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“Amore e stupore per l’ordinamento universale”: intervista a Giorgio Spada (Vegetable G).

I pugliesi Vegetable G arrivano al loro quinto lavoro in studio e dopo quasi dieci anni di carriera decidono d’intraprendere la strada del cambio di idioma per i testi: L’almanacco terrestre è infatti il loro primo album in italiano. Un album davvero ben fatto, dal sound accattivante, dai testi meravigliosi e coinvolgenti. Abbiamo incontrato Giorgio Spada, voce della band e autore dei testi, per un’intervista davvero interessante. (L’almanacco terrestre è in streaming autorizzato; foto di Marco Waldis)

Visto che è la prima volta che abbiamo il piacere di fare quattro chiacchiere con voi, partiamo dall’inizio: come nascono i Vegetable G?
Piacere tutto nostro. Questa band nasce come idea del sottoscritto nell’autunno del 2002 il quale, in virtù di una prima occasione “live” (si trattava perlopiù di un’installazione musicata), già in quel dicembre, chiama in causa il chitarrista/bassista Luciano D’Arienzo. La prima esibizione frutta già il primo contratto discografico con Minus Habens, per la quale Vegetable G produrrà due album: A perfect spring (2003) ed Epic mono (2005). Nel 2006, con l’ingresso di Maurizio Indolfi alla batteria, l’ormai trio decide di cambiare pagina e, passati con Olivia Records, producono Genealogy, album che esce poi nel 2007. A distanza di due anni arriva Calvino (Olivia rec. 2009), ultimo album in inglese per il trio che, divenuto quartetto con l’ingresso di Michele Stama al basso, produce il primo album in italiano: L’almanacco terrestre (Ala Bianca 2011).

Dopo quasi dieci anni avete deciso di dare una svolta alla vostra carriera incidendo il primo album in italiano. Da dove è nata questa esigenza?
L’esigenza non c’è mai stata, semmai si trattava dell’aver piacere nel poter scrivere in entrambe le lingue. Tuttavia non avrei mai forzato e violentato le meningi a tal scopo, sarebbe stato controproducente, poco autentico. Un bel pomeriggio d’agosto, prima dell’uscita di Calvino, mi ritrovavo a strimpellare su alcuni accordi e di colpo, pensando ad una melodia e a delle parole, ecco una sequenza spontanea di parole in italiano! Non potevo crederci! Nasceva il brano L’almanacco terrestre e da lì, nei mesi a seguire, giù tutto il paradigma di suggestioni derivanti e affini e quindi gli altri brani. E’ così che è andata. Il Fato?

Tra astrologia, mitologia e amore, i vostri testi esplorano mondi favolosi a fanno viaggiare la mente su “un razzo nucleare”. Da dove traete ispirazione?
Premetto, non parlo solo io per delirio da protagonista ma perché, sebbene i Vegetable G siano un unico suono, dei testi me ne occupo io. L’ispirazione sta esattamente nelle prime tre parole della domanda, anche se non si tratta propriamente di astrologia ma di amore e stupore per l’ordinamento universale. In questo album c’è soprattutto meraviglia nel percorrere le arterie e le vene di pensiero che dal microcosmo conducono al macrocosmo, percorso che rivela una riflessione speculare. Così come l’amore, che potrebbe essere quello a due, come un bit (unità appunto binaria) rivela un amore più grande e avvolgente, riscontrabile negli equilibri del cosmo. Una sorta di “rinascimento” nell’animo.

Trovo che L’almanacco terrestre sia un album davvero orecchiabile, di quelli che non ti stanchi mai di ascoltare. L’ho messo nel lettore ed è rimasto in loop per giornate intere! Quali sono gli ascolti che hanno maggiormente contribuito a creare il vostro sound?
La premessa ci fa particolarmente piacere. Gli ascolti, nel nostro caso, sono tra i più differenti, anche se tutto sommato sembrano infine convergere. Da Luciano, che ascolta davvero tutto ciò che vi sia nel panorama pop e rock italiano e internazionale, a Maurizio che sembra prediligere gli anni ’70 e non disdegna affatto i primi ’80, da Michele, che forse focalizza l’attenzione sul panorama grunge, pur non dimenticando mai band come i Beatles e quanto nei sixties, a me che sento molto ma in realtà ascolto poco forse concentrandomi maggiormente sul periodo ’77 / ’85 nazionale e internazionale, con grande interesse  anche per l’elettronica sperimentale, per la classica e la musica medievale.

Al vostro album ha collaborato anche Enrico Gabrielli, uno dei polistrumentisti più validi che abbiamo in Italia. Com’è nata questa collaborazione?
E’ stata un’esperienza che ripeteremmo all’infinito. Con Enrico si può parlare e lavorare a tutto tondo. E’ dotato di un intuito e di una sensibilità rarissimi oltre che di talento inedito. Gli abbiamo inviato i brani, poche spiegazioni e subito ci siamo perfettamente allineati. Con un’armonia naturale (o sovrannaturale?) ha scritto di getto e su pentagramma, a matita, le parti per fiati semplicemente ascoltando! Si è divertito molto e ha dotato di un “cosmico” valore aggiunto il nostro lavoro. Chapeau!

Il vostro genere può tranquillamente rientrare in quello scatolone chiamato pop, questo genere così bistrattato, ma che in realtà negli ultimi tempi trova tra i suoi estimatori realtà davvero interessanti. Cosa vuol dire fare pop oggi in Italia?
Crediamo significhi aprirsi non solo all’Italia bensì al mondo, fare il proprio cercando di farlo in armonia con se stessi ma anche in armonia con gli altri: cercare di universalizzare la propria comunicazione per poter lanciare il proprio messaggio agli esseri umani e non solo a quelli ritenuti come propri simili. Sarebbe una contraddizione in termini anche rispetto all’abbreviativo di popolare. Alla base c’è il divertimento, l’ironia, la riflessione, l’amore e ben poco, davvero ben poco disagio, già esorcizzato dal fatto che lo si stia traducendo in armonia.

Cosa pensate del mercato discografico italiano, di questa “invasione” di prodotti preconfezionati dai cosiddetti “talent” show?
Son problemi di chi ci crede perché noi non crediamo affatto in questi talenti tuttofare. Si ha la sensazione che tali persone siano più frutto di un annientamento simile a quello cameratistico militare o a quello dell’est ginnico-comunista che non frutto di una personalità maturata attraverso un percorso sano che solo il quotidiano contatto con la realtà può dare. Qualcuno forse pensa che da un talent possa venir fuori un talento come il giovane Celentano, Battisti, Carrà o addirittura David Bowie? Suvvia!
Quel che dura è costruito giorno dopo giorno, e non sulla base del nulla attorno.

Concludiamo con la classica domanda: il futuro dei Vegetable G come si prospetta?
Come il prolungamento di quel che si vuole, smussato e corretto talvolta dalle correnti. Filosofia spicciola a parte, ora si sa di poter affrontare entrambe le lingue e si sta scegliendo con determinazione l’italiano, senza dubbio. Si affronteranno concerti, meraviglie e sacrifici e nel frattempo, parlo per me, la testa è già alle prossime mosse, siano esse, a loro volta, spinte da nuovi spunti, nuovi brani e nuove mete, inedite, chissà… mete inedite… chissà… l’elica c’è, il timone a volte. Una incantevole “odissea” vegetale.

L’almanacco terrestre – Preview

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