Il presente esaminato alla luce di ripensamenti sul passato. Questo è il tema portante di Afterthoughts, l’ultimo lavoro dei Nosound. I ricordi mancati per aver preso diverse strade lungo momenti decisivi della nostra vita. LostHighways saluta il ritorno del progetto post-progressive di Giancarlo Erra che stregò l’etichetta inglese Kscope. Questo lavoro risulta ancora più intenso ed emotivamente più coinvolgente dei precedenti, grazie anche all’apporto della batteria di Chris Maitland (Porcupine Tree). Abbiamo approfondito Aftethoughts intervistando Giancarlo rapiti da un non-luogo dove la musica, l’esistenza e l’arte si incrociano alla perfezione.
Iniziamo dal titolo, Afterthoughts ovvero ripensamenti. Questo tuo ultimo lavoro potrebbe essere considerato un concept?
Dietro questo lavoro non c’è proprio un’idea di concept coscientemente voluta dall’inizio del concepimento artistico. Forse dipende dal mio classico modo di lavorare ad un disco, sono solito concentrare tutta l’attività creativa in pochi mesi e quindi la musica ed i testi risultano alla fine un prodotto artistico omogeneo. In particolare il titolo di questo disco è dettato da una principale differenza a livello tematico rispetto ai dischi precedenti. Negli album precedenti la scrittura racconta il passato visto nel passato, mentre in questo ultimo lavoro attraverso il concetto del ripensamento si vuole analizzare il presente in base al passato, il presente esaminato e filtrato dagli effetti positivi e negativi di cause accadute nel passato, il retrocedere nel passato a dei momenti di biforcazioni temporali inevitabili o meno, che hanno portato allo stato attuale della tua vita.
Tra A sense of loss e Afterthoughs c’è stato un cambiamento di line-up nei Nosound. Nuovo valore aggiunto è Chris Maitland, il batterista dei Porcupine Tree. Quanto ha contribuito al tuo progetto? Penso soprattutto all’aspetto evocativo che ha sempre contraddistinto il tuo sound…
Il contributo è stato notevole, perchè la batteria di Cris è molto caratterizzata e quindi ben si presta ad intensificare i contrasti piano-forte- fortissimo della musica evocativa dei Nosound. Nuove persone hanno compreso le mie idee ed hanno voluto aiutarmi a renderle al massimo dal punto di vista creativo. Il cambio di line up ha portato nuova linfa, una grande fortuna quindi. L’entusiasmo e l’energia che hanno fornito questi nuovi componenti ha avuto un imponente riflesso sulle atmosfere del disco che sono state molto più intime ed emotive.
Wherever you are è un brano molto alla Steven Wilson ultima maniera. Come è nato, sia dal punto di vista sonoro che testuale?
Di solito i miei testi nascono in tempi diversi rispetto alla stesura della musica. In Afterthoughs fa eccezione solo Two Monkeys, dove musica e testo sono stati pensati contemporaneamente. Wherever you are è un testo autobiografico ed è riferito ad una storia, all’evolversi di una storia. La cosa che mi è sempre piaciuta del pezzo è che segue nella sua struttura le parti del testo: vi è una prima parte acustica che racconta la storia, poi una parte dove la batteria di Chris diventa più incalzante e quindi fornisce colori più scuri alla parte strumentale che rappresenterebbe i momenti bui ed infine un’ultima parte più malinconica, più votata alla speranza, ad un “noi” rispetto all’ “io” introspettivo della prima parte del brano.
