Jeff Buckley
il film di Jake Scott
In un pigro pomeriggio di primavera gli occhi mi cadono su parole che compongono una notizia come tante, forse.
Come tante se le prendi con distacco, e come è giusto che sia quando devi solo diffonderle.
Come poche, se ti coinvolgono. Se fanno da chiave ai ricordi, alla storia che ti porti dentro. Quella che, nei suoi capitoli e note a margine, suona.
E’ quasi pronto un film sulla vita di Jeff Buckley. Racconterà anche la sua infanzia, e per questo la pellicola ha avuto un corso supervisionato da Mary Guilbert, la madre di Buckley. E racconterà la nascita dell’artista, del cantautore, di quell’incantesimo affascinante che portò un ragazzo giovane a fare della sua voce e delle sue parole un fulmine di bellezza così intenso e veloce che… non tutti lo videro nel mentre. La regia è di Jake Scott, che ha già firmato i videoclip di Rem, Smashing Pumpkis e Radiohead. James Franco o Robert Pattinson per il ruolo di Jeff? Pare questo il dilemma!
Tutto qui. La notizia è questa. Una come tante. E invece no, perchè mi coinvolge.
Bisogna aspettare il film, certo, per avanzare critiche e analisi. Eppure rifletto. Forse perchè non tutti possono il miracolo di Anton Corbijn, che ha tratteggiato con sensibilità e discrezione il ritratto di Ian Curtis (Joy Division) in Control. Forse perchè molte pellicole sul “genere” mi hanno delusa, risultando celebrative e pretenziose, su tutte Last Days di Gus Van Sant per Kurt Cobain (Nirvana).
Sarà che Jeff Buckley è il segreto, l’aria misteriosa che abbraccia le canzoni. Sarà che l’intimità era scritta sui suoi occhi chiusi ogni volta che sprofondava nell’intonazione di un immaginario così lontano e sacro da sembrarmi insondabile. Sarà che è morto durante una nuotata nelle acque di un affluente del Missisippi, senza cause su cui fantasticare. Morto, così. Nessun suicidio, nessun intrigo. La solitudine, la chiusura, la timidezza, il disagio non erano gli ingredienti di un personaggio estremo. Un solo disco ovvero Grace, e materiale postumo.
Jeff Buckley per me è sempre stato l’emblema di quel sottile velo che copre l’ispirazione e la sua espressione. Forse non avrei mai voluto che provassero a cambiargli faccia, che sciogliessero i nodi della sua breve vita su uno schermo. Forse perchè lui è stato capace di una bellezza più fugace di quanto la si possa definire.
L’avrei lasciato lì, nei ricordi. Quelli di chi l’ha conosciuto e di chi l’ha incontrato nelle canzoni.