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Primordialità e trasformazione: intervista a Giovanni Succi (Bachi da Pietra)

Da sotto terra respirano, nella cava covano singulti di vita e in Quintale, nuovo disco, i Bachi da Pietra plasmano il loro suono forgiato di potenza nuova. Il percorso musicale che li ha distinti nell’underground per la loro poesia ermetica ora li vede affacciarsi con un lavoro dall’attitudine rock’n’roll, che sconfina nel metal con le sue ritmiche. Tolte le etichette di genere che loro stessi rifuggono, i Bachi hanno generato nuova materia su cui farci schiantare.

Per la trilogia del tarlo nasce Quintale. La materia sonora di questo disco è massiccia e stravolge l’ascolto. Dopo tutta la strada fatta, dopo essere giunti a questa trasformazione, come stanno i Bachi in questo momento mentre si sa che tutto scorre e muta di già?
Stiamo benone, belli fessi e scorrevolissimi. Siamo strisciati fin qui. Pronti alla prossima mutazione, per adesso ci godiamo questa. Pronti a piegarci nella prossima direzione che ci garantisca uno straccio di sopravvivenza. In natura o ti adatti o muori, giusto? Ben venga la pietra. Per adesso ci adattiamo, poi moriremo con calma.

Dal blues catatonico al sapore di ruggine di Tarlo Terzo o Quarzo, dal parlato sussurrato al rock’n’roll, genere pietra, come a voi piace definirlo. E la voce si è fatta una zavorra hard rock. Questa trasformazione segna l’uscita dal torpore dell’insetto scaraventato nella realtà? Cosa ha favorito e deciso questo cambiamento?
Le condizioni circostanti e l’istinto della bestia. Ma in realtà siamo ovviamente stati plagiati completamente dall’intervento di Giulio Ragno Favero, che ci ha imposto le sue canzoni e le sue scelte su tutta la linea. In cambio ci ha dato però tanti di quei soldi che, davvero, ci ha commossi. Impossibile dirgli di no. Lui è il nostro Berlusconi e noi la sua Minetti. Come tutti gli italiani abbiamo anche noi un cuore d’oro. Love of my life.

Come siete giunti a capire che anche il primordiale  battito della techno poteva esprimervi?
Quando abbiamo visto che le nostre zampette si muovevano a tempo contro qualsiasi logica e abbiamo sentito che le antenne hanno cominciato a oscillare. Ci sono cose che non puoi resistere. Bum bum bum è una di quelle. La techno, anche solo decente, batte il rock mediocre su tutta la linea.

Il disco Quarzo trasudava echi crepuscolari, di cognizioni del dolore in testi asciutti  e laconici. Qual è la poetica di Quintale? Sangue, ad esempio, è molto teatrale, le urla iniziali evocano atmosfere esiziali …
Giusto, Quarzo è in versi, il verso solitamente è più asciutto; Quintale è prosa ritmica e si concede anche toni più bassi. Ma prima di andare oltre, fermiamoci qui. Abbiamo un problema. Non ci capiamo più con le parole. Magari proviamo a usare parole più semplici anche se le cose da dire sono difficili. Già è dura capirsi con quelle, credimi, figurati con gli esiziali teatrali crepuscolari laconici.
Ad esempio: cosa significherà mai l’aggettivo “teatrale” per te in questo contesto? Di quale tipo teatralità parli? Quando incontri musiche teatrali (.. .il melodramma, la sceneggiata napoletana o il mitico Petrolini) come le chiami, sempre teatrali? Quindi Sangue dei Bachi Da Pietra che qui definisci “molto teatrale” è tipo Mario Merola. Ci sono io col core in mano, le braccia aperte, la lacrima finta, la melodia larga, il gorgheggio tenorile e il fondale di Posillipo? Oppure Sangue dei Bachi Da Pietra è tipo avanspettacolo? Quello è teatrale, quella è la teatralità. Uno potrebbe capire quella cosa lì e andare un tantino fuori strada con l’indicazione che gli dai. In quel pezzo uso registri di voce diversi, ma francamente tutti già sentiti nel blues, nel rock, nel metal… Li definiresti stili o generi teatrali? Magari sì, in senso lato… Ma allora la faccenda si fa molto più complessa e parte da molto più lontano, qui lascerei perdere.

In Paolo il tarlo si canta “generato non creato dalla stessa sostanza del silicio e del guano”,  in Dio del suolo “mi fa sentire bene darvi l’amore e la morte insieme”: quale personale liturgia esprime questo accostamento del sacro con elementi chimici?
La liturgia dell’essere al mondo in quanto complesso pluricellulare, materia pensante soggetta alle bizzarrie insensate dell’esistenza. Liturgia molto condivisa, tranne, credo, da chi non c’è più o da chi non c’è ancora stato. Buffo: questo ammasso cellulare bestemmiante, appena può, si comporta esattamente come la più bestemmiabile delle divinità che immagina possano esistere. Quando pesta gli insetti per noia, non lo fa con rancore, lo fa e basta, per una forma di curiosità e quindi benevolenza e di amore nei confronti delle cose: sentire che suono meraviglioso fa schiacciare col piede un essere che ritieni inferiore e che in realtà è di una superiorità schiacciate sulla tua specie, sullo stesso pianeta. L’uomo si lamenta del destino, ma appena può entrare nel ruolo è il più terribile dei destini che ti possano cadere addosso. Per gioco. Un gioco che prima o poi lo consegnerà ai vermi. E meno male che esiste la morte: l’uomo già se la tira così, pensa se fosse immortale.

