La grande macchina della festa dell’Unità di Bologna è iniziata e la città, che appare ancora mezza vuota, trova la sua caotica vita tra le centinaia di affollatissimi stand al Parco Nord. Tanti bolognesi, ancora pochi giovani universitari in questo fine agosto, e le biglietterie dell’Estragon non vedono le solite code per il live di una band che era abituata a fare o sfiorare sempre il sold out.
I Marlene Kuntz saliranno sul palco dello storico locale bolognese, e se questa sera c’è così poco pubblico di certo di qualcuno sarà colpa: una colpa grave, che non sarebbe giusto (anche se molto facile) riversare sulla band ed il non così ampio successo riscosso dall’ultimo album Ricoveri virtuali e sexy solitudini.
Tutto ciò è gravissimo, perchè i Marlene Kuntz sono ancora, dopo decenni di storia, tra le migliori live band in circolazione, orgoglio nazionale che rappresenta la musica di qualità italiana, quella che crea un rapporto vero con il suo pubblico, quella che è capace di creare emozioni taglienti e ardenti.
Il live di questa sera all’Estragon è potente, furioso, polemico, dolce e sensuale. I Marlene Kuntz ci sono, e suonano per chi è venuto a sentirli. Danno il massimo della loro energia, il meglio della professionalità, uno spettacolo completo ed intenso che merita rispetto e, diciamolo, gratitudine.
La forza dei Marlene Kuntz, oltre che nella spettacolare resa live, sta nei brani memorabili ed immortali che sono riusciti ad inanellare uno dopo l’altro nella loro lunga carriera. Una scaletta che parte con Due sogni, segue con A fior di pelle, Retrattile e Cara è la fine è qualcosa di immenso che tante delle più osannate band dell’ultimo periodo non potranno mai permettersi di eguagliare.
C’è la poesia di Infinità e l’aspra critica di Ricovero virtuale ad anticipare l’inaspettatamente acclamata e cantata a squarciagola Paolo anima salva (ma allora qualcuno lo ascolta questo nuovo disco… qualcuno lo ama davvero!). Fantasmi riscopre i fasti del precedente Uno per poi lasciare il passo alla sfrontata e sensuale Pornorima. Il sottile filo sul quale la canzone si muove è in perenne bilico tra l’arguta critica e la volgarità, ma ascoltando il brano dal vivo mi chiedo: chi altro si sarebbe potuto permettere di scrivere un brano del genere senza cadere rovinosamente? Qui non si cade, bensì si esalta la musica e lo sdegno per una società che, essa sì, sta diventando volgare nei suoi sproloqui.
A conferma di ciò, l’immancabile protagonista mancato, sofferente a stare sotto un palco lontano dalle luci e dalle attenzioni, urla contestando Godano e la scelta dei brani. “No, mi dispiace, quella davvero non me la ricordo. Ah… tu sei arrivato fino al secondo disco? Ho ucciso paranoia era già troppo commerciale, vero? Pensate… se ne è persi sei!” e trapela da queste parole tutta l’insofferenza verso frange di pubblico che non si rendono conto di essere ad uno spettacolo ma, incapaci di assorbire e capire ciò che viene proposto, mostrano di essere affetti dalla sindrome da playlist.
Ape Regina e Sonica servono alle orecchie presenti nel locale tutta la potenza distruttiva del suono e quella creativa della musica: c’è una forza selvaggia sopra e sotto il palco. Ogni nervo di Cristiano Godano è pervaso dalla materia eterea di cui è fatta la musica e trova una carnalità stupefacente ed impressionante che riesce a sopperire ai tiri mancini che ogni tanto la voce può avanzare.
La delicatezza di Notte, la versione acustica di La canzone che scrivo per te, la straziante Vivo: questa è l’arte dei Marlene Kuntz.
Uno, L’artista, Io e me, Nuotando nell’aria: questa è la fine di un concerto che non vorresti finisse mai, ma che in fondo, dentro te, mai finirà.
Una prova di grandissimo spessore per una band che non è solo Cristiano Godano, ma anche Luca Bergia, Riccardo Tesio, ed i compagni Lagash Saporiti e Davide Arneodo.
Una band che ha ancora tante frecce avvelenate al suo arco, ed una mira micidiale. (Lost Gallery)
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