Per chi volesse avvicinarsi alla figura e alla musica di Fabrizio De André, nella certezza che continuerà ad esserci sempre una prima volta, come accade nei confronti di chi, per l’alto valore dell’esperienza artistica e culturale che rappresenta, diventa un classico, Fabrizio De André. Anarchia e poesia ripercorre in maniera puntuale le tappe della vita del cantautore genovese. Dal periodo d’infanzia alla Cascina dell’Orto nell’astigiano fino alla sua morte nel gennaio del 1999, Fabrizio fu attratto da tutte quelle persone che vivevano in una stato di ingiustizia ed emarginazione. Ne cantò la bellezza nelle sue canzoni, dal suo primo capolavoro nel 1961 (La ballata del Michè/La ballata dell’eroe) ad Anime salve del 1996 (l’ultimo disco ufficiale De André in concerto risale al 1998). Visse ogni istante immortalandolo nel pensiero della libertà, dell’amore, della giustizia fra gli individui, santificandolo nell’impegno a sensibilizzare gli uomini su queste concrete e quotidiane faccende umane. Il libro delinea con chiarezza la formazione del suo pensiero anarchico (“prima ancora che un’appartenenza, un modo di essere”, diceva lo stesso cantautore) e lo rintraccia nei testi che di questo sono l’espressione. Meno efficace risulta invece la parte relativa all’analisi linguistica e letteraria delle opere del cantautore genovese, in quanto essa si presenta come un mero elenco di figure retoriche e metriche. De André aveva grandi modelli musicali (la canzone esistenzialista francese, Brassens in primis) e letterari (i grandi prosatori della letteratura russa e francese). Molti dei suoi testi, anche senza musica, risultano armoniosi ed incisivi per l’utilizzo che egli fa di tutti quegli strumenti tipici del linguaggio poetico, primo fra tutti la rima. Nessuno di essi però è mai utilizzato in maniera arida. Marca invece, nella nostra memoria, personaggi che vivono ancora, dipinti di bellezza e umanità, speranze scolpite dal destino di un uomo (“E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare”, Il suonatore Jones)
“Leggendo una novella, un libro o semplicemente un giornale, mi viene improvvisamente l’idea per un testo. Allora per ricordarla faccio una stesura in prosa. Poi, in base a questo schema, che può essere allegro, drammatico o ironico, secondo l’impulso che l’ha ispirato, invento la musica alla chitarra. Quindi, leggendo la prosa scritta in precedenza, faccio i versi in rima” ( Fabrizio De André)
Alfio Grasso, Fabrizio De André. Anarchia e poesia, Bonanno Editore 2005