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Tra Ian Curtis e Walt Whitman: intervista agli OfeliaDorme

Quattro ragazzi bolognesi ci credono ancora. Quattro ragazzi sognano come Ofelia la dormiente. Sono sogni in chiaroscuro. Sogni che sanno di PJ Harvey e Joy Division. Sogni che sanno di Foglie d’erba e mondi fiabeschi. Dopo l’ep di due anni fa, ritornano gli OfeliaDorme, ancora con un’autoproduzione ma full lenght, All harm ends here, che senza dubbio vale più di un disco con una major per intensità e densità di suoni e contenuti lirici. L’arte delle melodia che ammanta il loro sound in bilico tra pop e rock è una dote in via di estinzione tra le nuove band emergenti. Per LostHighways (che li ha inseirti nella compilation Bottom of light) questo progetto non ha nulla da invidiare a band emergenti della terra di Albione e quindi è stato naturale e spontaneo rincrociarli per una nuova intervista.

All harm ends here è il titolo del vostro primo album dopo il bellissimo ep d’esordio di due anni fa. Ci spiegate il titolo?
Michele: E’ l’augurio che “tutte le sofferenze e i mali finiscano qui”; i due anni che separano il disco dal nostro primo EP sono stati piuttosto travagliati sia a livello personale che generale, le abbiamo racchiuse in questo disco e speriamo che il 2011 sia un anno di cambiamenti.
Francesca: Esattamente, anche se per ora non è che il 2011 sia iniziato facilmente, ma siamo solo a marzo! Inoltre il titolo è anche una frase estrapolata dal testo di Burning.

Questo disco dal punto di vista sonoro mi sembra più denso dell’Ep. C’è sempre quell’attitudine a sottrarre elementi sonori e a far emergere atmosfere notturne con chiaroscuri questa volta più marcati, dove le accelerazioni sono più elettriche in alcuni casi…
Michele: Diciamo che l’EP è come una fotografia rubata mentre sei fuori con gli amici, il disco è un vero e proprio set fotografico, curi ogni dettaglio, senza però perdere quell’attitudine al gioco che rende il tutto naturale. In questi anni ci siamo conosciuti ed esplorati meglio e questo sta svelando nuove facce di Ofelia la Dormiente.
Francesca: Attualmente la sottrazione è un aspetto che ci interessa ancora molto, costruiamo i brani su pochi elementi che nella loro semplicità e fragilità abbiano però la forza di sostenere il tutto. Nell’economia di un pezzo i vari strumenti hanno un ruolo preciso, compresa la voce, che non viene dopo, ma è strumento anche essa e considerata come tale. Il disco è denso perché anche noi abbiamo vissuto “densamente” mentre facevamo il disco.

Ian è un brano di cui ci si innamora a primo ascolto. Poi si scopre anche che è in onore del leader dei Joy Division e magicamente il cerchio di bellezza si chiude. Di cosa parla il testo di questa canzone e perché avete scelto Ian Curtis come soggetto del brano?
Francesca: Ascoltiamo tutti molta musica e abbiamo molti gusti in comune ma anche diversi, direi che c’è però una certa affezione da parte di tutti alla musica e all’estetica dei Joy Division. Ian è nata come un tributo inconsapevole in un certo senso… avevo visto il film Control di Corbijn, e mi ha talmente emozionato che, come spesso mi succede, poi mi è venuta voglia di suonare. Sono venuti fuori i primi arpeggi ossessivi e poi un testo, che è una sorta di immedesimazione nei panni della moglie di Curtis, che insomma non ha avuto vita facile.

Leaves of grass è ispirata alla raccolta Foglie D’erba di Walt Whitman. Perché tale riferimento e a quale poesia siete legati di tale raccolta?
Francesca: Leaves of grass è un’improvvisazione sonora allo zither registrata così… buona la prima! C’è dentro respiro e corporeità, anche materialità. Di Whitman mi piace la celebrazione furiosa dal vivente… diceva: “il vero uso dell’immaginazione nei tempi moderni è quello che vivifica i fatti, la scienza e la vita comune”. OfeliaDorme nella sua musica celebra tutto questo. E poi c’è la questione della natura, del fatto che viviamo immersi in essa, anche se tentiamo di distruggerla in ogni modo. Sono legata a varie poesie della raccolta, tra queste: Song of myself, I am he that aches with Love e To you che recita: “Straniero, se tu passando mi incontri e desideri parlare con me, perchè non dovresti parlarmi? E perché io non dovrei parlare con te?”. Racchiude un po’ la mia filosofia di vita.

