Sempre con il naso rivolto verso il cielo, perchè lì tutto accade in modo meraviglioso, secondo un codice diverso, magico, di illusioni che non fanno male e ipotesi che si lasciano addomesticare. Parte da lì la band di Aversa capitanata da Nicola Mottola. Parte dal cielo, dalle sue stelle, dagli addii. Badate bene, addii che sono amori. Ed è il cielo a far piovere melodie che giocano al rock pulito pulito mischiato al folk universale e alle schiarite di pop. Un pizzico di quella malinconia dei romantici, la gioia come amuleto, i colori come antidoto. Dall’immaginario strumentale di Export for malinconique al cantato fanciullino di Unhappy the land where heroes are needed or lalalala, ok. Sotto la pioggia, mentre il cielo gonfia e sgonfia palloncini, ho incontrato Nicola per parlare di quello che la musica certe volte vede.
Il secondo disco de Il cielo di Bagdad ha un titolo per niente semplice. Oserei definirlo stratificato, nel suono e nei sensi che evoca. Me ne parli?
Mi hanno sempre affascinato i dischi con un titolo lungo, complicato o addirittura con due titoli, è come dare una seconda possibilità alle cose. A volte basta guardarle con una prospettiva diversa, per vederle meglio, capirle.
Il disco è dedicato a quegli eroi che non fanno troppo rumore. Chi sono?
Il nostro secondo disco è dedicato agli eroi che non fanno rumore e anche se lo fanno, non li sente nessuno.
Ci sono eroi così semplici, ma difficili da trovare. Mio padre, sua madre, la band che abbiamo incrociato sull’autogrill che non riusciva a mettere la benzina per rientrare a casa. La dedica è per le venti persone davanti a cui abbiamo suonato, a chi fa fatica ad arrivare a fine mese o a chi per quel mese non è proprio partito.
Quel “lalalala” spinge oltre la lingua che comunemente, da adulti, usiamo per comunicare. E mette l’accento su una modalità comunicativa quasi fanciullesca, primordiale. Il cielo di Bagdad non ha un bisogno assoluto della parola, no?
Siamo passati dalla musica strumentale ad un disco cantato. Sono le nostre prime parole, un po’ come i bambini, stiamo imparando, abbiamo scritto i testi senza consapevolezza e divertendoci molto. Ci ha aiutato tanto uno stranissimo brano cantato, pubblicato nel 1972 che, con suoni sconclusionati e pseudo-inglesi, conquistò un primato mondiale fino ad entrare in classifica negli Stati Uniti. Parlo di Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano.
Cosa è oggi il cantato per Il cielo di Bagdad?
Una liberazione, una festa, coriandoli che restano sempre e comunque in volo.
Cosa è cambiato tra Export for Malinconique e questo nuovo lavoro? Parlo di immaginario, e di conseguenza di suono che lo racconta…
Export for Malinconique è stato scritto ad occhi chiusi ed i suoni galleggiavano nel cielo con orizzonti lontanissimi, ma sempre così vicini. Unhappy è vivo, fatto di abbracci, di notti stellate, di corse tra gli alberi, di maschere colorate, di feste che non finiscono mai. Con l’usctita del disco abbiamo aperto una finestra sul mondo, anzi su tumblr (www.ilcielodibagdad.tumblr.com) dove collezioniamo, ad occhi aperti, foto, scatti, segni e parole che arrivano da un nuovo pianeta chiamato “terra”.
Alfieri del post rock alla Sigur Rós, quando avete incontrato gli Arcade Fire e avete deciso di farne un referente per il codice da usare per la vostra musica?
Nel 2003 ho visto i Sigur Rós a Prato con poche centinaia di persone (ringrazierò per sempre Fausto – oggi membro e produttore artistico della band – che mi regalò il biglietto, da allora è passato un po’ di tempo!). Nel 2005 giravamo il nostro video Tre in maniera veramente rudimentale ed io ero già in fissa con gli Arcade Fire.
Non so, a volte faccio veramente fatica a rispondere, “il tempo forse non ti restituisce mai le cose in tempo”.
Jónsi. Quanto vi ha influenzato?
Non so che dirti, quello è stato un amore democratico (sorride, ndr).
Gioia e coraggio. Quelli degli eroi. Quelli degli innamorati. Posso dire che tutta la poesia de Il Cielo è figlia delle stelle che Mottola inchioda?!
“No, quelle le inchiodo da solo e mi cadono pure in testa” (ride,ndr).
Questo disco è la somma di noi, sono tutti i nostri colori messi assieme; è vero, nel cielo ci sono tante stelle, ma sotto al cielo c’è chi le inchioda, chi le interpreta, chi non le vede mai e chi ne disegna sempre una e, con gioia e coraggio, gli dà anche i nomi.
Mottola, la vostra musica suona di amore. L’amore è addio?
L’amore ci alimenta, ci dà forza ed ogni forma di speranza sembra e resta viva.
Credo che oggi, con i ritmi dettati “da non so chi”, l’addio sembra davvero l’unico atto d’amore eterno. Si ama sempre di più ciò che si è visto andare via, anche se poi a rincorrerlo ti manca il fiato.
Quale brano ti è costato di più, emotivamente?
Durante la realizzazione siamo stati travolti dai brani. Il disco è stato scritto in una cascina tra le colline del Sannio, con lunghe distese di grano davanti a noi, in compagnia di tre cani, due femmine e un maschio.
Personalmente, emotivamente, mi è costato più ascoltare i brani uno dietro l’altro che rivedere un vecchio film di famiglia o di una vacanza che non tornerà.
Trees’ Love è il brano che mi piace di più. Perché?!
Perchè corre più di noi (il cuore).
Il Cielo di Bagdad ha dei nuovo membri. In che modo hanno influito sullo spirito della band e sulle modalità di composizione?
Ciò che ci è accaduto, credo e crediamo, sia stato un’ evoluzione naturale.
Da tre elementi siamo passati a sei senza nemmeno chiedercelo. Non viviamo insieme, anzi. Ognuno è perso un po’ nel proprio mondo, ma siamo molto amici, ci conosciamo da tempo.
Credo che Fausto Tarantino ed Enrico Falbo abbiano dato un enorme contributo a questo lavoro. Avevamo il desiderio di fare un disco che fosse proprio la somma di noi, come quando siamo insieme per le feste in campagna o in tour. Volevamo un disco veramente semplice e colorato.
L’artwork. Mi racconti i suoi incastri di forme e colori?
Quella sera faceva veramente freddo, avevo appena traslocato, non c’era niente e mettermi a disegnare quella copertina fu per me come vedere lei, un the caldo, gli amici, una festa, tante storie e colori.
Raccontami il cielo, adesso, mentre mi rispondi!
Ecco il cielo sopra la mia testa o almeno quello che vedo dalla mia finestra. Sembra gonfiarsi e poi sgonfiarsi, sembra raffreddato, o almeno, ha voglia di coprirsi, però poi di notte “S’illumina, la notte poi s’illumina, si spengono i cartelli luminosi e piove luce intorno a noi” (forse). (S’illumina, Colapesce)