Li avevamo lasciati che cantavano in inglese ed erano una delle band più interessanti del panorama indie italiano per quanto concerne la scena screamo-punk. Erano i tempi di New Liberalistic Pleasures. Hanno girato l’Europa esportando live il loro verbo. Poi hanno pensato al nuovo disco cambiando anche il cantante e la lingua. Nonostante gli anni passati e i mutamenti di line-up, The Death of Anna Karina non hanno perso la loro cifra stilistica, anzi hanno maturato ancora di più le loro sonorità in bilico tra post-punk e tuffi new-wave tra screamo e parlato. Lacrima/pantera è il loro ulitmo lavoro. Un disco denso di emozioni dettate dal disfacimento della nostra società in balia di un cieco potere politico. Un capolavoro che fotografa una generazione precaria nella vita, nei valori e nel lavoro. LostHighways ha approfondito questo progetto con Davide Gherardi (Dg) e Alessandro “Zanna” Zanotti (Az), rispettivamente chitarra/synth e voce dei The Death of Anna Karina. (Quello che non c’è e Sparate sempre prima di strisciare sono in streaming autorizzato)
Cosa è successo durante questi cinque anni trascorsi dal vostro ultimo lavoro?
Dg: Abbiamo dedicato i tre anni seguiti all’uscita di New Liberalistic Pleasures a suonare dal vivo, prevalentemente all’estero: Belgio, Francia, Austria, Germania, Slovenia, Spagna, Polonia. Quasi tutto il 2009 è stato dedicato alle fasi di stesura del nuovo album. Il disco è stato registrato nel dicembre del 2009. Buona parte del 2010 è stata improntata al consolidamento della line-up che ha subito un cambiamento sostanziale con l’uscita di Giulio Bursi e l’ingresso di Andrea Ghiacci alla voce, con il conseguente rodaggio della voce di Andrea.
Az: Cinque anni di vita, di esperienze, un figlio alla batteria, concerti, viaggi sudore, tanta sala prove, siamo sempre più sordi e ognuno ha qualche capello bianco in più, ma convinti e determinati come sempre.
Quali sono le principali differenze tra New Liberalistic Pleasures e Lacrima/pantera?
Dg: A parte l’aspetto più vistoso – Lacrima/Pantera è in italiano (e c’è un lavoro a mio avviso assolutamente magistrale di Giulio Bursi sulla sonorità e sulle metriche) – abbiamo virato verso un mood più cupo e monumentale, associato anche a brani rock. Il tutto risulta molto più compatto e “quadrato” rispetto a prima. Abbiamo lavorato di sottrazione per sgranare la resa all’ascolto e rendere i pezzi più fruibili anche dal vivo.
Az: Dal punto di vista musicale eravamo in sei, ora siamo in cinque. Abbiamo messo maggiormente a fuoco un suono che ci appartiene e arrangiato allo sfinimento per poi scegliere ciò che, semplice, colpisce dritto.
Un certo disagio e rabbia esistenziale traspaiono scorrendo le parole dei vostri testi. Possiamo dire che il vostro disco è una sorta di manifesto riflessivo e espressivo dell’universo interiore di questa generazione di precari di lavoro e vita?
Dg: In altre coordinate culturali si sarebbe parlato di “stimmung”, nel senso che accenni. Secondo me è però improprio parlare di “manifesto”. Non intendiamo veicolare un’ideologia. Sicuramente la condizione che avvertiamo, come trentenni cresciuti nell’attuale congiuntura politico-economica italiana, è quella di un’endemica ed irrisarcibile divisione tra il potere costituito, che gira a vuoto nel sforzo compulsivo di confermare la propria esistenza sulla base di scelte e decisioni sempre più dannose per la collettività intera, ed una “coscienza” collettiva (se ne esiste una che sia tale) degradata, antipolitica, priva di direttive, disorientata, angustiata, abbagliata da disvalori arrembanti, lacerata nell’impasse di una programmatica strategia della mediocrità votata a vampirizzare ogni possibile risorsa messa a disposizione delle fasce più giovani della popolazione.
Il vostro sound sembra affondare le radici nella scena screamo di San Diego dei primi anni novanta. Cosa pensate di quel movimento e quali band vi hanno ispirato maggiormente in generale?
