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Una sbornia musicale: Primavera Sound 2012

San Miguel Primavera Sound 2012-Barcellona
Report Semiserio e molto Personale di una sbornia musicale.

E’ primavera, è tempo di Festival… e quindi a Gennaio ho già in mano il biglietto aereo per Barcellona, dove si tiene uno dei più prestigiosi e meglio organizzati festival di musica europei.
Quest’anno per la prima volta il Festival raddoppia e il weekend dopo la kermesse barcellonese si sposta a Porto, col nome di Optimus Sound.
Lo diciamo subito, il Primavera si riconferma come uno degli eventi più importanti, nonostante defezioni dolorose (Björk) e cancellazioni dell’ultimo momento (Melvins, El-P).
Miei compagni di viaggio saranno Tato (OfeliaDorme) e Marcello (33 Ore), ma basta arrivare all’aereoporto Marconi di Bologna per ritrovare una piccola quanto prestigiosa rappresentanza bolognese.
Siamo in fila al gate e ci sono un po’ di amici e conoscenti, con cui poi condivideremo parte dell’avventura: i ragazzi di Sfera Cubica (che ricordiamo con orgoglio essere l’ufficio stampa italiano del Primavera Sound), la bravissima fotografa Francesca Sara Cauli, l’amico Marco, Cecilia di DLSO e altri.
Poche ore più tardi da Pisa partiranno anche Andrea e Fabio di A Buzz Supreme, insieme a Sfera Cubica, responsabili della prima presenza di artisti italiani al Festival (e meno male).
Siamo in verità tutti molto turbati dalla violenta scossa di terremoto che ci ha colti di sorpresa poche ore prima della partenza, tanto che quasi ci sentiamo in colpa ad essere lì in aereoporto; riusciremo ad essere un po’ più rilassati solo all’arrivo a Girona.
Tuttavia il pensiero dell’Emilia-Romagna che trema non ci abbandonerà un momento in questo viaggio, portandoci continuamente a scambiarci notizie in merito.
Il Festival prevede alcuni eventi collaterali, in particolare una serata di apertura ed una di chiusura.
Il 30 maggio infatti all’Arc de Triomf si svolgono una serie di concerti gratuiti: Jeremy Jay, The Wedding Present, Black Lips.
Lo dirò senza filtri, non mi è piaciuta la serata all’Arc de Triomf, non mi sono piaciute le performances e soprattutto si sentiva piuttosto male.
Ma perchè addolorarsi? Ci aspettano 3 giorni di fuoco!
Per ragioni di spazio e anche di gusto personale, parlerò solo di alcuni dei concerti a cui ho scelto di presenziare.
Un rapido excursus e le sensazioni e i pensieri che mi sono appuntata a caldo, lì tra la folla (se riesco a decifrare la mia calligrafia):

31 MAGGIO:

GRIMES – Il tempo di affacciarci e renderci conto che era murato (come prevedibile, Grimes è la nuova icona dell’hipsteria indie). E’ sola con le basi, forse avrei potuto tenere duro un po’ di più ma no… non la capisco. Inoltre suona sul palco del Pitchfork, che come avremo modo di vedere più avanti è stato il peggiore in termini di resa sonora.
Procediamo oltre.

LEE RANALDO – E’ vero, sono affezionata ai Sonic Youth, come se fossero i cugini con cui ho passato un casino di tempo insieme quando ancora avevo i capelli ossigenati… non posso perdermelo.
C’è grande interazione col pubblico, tra un brano e l’altro Lee se la chiacchiera allegramente raccontando episodi della sua adolescenza e di una certa “Christine”.
A fine set tira fuori una cover dei Talking Heads, Thank you for sending me an angel.

AFGHAN WIGS – Suonano sul Palco San Miguel, davanti a un pubblico numerosissimo e devoto, Greg Dulli ha sempre il suo fascino e quindi come non dedicargli un po’ del nostro tempo? Giusto per ascoltare 66 e Miles iz dead.

MAZZY STAR – Desideravo vedere e ascoltare Hope Sandoval e i Mazzy Star da tempo, per un motivo o per un altro non c’ero mai riuscita… purtroppo devo dire che non sono rimasta particolarmente soddisfatta dal concerto Barcellonese…
Sul palco ci sono i sei musicisti ma la voce di Hope, almeno tutta la prima parte del concerto, rimane indietro… ed è un peccato; è sempre mezza girata di spalle, verso il batterista, non sembra molto interessata a tenere il palco.
Scivolano sinuose Halah e Look on down from the bridge.