Il mondo fiabesco dei maghi e delle streghe popola anche il vostro brano The wizard, the witch and the crow. I mondi paralleli della fantasia come trasfigurazione simbolica della realtà… per la nostra società non vi è alcuna speranza che quella di rifugiarsi  in boschi incantati della mente?
Michele: Speriamo di no…
Francesca: Non siamo così pessimisti, tutt’altro; ma i boschi incantati della mente sono sempre un ottimo punto di partenza, o comunque zone dove rifugiarsi e coltivare i sogni e la fantasia, senza i quali la vita sarebbe mortalmente noiosa.

Come è nata River e di cosa parla?
Francesca: River è nata come improvvisazione in sala prove, il testo è venuto fuori un po’ alla volta. Il tema principale è una riflessione sull’amore e sulla passione, e di come senza di questi la vita sia arida e vuota, o almeno è quello che penso io. Il fiume come divenire della vita, il Panta Rei di Eraclito per intenderci. A volte quando finisce un amore (in senso lato, quindi anche un’amicizia per esempio) il senso di vuoto è così pregnante che non si ha più ben chiaro cosa sia poi questo sentimento, che cosa comporti, si hanno dubbi sulla sua esistenza persino; in realtà ci sono tante diverse forme di amore, e non c’è nessuno che ti possa insegnare esattamente cos’è. Non bisogna aver paura.

Ancora una volta siamo qui a parlare di un’autoproduzione nel segno della filosofia DIY. Come mai un progetto molto bello e intenso come il vostro non desta l’attenzione di etichette note? Non vedo molta differenza tra le vostre soluzioni sonore rispetto e band emergenti vostre contemporanee in UK, tipo le acclamate Warpaint…
Michele: Innanzitutto grazie, ci fa piacere che ci consideriate già all’altezza di catturare l’attenzione di etichette importanti. Diciamo che alcuni contatti ci sono stati ed altri contiamo di farli avvenire, ma ci sembrava importante misurarci sulla lunga distanza con le nostre uniche forze, io ho un mio studio (SoporocoStudio) dove abbiamo registrato  il disco (mixato poi da Francesco Donadello e masterizzato da Roberto Priori), Tato cura tutta la parte tecnica del web (sito, MySpace, Facebook, ecc…), Gianluca realizza tutto ciò che è grafica e design, Francesca si occupa dei contatti, fa circolare il nome e cerca di farlo arrivare alle orecchie giuste (è la manager!) e tutti insieme raccontiamo i sogni di Ofelia. Ci siamo appoggiati per questo disco ad A Buzz Supreme per quanto riguarda la promozione poiché più in là di un certo punto in Italia da solo non vai e collaborare con persone serie e preparate come loro è un piacere (li sentiamo molto vicini al nostro progetto).

Se aveste la possibilità di scegliere un regista per il quale scrivere la colonna sonora di un suo film, chi scegliereste e perché?
Michele: Michel Gondry, adoro il suo modo di approcciarsi al video, è un giocherellone geniale, un bambinone che sa che sempre come trasformare la fantasia in realtà, ha una grande padronanza delle tecniche analogiche e digitali senza essere schiavo di nessuna delle due, i soggetti dei suoi film sono pazzeschi… e poi è batterista pure lui… si è capito che lo ammiro molto?!
Francesca: Concordo su Gondry, aggiungerei Darren Aronofsky.

Bologna è la vostra città natale. Come è la scena musicale di questa città recentemente? Vi riconoscete nelle altre band che emergono dal suo sottobosco?
Michele: La scena musicale ultimamente è molto interessante e florida, certo, ci sono realtà con le quali ci sentiamo più affini ed altre un po’ meno, ma direi che siamo tutti quanti molto contenti di trovarci a Bologna in questo momento. Se vuoi e ce la fai, puoi andare a vedere concerti quasi ogni sera!

All Harm ends here – Preview

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