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Reale e surreale per incontrare un maestro: intervista a Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti)

<Talvolta le parole non sono abbastanza, e forse è per questo che Davide Toffolo si esprime tanto bene con il fumetto e la musica che noi tutti conosciamo. Nel fumetto ci possono essere delle sfumature che in un attimo riescono a dirti cose che ci vorrebbero cento parole per descriverle. Lo stesso vale per le canzoni, per quelle tante note che si fondono a poche e ricercate parole. Si tratta di linguaggi diversi, metodi per esprimersi, strade differenti nelle quali è bello perdersi per incontrarsi.
In un contesto vivo e vivace come il BilBolBul di Bologna incontriamo Davide Toffolo, che a sua volta ci racconta di un altro incontro, tanto prezioso quanto  pericoloso. Un viaggio turbolento, lungo una vita, del quale in questa lunga intervista tentiamo di narrare alcuni suoi magnifici incroci, ricchi di poesia, con un piede nell’immaginario, ed un altro ancorato alla realtà che ci circonda. (Foto di Emanuele Gessi)

Partiamo veramente dal principio: quando Davide Toffolo ha incontrato Pier Paolo Pasolini?
Veramente l’ho incontrato più volte, all’inizio in modo occasionale. Quando Pasolini è morto io avevo dieci anni perciò la sua figura aleggiava molto in quel periodo. Il dramma della morte è entrato nelle case con la televisione, una cosa molto forte. Io sono friulano, e forse in quella zona tutto è arrivato ancora più forte; è sempre stato un personaggio scomodo, ma ancora di più in Friuli che è un luogo con una cultura cattolica molto radicata, pesante.
Poi l’ho incrociato altre volte, fino a quando, circa dodici anni fa ho deciso di approfondire tutto questo: un approfondimento che è diventato un libro che si chiama Pasolini, mentre nella prima edizione aveva il titolo Intervista a Pasolini.

Presto però sarà disponibile una nuova ulteriore pubblicazione, un documentario. Si tratta di una raccolta di girato dal mini-tour del 2008 nel quale i Tre Allegri Ragazzi Morti portavano uno spettacolo su Pasolini. Questo significa che fin dall’inizio avevate le idee chiare su questa video-produzione?
Al tempo la mia testa semplice ha pensato che un’esibizione dove nel suo centro c’è il disegno dal vivo poteva essere documentata visivamente. Così due operatori, Nicola Pittarello e Pasqualino Suppa, il regista, ci hanno seguito, sono stati dentro al furgone con noi per i tre giorni nei quali lo spettacolo veniva presentato per la prima volta. Il viaggio è stato Trieste, Roma e Bologna ed è nato da una stimolazione da parte del Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Abbiamo così notato che c’era la possibilità di raccontare da una parte lo spettacolo e dall’altra alcune tematiche interessanti su Pasolini, e pure buona parte della nostra poetica. Questo documentario è quindi un po’ il racconto di cosa sono i Ragazzi Morti e la loro filosofia.

Quindi il filmato non è solo un girato dello spettacolo… cos’altro contiene?
Il filmato è composto dal girato dello spettacolo, alcuni frammenti animati riguardanti Pasolini, alcune mie interviste rubate al telefono ed altre in posa… e poi la musica.
Noi non siamo un gruppo tradizionale, andiamo in giro con una maschera! Abbiamo sempre cercato strade non convenzionali per fare musica; ne viene fuori un documento surreale perchè la forza dei Ragazzi Morti è sempre stata quella di inventare una sorta di mondo, e quindi non solo raccontare quello che già abbiamo intorno. Per questo motivo, quando il materiale è stato raccolto ed assemblato, mi è sembrato giusto che questa componente di finzione fosse caricata ulteriormente. Le animazioni che abbiamo inserito hanno questo scopo: sono semplici ma bellissime. Le ha fatte Michele Bernardi che è l’animatore con il quale io lavoro quasi sempre; c’è quindi questo elemento in più oltre al vero e proprio girato.