Siccome noi di LostHighways.it siamo sostenitori di quella sinergia che si viene a creare tra arti diverse nel nome della sinestesia, mi piacerebbe approfondire il video di Wherever you are. In particolare è stato prodotto da te e quindi sarebbe interessante scoprire qualche aneddoto dietro le immagini. Una mia prima impressione è stata che fosse proprio un insieme di ricordi incastonati alla perfezione nella musica del brano, rimandando a qualcosa di più… in termini di storia…
Sorprendetemente hai focalizzato alla perfezione il video. Mi piace la definizione di insieme di ricordi. Io non riesco di solito a delegare ad altri la parte dell’artwork e del video perchè mi piace che ogni aspetto del progetto Nosound sia qualcosa di omogeneo a 360° e rispecchi quanto di personale ed intimo c’è nella scrittura del disco. Ritornando al video, è proprio un insieme di ricordi, in paricolare si rifà al periodo in cui stavamo registrando Two Monkeys per il precedente EP. Eravamo in Inghilterra vicino ad un immenso prato che improvvisamente nell’arco di una giornata poteva essere ricoperto dalla marea, proprio qui mi ha colpito l’immagine di due barche legate fra loro che passavano dalla secca all’alta marea e una di esse ferma nella secca teneva l’altra in balia del mare. Questa immagine, che è presente nel video ed è anche diventata la copertina dell’EP che ha anticipato questo disco, rappresenta proprio questo incrocio tematico visivo delle due persone di cui si parla anche nel testo di Wherever you are, due persone che si tengono per mano, l’una cerca l’altra ma magari l’altra o è già andata via o è una persona immaginata. A questo insieme di immagini-ricordo ho cercato anche di affiancare, come dicevi tu, un qualcosa di più, ricorrendo ad un’attrice per dare una forma più raccontata al video.
Mi ha colpito Paralysed soprattutto per quella parte in cui passi al cantato in italiano. Come è nato anche questo brano?
Paralysed è il primo testo che scrivo nella mia lingua madre, non era mai successo prima non per partito preso ma perchè io di solito sono fruitore di musica in lingua inglese, mi trovo di più in quella forma a pensare la musica. Inoltre a mio avviso la lingua inglese ha un pregio rispetto all’italiano, quello di contenere parole che possono avere più significati e quindi si presta di più ad un discorso di metafore per musica immaginifica, mentre l’italiano ha più parole per esprimere uno stesso concetto con diverse sfumature quindi si presta più ad un voler spiegare e focalizzare in toto un concetto. La scelta dell’italiano è stata dettata da due motivi: il primo perchè proprio quelli della Kscope un paio di anni fa mi avevano chiesto di inserire un brano in italiano, ritenendo il suono della lingua italiana affascinante, avrebbe connotato proprio l’origine italiana del progetto; il secondo motivo è invece legato sempre alla linea portante di Afterthoughts, in questo brano focalizzo sul fatto che sono paralizzato davanti ad una mancanza di ricordi di un passato che non c’è stato e che non mi ha condotto a questo presente. Questo concetto è epresso alla perfezione dalla parte in italiano quando parlo di porte chiuse, non sapremo mai cosa sarebbe successo se non ci fossimo chiusi alla spalle delle porte, quali esperienze e quali ricordi ci saremmo portati dietro oggi nel presente, quindi in questo pezzo mi interessava più la mancanza di ricordi nel presente rispetto a decisioni prese nel passato che il concetto di esaminare il presente filtrato dal passato. Per me i ricordi sono fondamentali per caratterizzare una persona lungo una vita intera.
Ripercorrendo la tua carriera mi è venuto in mente Steve Wilson… anche tu sei partito come un progetto one-man band e poi piano piano hai coinvolto altri musicisti nella tua idea di musica. Steven Wilson ha fatto la stessa cosa, addirittura ora è come se fosse un maestro d’orchestra che dirige e si attornia di grandi musicisti per portare a compimento il suo progetto solista. Quanto è importante iniziare un progetto musicale nella forma one-man band e poi farlo ampliare nel tempo assimilando altri artisti?
Certamente non è un ragionamento che si fa a priori, è molto legato all’idea che si ha della musica. Lo stesso Wilson mi consigliò di continuare ancora come one-man band finchè non avessi le idee chiare della linea musicale che il progetto doveva seguire e poi avrei dovuto dirigere e cercare altri musicisti. Per me, e penso anche per Wilson, è stato importante partire come one-man band perchè questo è legato al concetto che abbiamo di fare arte. Per noi l’arte deve essere figlia di un’ispirazione che ricevi e che ti arriva in uno stato di solitudine introspettiva e non figlia di una ricerca forzata da giorni passati in uno studio di registrazione con altri musicisti amici a strimpellare. Solo così si mantiene pura l’idea di ispirazione artistica. Lo stesso Wilson nei primi Porcupine Tree ha adottato questo approccio e quindi il parallelismo che trovi è determinato proprio da questo motivo.