MUDHONEY – Ci arrivo di corsa, in volata dal concerto di Mazzy Star che lascio a metà. Il palco dell’ATP, sotto, espolde di gente, riesco a seguire un po’ di concerto dalle gradinate, in cima. Il pubblico è in visibilio.
Il palco dell’ATP si riconferma uno dei miei preferiti e per l’acustica e per gli acts che lo calcano. A proposito, poco dopo avrebbero dovuto suonarci i Melvins… invece a 20 minuti dal concerto troveremo attaccati ovunque dei fogli A4 ad annunciare la cancellazione dell’evento. Perché? In concomitanza ci sarebbero stati i CURE.

WILCO – Oh… finalmente riesco a vedere i benedetti Wilco, altra band che desideravo saggiare live da tempo e che, per sfighe varie, non ero mai riuscita a vedere.
Jeff Tweedy e il suo cappello di paglia, Neils Cline e la sua chitarra eccellente… musicisti della madonna. Questo è stato un gran concerto e loro sono una gran live band. Impeccabili.
Segnalo Poor places in apertura e Art of almost, At least that’s what you said, Impossible Germany, I’m always in love in chiusura con Tweedy che snocciola la parola “amore” credendo fosse spagnolo…ehm… è italiano, Mr Tweedy!
A un certo punto racconta che l’anno prima era saltata l’elettricità e che col pubblico avevano cantato insieme una canzone; domanda se vogliamo farlo di nuovo! Il brano è Jesus, etc.
Grandiosi.

THE XX – Si esibiscono sul MINI, il palco più lontano e difficile da raggiungere, è imbucatissimo!
Dal palco raccontano che è il primo festival a cui partecipano da due anni a questa parte.
Minimali, talmente ridotti all’osso da risultare a tratti sfuggenti e inconsistenti, però molto gradevoli, e con un bell’uso delle due voci.

1 GIUGNO
I giorni che più aspettavo, per via della programmazione particolarmente affine al mio palato, sono stati 1 e 2 giugno.
La mia schedule dell’1 prevedeva infatti Other Lives, la band che mi ha completamente conquistata come non succedeva da tempo, Dirty Beaches, Rufus Wainwright, Marianne Faithfull, Lower Dens, Melvins, The Cure, Dirty Three, Codeine.
Inutile dire che non sono riuscita a vedere tutto quello che avrei voluto, un po’ perchè spesso i concerti erano quasi in contemporanea (quel che più ti fa stressare ai Festival), un po’ perchè  spesso i programmi cambiano in corso d’opera..
Menzione speciale per la rappresentanza italiana; verso l’ora di pranzo abbiamo infatti avuto la possibiltà di vedere gli showcase di Boxeur the Coeur, nuovo progetto solista di Paolo Iocca, e di The King of the Opera, nuovo moniker sotto il quale si celano Alberto Mariotti e soci.
Lo showcase si teneva nell’Hotel di fronte al Parc del Forum, quello dove alloggiavano gli artisti e gli addetti ai lavori, per intendersi. Sotto un sole per nulla tenero (meno male che c’erano degli ombrelloni) di fronte a giornalisti e operatori di vari Paesi i ragazzi hanno eseguito 20 minuti di set ciascuno riscuotendo notevole consenso.
Peccato che, essendo San Miguel lo sponsor di tutta la manifestazione, l’unica cosa che potevi bere era birra, accompagnata da leggerissimo fingerfood tipicamente spagnolo; cioè principalmente roba fritta. E io che volevo un succo di frutta! Aalle 14 eravamo già leggermente storti! Forse è per questa ragione che non ho seguito pedissequamente la mia schedule!
Nel pomeriggio poi Boxeur the Coeur si sarebbe esibito sull’Adidas Stage, il palco per le nuove proposte e dietro il quale si celava la zona ristoro per i Pro.
Il 2 sarebbe toccato a King of The Opera.

OTHER LIVES – Premetto, sono di parte, forse sono anche poco obiettiva quando la musica mi eccita in maniera così evidente e mi scuote emotivamente, ma secondo me gli Other Lives sono stati spettacolari, coinvolgenti, mi hanno scombussolato completamente.
La band di Stillwater, Oklahoma, porta sul palco un mondo parallelo, e un bel connubio di strumenti acustici, elettrici ed elettronici. Per niente poser, quasi un po’ retrò, suonano qualche brano dal primo album e poi quasi tutti i brani di Tamer Animals, un disco che devo nascondermi da sola per impedirmi di ascoltarlo ossessivamente.
Aggiungiamo a ciò che a fine show io e Tato siamo riusciti a fare due parole con Jesse, il frontman… e il gioco è fatto.
Sono già appagata.