Ora tornerete con più date per ripresentare lo spettacolo dal vivo: nel tempo hai avuto modo di pensare a novità con le quali verrà integrato o lo trovi già completo così come era stato presentato in passato?
E’ uno spettacolo di improvvisazione, quindi ogni volta qualcosa di diverso c’è, ma il canovaccio è rimasto quello. Comunque dalla prima volta che l’abbiamo fatto, era il 2008, le nostre esperienze musicali sono cresciute… quindi la parte musicale dello spettacolo attuale è più complessa di quando prima c’erano solo Enrico, Luca e la loop station. Adesso ci sarà anche Stefano, e la musica sarà più libera dai vincoli dei loop.

La musica che ruolo ha nello spettacolo? C’è un dialogo tra le parti che lo compongono?
Sì, c’è un dialogo un po’ complesso fra la memoria delle nostre canzoni e lo spettatore, che in fondo è una modalità un po’ da egocentrici, diciamolo. Così l’avevo pensata: ci deve essere un’evocazione di un qualcosa che abbiamo già cantato e già detto, ma deve avere delle attinenze tangenziali con il pensiero critico pasoliniano sulla realtà, quello che poi viene rappresentato nello spettacolo.

La strada dei Tre Allegri Ragazzi Morti è stata sempre legata a quella del tuo fumetto ma mai come in questo caso. Se prima le canzoni nascevano dalle idee dei fumetti o talvolta il contrario rappresentando i due volti di un’entità quasi unica, in questo spettacolo i due volti sono uniti in uno solo. La commistione delle due arti è completa. Vedi questo come un traguardo/conquista, o solo una semplice tappa di un percorso creativo?
La vedo come una tappa, ed anche divertente! Il lavoro del disegnatore non ha mai un faro sopra mentre in questo caso invece si disegna davanti alla gente. Un po’ si eccita il mio ego, un po’ ci si impaurisce, ed un pochino offre alla gente che partecipa la fascinazione della dimensione del disegno. Lo vedo come un incontro con una parte della mia creatività che solitamente sul palco non si esprime. Il disegno è una parte di me che solitamente proprio non condivido, è una cosa privata, ed è bello anche che gli altri Ragazzi Morti la vogliano condividere.
E’ uno spettacolo fragile, ed al contempo poetico perchè i contenuti sono profondi, le parole sono profonde, e l’atto del disegno dal vivo ha una sua verità molto forte.

A parer mio, per quanto la lettura personale consenta un assorbimento totale ed intimo della narrazione che una situazione spettacolare non può garantire, la performance di creazione dal vivo permette un dinamismo unico. Le immagini che nello spettacolo vai a creare mutano e prendono forma tridimensionalmente: dove è nata questa idea e cosa cerchi in questa rappresentazione?
L’idea è nata facendo le prove, lavorando sulla materia del disegno, che inizia da un foglio bianco e che poi finisce per essere distrutto. E’ una tecnica che è nata semplicemente facendola, e spero che in queste nuove sette date che faremo possa crescere ancora la possibilità di lavorarci.
Le prime volte che l’abbiamo fatto, per me l’emozione è stata molto alta; penso che se questa rimarrà, lo spettacolo avrà un suo valore.

Ti chiedo una curiosità: queste tavole, dove finiscono? Sono fogli su cui, strato su strato, si sviluppa una storia, ma alla fine dello spettacolo che fine fanno?
La maggior parte alla fine sono inguardabili perchè completamente lavorate. Poi c’è sempre qualcuno che me le chiede e difficilmente riesco a dire di no. Così è stato fin ora, per i prossimi spettacoli non lo so… non sono mai attaccatissimo ai miei disegni, quindi se qualcuno viene a chiedermeli va a finire che glieli do.