Le allitterazioni in Fessura scorrono meravigliosamente e questo la rende, a mio parere, un brano molto particolare. Che mi dici della tendenza al cantato quasi (sottolineo quasi) rappato?
Grazie mille, mi fa molto piacere che ti piaccia! Scorre bene! Usa pure il termine rappato, per capirci, ma sarebbe bellissimo se riuscissimo a uscire dagli schemi. Volutamente evito di rappare secondo gli schemi, non storpio la pronuncia, non gesticolo a quel modo, non dico YO ecc. Abbattere questi schemi (o anche solo un mattoncino nella muraglia di questi schemi) è un obiettivo chiaro in tutto quello che faccio. Ho registrato un disco di soli versi di Giorgio Caproni per farne sentire il suono. Nel progetto La Morte puoi sentire un rap del XIII secolo andare a braccetto con l’elettronica di Riccardo Gamondi. Ascoltalo. La parola è musica, è ritmo e suono, da sempre. La musica è lì che ti aspetta: non ti chiede nessuna etichetta se non sei tu a chiederne a lei. Quelle parole erano lì e io le ho prese e le ho dette, a quel modo, senza usare modi altri da me. Il rap è il capitolo odierno di un fenomeno che si chiama suono della parola, e gli umani ci giocano e si divertono e si annotano le cose che ritengono degne dal 500 a.C. Circa, almeno, ma sicuramente da molto prima.

Le fonti musicali più vive per la vostra ispirazione…
Chiare fresche dolci acque. Mangiando roba cruda, deve essere quasi viva. Certo serve un abbattitore per certi germi. Il blues è vivo. Qualsiasi roba negra è viva. La techno è viva.  Il rock è vivo. Vivo e vegeto perché lo uccidiamo ogni volta. Se non l’ammazzi ogni tanto, il rock muore. Va ammazzato. Così tutti diranno che è morto. Lo daranno per morto altre cento volte. Poi arriverà uno stronzo e rifarà lo stesso accordo e tutti i vivi diranno WOW! e salteranno sulle sedie. Perché sono vivi. Prima di darlo per morto: assicuratevi di essere vivi.

Le fonti non musicali per la vostra ispirazione…
La ricetta del nostro successo? Molto semplice. Rubare tutto a tutti. A chi ti piace rubi quel che ti piace. A chi non ti piace rubi quel che non ti piace e che quindi non devi fare. Siamo infami ladri bugiardi e spacciamo come tutto nostro un mondo che esiste da sempre per chiunque. Una, due, tre volte al giorno, dopo i pasti, ma in casi limite anche prima, se manca l’ispirazione giusta, un toccasana! Questa sì che è una ricetta infallibile: la consiglio a tutti.

Quale apporto e novità ha dato il lavoro di Giulio Favero in Quintale?
Giulio ci ha ripagati di tutto, come dicevo. Certo ha stravolto il nostro intento originale di produrre un disco concentrato sul frullo dei passeri nelle diverse condizioni atmosferiche. Alla Tempesta non piace avere a che fare con le condizioni atmosferiche. I passeri passino. Se volete li frulliamo, hanno detto. Ma non gli parlare di umidità dell’aria o roba del genere. L’apporto fondamentale di Favero poi è stato quello di capire che a questo giro volevo far fuori Bruno Dorella sotto il peso delle chitarre e mi ha consigliato esattamente come. Dorella è grosso: non basta un amplificatore. Ci sono voluti tre amplificatori collegati alla stessa chitarra a manetta, all’unisono. E non sono bastati nemmeno a tenerlo troppo sotto. Bruno Dorella è un colosso irascibile. Ci suono giusto perché è meglio farselo amico.

Vista la trasformazione sonora in Quintale, avete pensato alla possibile reazione di chi vi segue dagli esordi? L’evoluzione, il cammino di un artista deve misurarsi col giudizio del suo pubblico?
Sì, ho pensato che lo avrebbe trovato divertente. Avevo in mente quel pubblico che so che esiste, nascosto da qualche parte, zitto zitto, che di solito non sente roba italiana ma ha abbassato le difese a furia di sbattere la faccia da quindici anni nei Madrigali Magri e nei Bachi Da Pietra. Secondo me sarà felice. Altrimenti pace, ragazzi, non si può essere liberi e piacere sempre a tutti. Quelli che provano a piacere a tutti, 99 su 100, non piacciono a me: quindi hanno già fallito pure loro, figurati noi. E poi i capitoli precedenti sono sempre nostri, non credo passeranno alla discografia di qualcun altro. Comprateli piuttosto, ne abbiamo ancora un sacco… Se vi piaceva di più il nostro passato, ce l’abbiamo ancora tutto qua nella bisaccia.

Cosa pensi della musica italiana underground? È in buona salute?
Mi pare di sì, caspita, la vedo sempre in giro.

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