DIRTY BEACHES – A posteriori lo posso dire, il Pitchfork stage è stato in assoluto il peggior palco della rassegna, almeno a mio avviso, non per la qualità delle band proposte (anche se su alcune avrei da ridire) ma per l’acustica.
Non so che problemi abbiano avuto, ma la resa sonora era sempre pessima..
Devo dire la verità, non mi ha folgorata Dirty Beaches versione live, tanto tremolo, loop ossessivi, drumming a tratti industriale.

LOWER DENS – Ecco un’altra delle band che aspettavo a gloria, curiosissima di vedere come sarebbero stati live.
Nootropics, l’ultimo disco, l’ho ascoltato un bel po’ e pure il penultimo.
Però hanno suonato anche loro sul Pitchfork, fatto sta che dal primo brano hanno avuto notevoli problemi, in particolare la batteria copriva tutto, la cassa andava in risonanza e creava una specie di nota lunga che devastava il tutto.
Non ho molta pazienza, e detesto i problemi tecnici; perciò lascio lì Tato che, coraggioso, si vedrà il set fino alla fine (raccontandomi del litigio su palco tra Jana Hunter e il chitarrista Will Adams).
Sorry, guys… sarà per un’altra volta.

Tra una corsa e l’altra, zigzagando in mezzo alla gente e buttando un occhio ai palchi, ci scappa un salto da Rufus Wainwright; giusto in tempo per verificare che ha una band di tutto rispetto alle spalle, una corista con una voce incredibile che a un certo punto canterà una canzone molto, troppo lunga da sola, e che il suo sarto è di certo lo stesso di Elton John.
Mentre corriamo a vedere i Melvins notiamo questi fogli in giro con su scritto “Melvins cancelled”.. .accidenti… che sarà successo?
Ne approfittiamo per mangiare (non ce n’è mai il tempo!) perchè poi ci scappa un salto dai…

THE CURE – Diciamocelo… anche voi che, troppo alternativi e troppo avanti, se uno vi dice “ora vado a vedermi i Cure” storcete il naso perchè ascoltate solo le band che vi propina Pitchfork (ottimo, ma anche lì qualche cantonata la prendono spesso)… alla fine c’eravate tra le 40000 persone che ballavano e cantavano indemoniate sotto il palco grande, il San Miguel dove i Cure hanno suonato per tre ore. Io vi ho visti, c’eravate!
Come si fa a non voler loro bene? Hanno scritto un pezzo di storia della musica, e dopo 30 anni ce/ve le suonano ancora.
Che poi tutt’ora ci sono centinaia di bands che si ispirano palesemente a loro, anche in Italia.
Bravi Robert e soci, mi avete regalato 40 minuti di goduria e memorie… soprattutto quando avete eseguito A forest.

DIRTY THREE – Ok, amo Jim White, lo amo anche quando suona la batteria con Nina Nastasia in dischi che sembrano un’unica piece.
Ma a Warren Ellis, che gli hanno dato?
Quello in Australia dorme sicuramente con una carabina sotto il cuscino e un serpente accanto al letto.
Abbandono quindi il pubblico in estasi per i Cure e mi avvio con i fidati compari Tato e Marcello al palco dell’ATP, secondo me  (l’ho già detto?) il migliore.
Ed eccolo lì Warren, che bestemmia sputa ed inveisce pure contro i Cure.
Ogni tanto il diavolo si impossessa di lui ed inizia a scalciare come un forsennato, principalmente rivolto verso il povero chitarrista Mick Turner che, sarà stata suggestione, dava l’impressione di temerlo fortemente… ed indietreggiava ogni volta di un passo.
Concerto intensissimo, con finale in crescendo in un sabbah di batteria forsennata e violino indiavolato.
Ho seriamente pensato di far parte di un rito collettivo, tutti noi nel pubblico sembravamo menadi impazzite.
Bellissima Some summers they drop like flies.
Aspri e selvaggi, ma a tratti malinconici, come solo certi scenari australiani.
Spesso associo la musica a delle immagini, film che si sviluppano nella mia testa; qui c’è un serpente a sonagli… mi aspetta, nel mentre mi osserva all’ombra di una roccia.