Recentemente è venuto a mancare Storm Torgeson, l’autore delle copertine di tanti dischi storici. Siccome le copertine dei Nosound hanno molte affinità con quel modo di intendere l’artwork, mi piacerebbe chiederti cosa pensi di Storm… E come è nata la copertina di Afterthoughts?
Da ammiratore dei Pink Floyd non posso aggiungere nulla di nuovo sull’arte di Storm. Ha dimostrato con maestria che una copertina di un disco può non solo essere un tutt’uno con la musica che contiene ma che addirittura può essere un valore aggiunto. È stato un grande proprio in questo modo di dare particolari chiavi di lettura ad un disco. Nel mio piccolo i Nosound cercano sempre di non fare un discorso di pura confezione a livello di packaging, ma di suggerire il mood della musica contenuta nel disco, in gergo inglese di “settare” l’ascoltatore. Come tutte le copertine dei Nosound anche questa non fa eccezione. A proposito della fotografia (sono solito scattare immagini che mi colpiscono con il mio iPhone o la Nikon), scattata in un posto del centro storico di Roma, mi ricordo di questo luogo molto affollato e di questa donna che non so chi fosse che era completamente assorta nei suoi pensieri ed assolutamente isolata dal resto. Questa immagine l’ho conservata e poi è venuto facile associarla come copertina di Afterthoughts.
Tu sei un italiano che riesce a fare musica non da italiano. Nel panorama mainstream ed underground italiano è difficile trovare artisti che riescano a produrre la tua musica e la cosa bella e che sei anche supportato da un’etichetta straniera. Quanto è difficile portare avanti un tale progetto non potendo giocare in casa e quindi partendo dal presupposto che la risonanza arriverà sempre di più dall’estero?
Sicuramente il mio progetto nasce con un respiro più intenazionale. Un progetto dal carattere internazionale è costretto poi ad essere un prodotto esportato. Questo perchè l’industria di settore in Italia guarda ai grandi numeri, alla massa e quindi ad un concetto di fare musica per fare soldi. Ho fatto questo esperimento a Natale, ho ascoltato la radio sempre agli stessi orari ed ho trovato sempre il passaggio di stessi artisti come Jovanotti, la Nannini, facendo diventare la radio una vetrina solo di grosse etichette. Questo porta non solo ad influenzare nell’ascolto i fruitori ma anche gli artisti italiani, manipolati da questo approccio alla musica. Io sono stato fortunato perchè non sono stato mai tanto ricettivo verso la musica italiana, sono sempre stato attratto da quella inglese che ha influenzato la mia scritturaa. Mi piacerebbe sottolineare che la componente di fortuna per arrivare alla Kscope è stata anche figlia del fatto che agli inizi del mio progetto ho passato più tempo davanti al computer a promuovere il mio disco verso distributori stranieri e webzine che a dedicarmi alla sala di registrazione. In pratica vorrei far capire a tutti coloro che mi tempestano di email con link di loro brani on line che è fondamentale autopromuoversi, portare avanti il concetto di crearsi una grande fanbase: solo su quella un’etichetta può investire quel minimo di partenza per poi vedere come va. Io ricordo che alla Kscope portai una dote di migliaglia di copie vendute dell’autoprodotto Sol29 e in mezza Europa. I ragazzi pensano che, una volta fatta la demo e le quaranta date nei locali della loro città e dintorni, si possa arrivare all’etichetta che gli speserà il tutto, compreso il tour. Purtroppo non hanno capito niente, internet è l’unico mezzo assoluto di promozione che ti permette di vendere le copie inviando il disco gratis a webmagazine fuori dall’Italia, cercando passaggi in radio locali e con le recensioni si incentivano i distributori ad acquistare copie del tuo disco perchè può permettere di fare margine. Questo tipo di autopromozione via internet è fondamentale, viene chiesto soprattuto da Kscope ai suoi artisti, la musica è la parte più bella ma è anche la più piccola in termini di tempo rispetto alla promozione!