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Salendo per il crinale, tra furia e poesia: Marlene Kuntz @ Festa Democratica di Modena 07/09/12

Ritengo che alcune band siano come montagne, alberi secolari, il mare: qualcosa che c’è e ci sarà, un’entità a cui non penso assiduamente, ma che riesce a  stupirmi ogni volta che mi ci imbatto. È così che riaffiorano i ricordi, emozioni, addirittura parti di me stesso dimenticate ed impolverate.
Senza ombra di dubbio i Marlene Kuntz sono uno dei più grandi gruppi rock italiani; lo sono per diversi motivi. Prima di tutto, sicuramente, per via dell’energia potenziale che contiene ogni pezzo; fin dalle prime note la si può percepire, e si sa che nello sviluppo della trama musicale questa si scaricherà con fragore in un lampo, oppure misurata, dolcemente di nota in nota. Il carisma è la seconda qualità che fa della band cuneese un pezzo da novanta: Cristiano Godano concentra su di sè tutta l’attenzione del pubblico lasciando il resto della band libera di esprimersi al meglio. Godano catalizza sguardi, pensieri, critiche, fanatismi, vibrazioni reali ed emozionali; pochi altri riescono ad essere così fortemente il fulcro di una band, così capace di rendere la musica un’esperienza sensoriale da lui dominata. Come ultimo elemento, di questo stringato elenco di qualità attribuite ai Marlene Kuntz, è da riconoscere l’indubbia e rara capacità di reinventarsi senza perdersi mai, con una fiera cocciutaggine che talvolta riesce ad attirare un mare di critiche sul quale la band continua a remare, senza cedere o cambiare passo. Alcuni fans, delusi dai toni più morbidi che caratterizzano le ultime pubblicazioni, non si accorgono che i veri artisti “venduti” sono coloro che tendono costantemente a rispondere alle richieste del proprio bacino d’ascolto, al quale offrono soltanto un prodotto di mercato realizzato su misura, cucito addosso, salvo da critiche ma anche povero di vera creatività artistica (quella conquistata con coerenza, fatica ed ispirazione).
Stasera mi trovo a Modena, presso la festa del PD nella piacevole cornice dell’Arena sul Lago, a pochi metri da qualche giostra e l’immancabile stand di tigelle e gnocco fritto.
Assisterò ad un concerto dei Marlene Kuntz a distanza di un anno dall’ultimo al quale sono stato (link) e in questo anno di cose ne sono successe, una su tutte: Sanremo 2012.
Criticata ed acclamata (più la prima che la seconda) la partecipazione della rock band al festival della musica italiana ha fatto discutere aspramente: un brano non propriamente brillante e un emozionante duetto con Patti Smith sono stati gli oggetti di lunghissime discussioni tra fans e critici musicali. Ciò che conta ora è che i Marlene Kuntz siano sul palco. Stanno iniziando a suonare: Ape Regina.
Iniziano proprio così, con pura strafottenza rock. Tutta la lunga parte iniziale del concerto è composta da brani storici ma non vere e proprie pietre miliari: i Marlene Kuntz hanno scelto di portare in tour una scaletta azzardata, con pezzi ostici e spigolosi quali Cometa, Quasi 2001, Il naufragio, Cara è la fine. Brani che riportano la memoria ai primi album. A differenza di me, che per semplici questioni anagrafiche non ho potuto vivere direttamente il periodo dei primissimi MK, la porzione di pubblico composta da veterani è nel delirio più totale. Nostalgia a parte, riconosco che in questi vecchi brani stasera il suono è differente. Forza, rabbia, grande capacità sul palco, e pure divertimento (perché no?!), ma questa esibizione perde quell’ispirazione originale, quella spontaneità dei tempi che furono e che i dischi hanno reso immortale. Per quanto i brani vengano riproposti senza enormi stravolgimenti rispetto alle versioni originali, forse colpa (o merito?) di un suono che negli anni si è molto ripulito, questa prima parte di concerto convince a metà. I Marlene Kuntz però possono vantare un pubblico magnifico. In tanti cantano brani che hanno visto la luce quasi venti anni fa, e li cantano come se fossero passati in radio appena il giorno prima; lì dove la band non riesce ad arrivare (non è una colpa, ma una constatazione), il pubblico riempie gli spazi: questa è l’essenza del concerto rock! La condivisione, la sinergia, lo spettacolo del rock che non è mai unidirezionale.
Impressioni di Settembre, come sempre, emoziona profondamente nonostante sia stata tagliata la lunga coda strumentale. Seguono le bellissime L’abitudine, Un sollievo e la schizofrenica 1° 2° 3°, roboanti e taglienti anticipano la sorpresa: Festa Mesta, un brano la cui esecuzione dal vivo è cosa rara; i presenti lo sanno e ricambiano con un entusiasmo degno di una finale dei mondiali.
La prima parte del concerto si chiude qui, ora tutto cambia: Canzone ecologica in versione piano e voce (così come proposta nell’ultima pubblicazione Canzoni per un figlio) ribalta gli schemi precedenti. Ora sono le parole a risuonare con la loro elegante potenza indicando una nuova via: “L’umano fracasso contamina il fiato dell’universo”. Seguendo queste indicazioni il concerto intraprende un percorso più poetico ed etereo. Ineluttabile, splendida e devastante, Pensa e Canzone per un figlio (con le chitarre a sostituire l’arrangiamento sanremese il brano cambia completamente, molto più accattivante).
Il ritmo e l’intensità sonora si alza nuovamente con una furiosa e sensuale Io e me, con il suo caratteristico basso e le sonorità elettriche che rappresentano al meglio gli ultimi MK e forse anche quelli del futuro. Non poteva mancare la toccante atmosfera evocata dalle sole note di piano e dalla voce di Godano per un’intimissima versione di Bellezza: una canzone-manifesto che anche questa sera toglie il fiato. Grazie potrebbe essere il brano conclusivo del concerto, ma nessuno ci crede per davvero: la band al completo torna sul palco per intonare la forza di Sonica. L’adrenalina scorre tra il pubblico in uno sfogo consapevole, questo sarà davvero l’ultimo brano del concerto. Il live si chiude con una lunghissima e straniante coda strumentale, psichedelica, dove tutti i componenti del gruppo cercano di estrarre dai propri strumenti la maggior quantità di suoni differenti, consumando tutte le energie residue rimaste incastrate da qualche parte tra nervi, corde, tasti e pelli.
Il pubblico ringrazia caldamente, i Marlene Kuntz si congedano dopo i saluti, e a me non resta che tornare a casa, perdermi sulla tangenziale di Modena, e andare a dormire con una nuova conferma riguardo lo spessore dei Marlene Kuntz.
Una scaletta diversa dal solito, un concerto che forse non ha convinto completamente, e che suona come un ennesimo saluto a “ciò che era e ciò che è stato” (citando un’altra memorabile band nostrana). Chissà cosa ci dovremo aspettare dal prossimo lavoro della band cuneese. Chi può dire che direzione prenderanno? Di certo noi saremo qui, con la mente libera, pronti per essere nuovamente stupiti. Travolti. (Foto di Cristina Bellino)

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