CODEINE – Dio benedica i Codeine, from New York City.
Sì, perchè loro ad ogni concerto esordiscono così: “Good evening, we’re Codeine, from New York City”.
Dopodichè non ricordo di aver sentito loro dire altro.
Timidamente ti conquistano, col loro slow core che ha fatto scuola, la voce incerta ma totalmente appropriata di Stephen Immerwahr che sembra chiedere “permesso” prima di trovare la sua via tra le note che sgocciolano lente e suadenti.
Tanti i brani tratti da Withe Birch , un capolavoro.
Se Warren Ellis forse coi serpenti ci dorme,  I Codeine sono invece… incantatori di serpenti.
Quando suonano D, dall’album Frigid Star, c’è un’atmosfera irreale.

2 GIUGNO
Altra giornata campale, la schedule di oggi recita:
Father John Misty, Micheal Gira, Sharon Van Etten, Jeff Mangum, Atlas Sound, Beach House, Wild Beasts, Shellac, Yo la tengo, Justice… e non so più che altro!

FATHER JOHN MISTY – Mi è piaciuto tanto il disco di Father Jhon Misty, nuova incarnazione di Josh Tillman, folk singer con all’attivo già un pugno di album ed ex batterista dei Fleet Foxes.
Speravo si presentasse con la band, invece nell’Auditori, posto supendo e con un’acustica eccezionale, si presenta da solo, chitarra e voce; la voce ce l’ha , la presenza anche, ma esegue i brani un po’ tutti alla stessa maniera, facendo molto il piacione, intervallando i testi delle canzoni con battute divertenti ma alla lunga anche un po’ fuorvianti.
Il ragazzo si butta insomma sul cabaret, offrendosi tra un pezzo all’altro ai fotografi nelle pose più assurde ed ironiche.
E’ anche un bel tipo, però le versioni troppo edulcorate dei brani del disco non convincono appieno.
In particolare il mio brano preferito, Hollywood forever cemetery risulta davvero un po’ piatto.
Rimandiamo al prossimo show, possibilmente con band.

MICHAEL GIRA – Ci piace quest’uomo, a volte ci incute anche timore.
Seguo parte del concerto, riesco a godermi, tra le altre, Oxygen.

SHARON VAN ETTEN- Stupenda. Potrei non dire altro… smetto qui? Giustamente volete saperne di più.
Sharonetta ce la vediamo da sotto palco, io e Tato, emozionati come due adolescenti.
Siamo emotivi, che ci possiamo fare?
Tanti i brani dal nuovo album Tramp, ma anche qualche ripescaggio dai lavori precedenti, tra cui segnalo l’ottima resa di Don’t do it.
La ragazza ha un’aria meno sofferta che in passtao, speriamo che il prossimo disco non parli più del famoso fidanzato bastardo che non smetteva di ripeterle quanto fosse scarsa musicalmente..
Scherzi a parte, bello show, bella voce, bravi i comprimari sul palco, stupenda Serpents.

J.MANGUM – Vedi alla voce “Mitologia”. Entriamo un po’ in ritardo nell’Auditori e la gente è accalcata sotto il palco in adorazione come se dovessere baciare i piedi alla Madonna.
A me piacciono molto i Neutral Milk Hotel, però la situazione mi sembra un po’ eccessiva..
Con una chitarra gracchiante (e la voce pure) ascoltiamo un po’ di classiconi tra cui la stupenda
Two-Headed boy.

ATLAS SOUND – Di nuovo problemi tecnici al Pitchfork. Questa volta però rimango a vedermi il concerto: c’è colo lui, Bradford Cox, chitarra voce ed effetti..
Il concerto migliore visto su questo palco; uno dei pochi che è riuscito a tenere bene il palco da solo. Voto 7/8.

BEACH HOUSE – Bravi i Beach House, bel suono, voce affascinante, ma poco fantasiosa e molto ripetitiva nella scelta delle linee vocali.
Onestamente, li ho trovati molto freddi e a tratti pure un po’ noiosi.

SHELLAC – Piano piano si riempie lo spazio di fronte all’ATP. Segnalo i pantaloni arancioni fluo del bassista. Sono potenti, politicizzati, hanno qualche problemuccio tecnico (chitarra e/o ampli) ma portano a casa il concerto.
Segnalo Copper, Steady as she goes, A prayer to God, Wingwalker.

Siamo sazi, la sbornia musicale non ci abbandonerà per almeno un’altra settimana… ci voleva!
E’ tempo di tornare a casa e fare anche noi, nel nostro piccolo, quella cosa meravigliosa chiamata MUSICA.

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