Dg: Sicuramente gli Swing Kids rappresentano un spunto musicale di rilievo nella genesi del primo disco, che risale (ormai!) al 2002. I gruppi di San Diego sono sbocciati dando vita ad un momento di effimera effervescenza culturale (fragile e tendenzialmente autoreferenziale) certamente influente su un certo spicchio di undergorund italiano, negli anni a cui accenni. Personalmente mi è sempre sembrato che questi californiani se la menassero troppo. Da una parte sentenze, visioni manichee della vita e slogan che rivelavano le pulsioni di bigottismo malcelato tipico di quel nucleo puritano che non smette di battere nel cuore della cultura americana “liberal” californiana-berkeleyana che dir si voglia (poi, c’era del buono anche lì, sparso negli eccessi neo-hippy); dall’altra la spettacolarizzazione della situazione-concerto e di tutto quello che gli ruotava attorno, compresi i suoi cascami da cerimonia rock. La cosa triste e ridicola è che tutto ciò che ne rimane di quel periodo ora è Justin Pearson: un perfetto buffone da salotto televisivo americano.
Teatro degli Orrori, Massimo Volume e CCCP, in voi c’è qualcosa di questi tre gruppi della scena indie italiana?
Dg: Sono tre gruppi radicalmente diversi tra loro, diversi per collocazione storica, intenti, programma ed obiettivi “espressivi”. A mio avviso, sono imparagonabili. Sicuramente il lavoro di Clementi sulla lingua è stato un punto di riferimento per sviluppare il trattamento dell’italiano rispetto alla musica. I CCCP rimangono sprofondati in una sonorità ed in un milieu molto distante dalla nostra sensibilità. Al Teatro va ascritto il merito di aver ridefinito lo “stato dell’arte” del cosiddetto “rock alternativo” italiano. Detto questo, non vedo punti di contatto tra noi e loro.
Bene. Hai confermato i miei dubbi su alcune letture della critica riguardo il vostro ultimo lavoro.
A quale brano di Lacrima/pantera siete più legati?
Az: Personalmente direi Un’ultima volta, è forse quella che ritengo emotivamente più coinvolgente. Come “musicista” amo molto suonare Quello che non c’è, forse perché la costruzione del pezzo e gli arrangiamenti mi sembrano particolarmente equilibrati.
Dg: Personalmente a Il vile omicidio.
Possiamo approfondire i riferimenti letterari presenti nei vostri brani?
Dg: Giulio ha stralciato brani di Brecht, Camus, Beckett, Debord, Peret sulla base di una poetica della citazione d’ispirazione situazionista. Bisognerebbe entrare nel merito del singolo brano. Alcuni riferimenti approfondiscono la condizione d’ostaggio dell’essere umano: ostaggio delle proprie emozioni e dell’incapacità di comunicare con gli altri. Un commentatore ha avuto la faccia tosta di dire che i testi “non raggiungono lo spessore semantico di un Capovilla”. Per tornare al discorso di cui sopra (dei riferimenti tra noi ed altri gruppi) mi chiedo se questa persona – e chi come lui – abbia ascoltato il disco, ed abbia letto veramente i testi.
Come è nata la collaborazione con Giulio Ragno Favero?
Az: Abbiamo chiamato Giulio per effettuare i mix del nostro primo disco, era il 2002 direi o la fine del 2001. Stava iniziando a sistemare lo studio nella lande padovane. Seguendo le sue produzioni abbiamo sempre avuto conferma della sua competenza e ci è sempre piaciuto lo stile di suono che crea. Anche se so che mi contraddirebbe se fosse qui, non è una persona che ti registra e basta, ha un’idea ben precisa del suono che vuole ottenere.
Un verso di un vostro brano che più vi rappresenta?
Dg: “Nel mare nel sole la dissoluzione”, alla faccia di quelle mummie imbalsamate che ancora se la menano col beat, i favolosi anni Sessanta… basta!!!
Cosa pensate riguardo le politiche del governo e delle amministrazioni locali a favore dell’arte e della musica in Italia?
Dg: Le politiche condotte intorno al FUS mostrano in filigrana quanto il sistema dello spettacolo cinematografico e teatrale in italia sia profondamente inquinato e corroso dagli interessi di speculazione, rapporti di forza sclerotizzati, sindacalismi incistiti nella burocratizzazione stessa della cosa artistica. La musica live non viene promossa e favorita per i suoi valori sociali e culturali. La postura antiintellettualistica dei mentecatti che ci governano (e di chi li vota) si traduce in una soluzione politica molto sempice: tagli alla Cultura, con tutto quello che ne consegue. Il discorso sulle amministrazioni locali è più articolato e complesso: vi sono ancora, sparse qua e là, delle situazioni illuminate, ed a volte anche nei piccoli centri. Ma in generale intravedo intere regioni in Italia in cui non esiste o quasi un circuito appropriato a supportare lo svilippo e l’esecuzione della musica live, mentre lo stesso booking rimane affidato ad circostanze ed occorrenze fortuite e coraggiose.