Senza forzare dei parallelismi, è comunque impossibile non notare che entrambi siete friulani, entrambi avete studiato a Bologna, entrambi avete omaggiato la vostra terra (nel tuo caso penso al tuo ultimo libro L’inverno d’Italia od alla storia del friulano Carnera da te narrata). Ci sono davvero tante cose che uniscono te e Pasolini… ti ritrovi in questo? Ma soprattutto, quanto ha contato Pasolini nella tua vita?
E’ vero, ci sono alcune cose, e sicuramente è anche per questo che devo aver sentito un’attrazione così forte. Solo nel suono della sua voce c’è qualcosa che ricorda la terra da dove vengo, quella nota un po’ acuta, angelica, che è tipica delle località friulane. Basta anche quello per avvicinarmi a lui.
Per il resto rimango un cantante che disegna… ma è indubbio che l’incontro con lui, soprattutto dopo la realizzazione del libro, è stato importante. L’estetica pasoliniana è un qualcosa che ti sposta, non ti fa più vedere le cose come le vedevi prima, diventi più critico e tante cose le consideri come meno necessarie, come diceva lui. E’ un bagaglio importante; pensa che l’ultimo viaggio che ho fatto è stato in Africa, in un villaggio, 20.000 anni fa, Paleolitico, e se devo pensare a qualcosa che mi è tornato in mente in quei venti giorni di permanenza, ecco… sono state riflessioni di Pasolini. La verità delle cose essenziali, che servono realmente all’uomo in contrasto con quelle che probabilmente non servono e che appesantiscono solo una dimensione.
Quello dell’estetica pasoliniana è un viaggio pericoloso, ma l’ho fatto. Prendendo le distanze. La mia estetica non è sovrapponibile alla sua. Pasolini è sicuramente uno dei miei maestri, ma come scrivo anche nello spettacolo “i maestri vanno mangiati”, quindi poi ne resta poco.

Ammettendo la mia non approfondita conoscenza delle opere di Pasolini, il solo sentire la sua voce nelle interviste dell’epoca è capace di impressionarmi, oltre che per il modo in cui si esprime, soprattutto per via dell’attualità dei temi che era solito trattare. Denuncia e contestazione di fronte a vere e proprie emergenze sociali e culturali, che tuttora persistono. In sostanza più di cinquant’anni di emergenza continua. Con questa premessa, come ti rapporti al futuro?
Da una parte la dimensione profetica di Pasolini è interessante ed alcune cose sono più facili da capire oggi che a ridosso degli anni sessanta. Dall’altra parte vedo l’esistenza di Pasolini come un percorso, la vita di un santo laico, con dei momenti molto precisi a scandirlo. L’inizio, il cinema e poi la fine in cui si denota una sua vera impossibilità di vivere nell’attualità del suo tempo. Quest’ultima non è ancora la mia visione, ne rifuggo, perchè è una visione interessante ma molto difficile da sostenere. Si tratta di un pensiero molto vicino alla “fine”, ed io non ho raggiunto quel pensiero forte, nichilista. Tutte le volte che mi ci avvicino cerco di fare un passo indietro. L’ho visto negli occhi di tante persone che l’hanno conosciuto e che hanno vissuto con lui certi percorsi, ma non è ancora il mio momento per arrivare fin lì.

Nel trailer del documentario ci sono delle tue parole che non possono passare inosservate: “si potrebbe pensare ad una grossa movimentazione dei musicisti o della gente che lavora intorno alla musica, per far capire che la musica è qualcosa di differente e che ora in Italia ha bisogno di un’azione, un’azione vera”. Cosa auspichi e come si può creare ciò?
Ah, quello mi piacerebbe proprio! Allora, l’intervista è del 2008, sono passati due anni ed insieme a quelli de La Tempesta credo abbiamo dato un segnale su come si può fare la musica.
Quell’intervista voleva sottolineare un problema che per me è ancora vivo: in questo momento la musica canta poco del paese nel quale vive, facendone una rappresentazione formale. Sarebbe bella una musica che riprenda un rapporto più preciso con la realtà. Questo è possibile con una presa di coscienza dei musicisti. Le città continuano a vedere la musica come un problema, infatti viene sempre più decentralizzata: si suona nell’area industriale perchè non si può disturbare. Mi immaginavo quindi una mobilitazione collettiva contro quei temi che secondo me sono fondamentali per la musica. Per esempio anche la fiscalità della musica d il controllo: intendo dei meccanismi che dovrebbero essere a favore e non contro la fruizione della musica, ed alla fine ne guadagnerebbero tutti, anche, per esempio, la parte fiscale.
Sono passati due anni da quando urlavo “sciopero” ma ancora non c’è stato. Penso che da parte degli operatori, di chi suona e anche di chi la musica l’ascolta davvero, questi problemi siano compresi. Mi piacerebbe che si andasse in questa direzione: uno sciopero al contrario. Si va a suonare tutti assieme, lo stesso giorno, in tutti i luoghi in cui lo si può fare!

Tre alle gri ragazzi morti – Pasolini

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