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Tra passato e presente, tra indie-pop e country-blues: intervista ai Lovespoon

Quattro trentenni di Ravenna ci provano e ci riescono a miscelare il folk, il pop ed il country-blues inseguendo vecchi miti come i Velvet Undergroung e nuovi come gli Shins. La “forma canzone” è il loro verbo nel senso più immediato e spontaneo. Dischi come il loro avrebbero trovato difficoltà ad uscire, il mondo indie molto spesso è cieco. La A buzz Supreme ha creduto nel progetto e LostHighways approva tale scommessa. Li abbiamo intervistati in occasione dell’uscita del loro album di debutto. (Curly love è in streaming autorizzato)

Partendo proprio dal cucchiaio di legno (lovespoon) che il fidanzato gallese secondo tradizione deve realizzare da un unico pezzo di legno, vi chiedo qualè l’unica radice musicale che caratterizza i vostri brani?
Non esiste una matrice unica; certo, c’è il rock and roll, ma non credo di esserti così di aiuto. Semplicemente, il gruppo nasce dall’unione di personalità diverse, con esperienze diversissime che andavano dal 60’s garage al punk’n roll al rhythm and blues (mai sentito parlare dei Tunas, da Bologna?); e che, ad un certo punto, hanno creduto in un progetto che tendeva ad una dimensione più intima o folk. Il che non significa staccare la corrente o abbassare il volume, anzi – ci sono apposta i nostri live a dimostrare il contrario – direi che si è trattato più che altro di concentrarci sull’aspetto compositivo e sugli arrangiamenti, piuttosto che sull’impatto sonoro. Ecco, può esserci un punto comune nei testi, che generalmente narrano di pene d’amore e sciocchezze simili; e del resto, con un nome come il nostro, di cosa volevate che parlassimo? Cucina? Gatti?

Tra folk-pop e country-blues, tra Velvet Underground dei sixty e The Shins degli ultimi anni. Come riuscite a raggiungere un perfetto equilibrio tra tutte queste ascendenze?
Perchè le nostre influenze, siano esse di provenienza inglese o americana, vintage (Beatles, Neil Young, Big Star) o contemporanee (Shins, Belle & Sebastian, Black Keys…), in realtà fanno capo ad una idea comune della musica; per cui, il filo che lega i Velvet Underground a Jack White, per farti un esempio, è tangibile se si prova a eliminare il gap culturale che l’inevitabile salto temporale implica. Credo che avrai già inteso il mio farfugliare; chi suona in un gruppo avverte immediatamente questa cosa, e cioè che cambiano le tecnologie e le modalità di fruizione, ma l’idea cardine resta la stessa: arrivo, attacco la spina, suono. E per questo riusciamo a mettere insieme cose apparentemente lontane tra loro. Per la stessa ragione, abbiamo scelto di registrare l’album agli Outside Inside Studios di Treviso, dove condividono questa visione, nonchè amore incondizionato per le tecnologie analogiche: siamo arrivati, abbiamo attaccato la spina e in due giorni il disco era già pronto.

Ascoltando il vostro primo album emerge subito una certa spontaneità per la scrittura di perfette canzoni dall’uncino radiofonico alla Beatles… cosa pensate a riguardo?
Wow, non me l’aspettavo! Ma è chiaro che questa faccenda nasconde un risvolto non necessariamente entusiasmante. Il nostro disco, se non sbaglio, dura 35 minuti; con un paio di cover e altri pezzi nuovi che presto vedranno la luce, arriviamo a poco più di un’ora di concerto. Per un combo che esiste da tre anni e vive di creazioni proprie, può sembrare poco, può essere un indice di pigrizia; io però credo, e mi pare anche il minimo, che una band debba confrontare le proprie ambizioni con la capacità di saper cestinare il materiale che produce. Nel senso che un album è necessariamente un prodotto di sintesi: ci sono canzoni che nascono in un pomeriggio e sono già pronte così come escono, altre che richiedono giorni e giorni di lavoro anche su un singolo passaggio. Va da sè che la ricetta della canzone pop va chiesta altrove; per noi, che abbiamo attorno ai 35 anni di cui 20 passati a suonare, l’esperienza e l’autocensura sono fondamentali. Un consiglio che posso dare è di ascoltare i Kinks.

Avete aperto Fran Healy (Travis) nel suo recente tour in Italia. Come è stata questa esperienza? Avete avuto modo di ricevere qualche parere sulla vostra musica?
Non eravamo troppo fiduciosi sulla riuscita del live, perchè ci siamo trovati a sperimentare per la prima volta la dimensione acustica in pubblico. Non dimentichiamo però che la radice dei nostri pezzi è sempre acustica o semiacustica; e benchè i Travis non rientrino tra le nostre fonti principali di ispirazione, siamo comunque vicini per affinità ad una visione britannica del pop/folk, e quindi ci siamo tuffati sul nostro quarto d’ora di celebrità. E’ capitato che aprisse la serata questo ragazzo newyorchese (mi sfugge il nome, ma comunque amico di F.H. e suo sparring partner nel tour acustico), poi noi e infine la star della serata. “I like the guys in the middle!”, è stata la sua impressione registrata tra un pezzo e l’altro del concerto. Nè carne nè pesce.

Quale brano amate di più del disco e perché?
Si va a momenti, come credo sia così per tutte le band che si trovano a dover promuovere incessantemente tutti i brani del loro primo disco. La gestazione di questo album risale alla fine del 2009, quando cioè nascono i Lovespoon; abbiamo sempre sottoposto il nostro materiale ad un costante lavoro di limatura, sui testi e sugli arrangiamenti, per ottenere soprattutto un sound omogeneo, un’impronta personale. Alla fine la mia opinione, e non credo di fare un torto agli altri, è che Curly Love sia il pezzo migliore del disco: per come è stata scritta, arrangiata, pensata; è una canzone diversa da tutte le altre dell’album, e  il fatto stesso che sia stata registrata in studio alla prima take, la restituisce all’ascolto esattamente come l’abbiamo voluta noi. Non a caso, a Dicembre l’abbiamo scelta per realizzare il nostro primo video, già disponibile sul nostro sito, diretto dal nostro amico Alberto Donati, figura di spicco del cinema underground qua in Romagna.

Che ruolo ha giocato l’A buzz supreme nella realizzazione di questa prima vostra autoproduzione?
A questo punto, direi decisivo in fase di pubblicazione/promozione; la loro professionalità ha dato una mano non indifferente al rinnovamento della musica indipendente in Italia, e anche nel nostro caso, le cose hanno finalmente iniziato a girare nel verso giusto… Personalmente, apprezzo la capacità di mettere in discussione la loro stessa professione, e di rispondere alla crisi del settore lanciandosi nel mondo dell’editoria digitale (da iTunes in avanti).

Quale artista italiano vi piacerebbe di aprire?
Wilco! Non sono italiani? Allora non se ne fa niente.

Curly Love – Preview

Curly Love – Video

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