Era il 2007 quando una gemma dall’incredibile bellezza di nome For Emma, Forever Ago introduceva al mondo questo nuovo splendido artista del Wisconsin col nome un po’ alla francese, Bon Iver. Registrato in tre mesi di totale solitudine, immerso tra la natura della sua casa di campagna americana, quel disco, già allora, ed oggi più che mai, si mostra come un unicum, un fiore nel deserto, la perfetta espressione di un momento, irripetibile. Quattro anni sono passati da quella data fatidica e Justin Vernon non ha potuto fare altro che mettere da parte la solitudine ricercata per il suo esordio e affacciarsi sempre di più nel mondo circostante, portando con sé quella bellezza così intrinsecamente personale. L’ep Blood Bank, il progetto Volcano Choir, gli show in televisione, le collaborazioni con Kanye West, St. Vincent, James Blake, non hanno fatto altro che aprire davanti a sè un orizzonte ampio e cangiante, come i colori della natura attraverso le stagioni, come lo può essere soltanto mondo. Ed è proprio questo suo nuovo lavoro, omonimo, a svelare che qualcosa è cambiato già alle fondamenta, nell’approccio alla fase di scrittura. Un’ispirazione che sembra derivata più dalla costruzione dei suoni dell’universo circostante piuttosto che scaturita dalla malinconia della chitarra acustica solitaria. Così i brani perdono qualsiasi riferimento ad una tipica struttura canzone, procedono deliberatamente, inaspettatamente, esplorando umori e stati d’animo, diventando un perfetto e fluido alternarsi di dinamiche contrastanti. Il risultato è qualcosa di più sofisticato e stupefacente di un disco di canzoni. Del resto Bon Iver è anche più il lavoro di un gruppo che quello di un cantautore solista. Maggiore enfasi viene posta sulle potenzialità di una band completa, sfruttata per creare arrangiamenti sempre perfetti, che si giostrano tra archi, fiati, chitarre elettriche e synth. Basta addentrarsi tra le vie che prende il brano di apertura Perth per capire come tutti gli elementi siano inseriti a perfezione e al momento giusto, per creare un crescendo eccezionale ed emotivamente coinvolgente che sfocia in quel “now breaking new ground”, che diventa affermazione emblematica del nuovo Bon Iver. Nonostante la buona e rinnovata presenza strumentale, al centro resta sempre l’elemento più caratteristico della musica di Justin Vernon, la sua voce. E anche il suo falsetto sembra un po’ cambiato rispetto al passato, più maturo, più soul e, di certo, con un suono unico nel panorama musicale odierno. E di pari passo con il modo di esprimerle, anche le tematiche si fanno più complesse. I brani si slegano tra la concezione di perdita, fuga, liberazione, per uscire fuori da se stessi. Una miriade d’immagini, anche confuse, che a volte diventa difficile interpretare, tra ricordi e realtà. La stessa tracklist è un misto di nomi emblematici, che indicano ora posti reali, ora posti che suonano come reali ma non lo sono e sembrano rappresentare più uno stato d’animo che qualcosa di materialmente tangibile.
Bon Iver è un album perfetto, che diventa quasi una sorta di sistema olistico, in cui il significato complessivo oltrepassa la semplice sommatoria delle sue componenti. E, nonostante, a volte il suo incedere possa sembrare un po’ arbitrario, senza una logica, la cosa sorprendente è come riesca comunque a trasmettere una sensazione di legame e compattezza. Di certo di meno facile interpretazione, ma che rimane comunque caldo e accogliente. Sfuggente, eppure, proprio per questo, così denso di significati, emozioni. E, soprattutto, il punto è che puoi “sentirlo”, anche se non lo comprendi a pieno. Si tratta di quel potere esclusivo ed incredibile della musica: tramandare significati più profondi.
Credits
Label: 4AD/Jagjaguwar – 2011
Line-up: Greg Calbi (mastering) – Carmen Camerieri (French horn, piccolo trumpet, trumpet, trumpet muted) – Sean Carey (bowed vibes, choir, chorus, drums, processing, vibraphone, voices) – Gregory Lee Euclide (paintings) – Andy Immernan (assistant engineer) – Brian Joseph (engineer, mixing) – Greg Leisz (pedal steel guitar) – Mike Lewis (alto saxophone, soprano saxophone, tenor saxophone) – Matt McCaughan (brushes, composer, drums, snare drum, handclapping, Roland 909, synthesizer) – Rob Moore (horn arrangements, string arrangements, viola, violin) – Daniel Murphy (design, handwriting, layout) – Mike Noyce (voices) – Jim Schoenecker (synthesizer) – Colin Stetson (clarinet, flute, alto saxophone, baritone saxophone, bass saxophone) – Justin Vernon (banjo, bass, choir, chorus, composer, cymbals, drums, ebow, engineer, finger cymbals, guitar, baritone guitar, electric guitar, nylon string guitar, hands, korg M1, mixing, piano, record producer, synthsizer, tremolo, vocals) – Nate Vernon (recording engineer) – Tom Wincek (synthesizer)
Tracklist:
- Perth
- Minneosta, WI
- Holocene
- Towers
- Michicant
- Hinnom, TX
- Wash
- Calgary
- Lisbon, OH
- Beth/Rest
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