso: Falbo sottolinea il pathos dei brani, esaltandone i passaggi chiave e creando giochi di tensione e dilatazione su cui la voce di Dottori si muove sicura e audace, spingendo sulle sfumature del suo colore. Il risultato è toccante, commovente. E Alibi si mostra perla indimenticata, i presenti la accompagnano sussurrandone le parole e ricordando a Dottori che il suo è un mantra blu. (Foto di Aurora Lobina)
Home / Editoriali / “Il suono di un mantra blu”: Giuliano Dottori e Enrico Falbo @ Morgana (BN) 05/02/11
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