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Per costruire serve bellezza, ne serve molta: intervista a Teho Teardo

Alla costruzione della bellezza si sono dedicati Teho Teardo & Blixa Bargeld in Still Smiling, opera prima di seducente splendore.
Teardo, dai trascorsi avanguardistici-industrial, è oggi, tra le altre cose, uno stimatissimo compositore di colonne sonore
. Bargeld, leader storico, pensiero forte e cuore pulsante dei berlinesi Einstürzende Neubauten, chitarrista dei Bad Seeds di Nick Cave, fine intellettuale, sperimentatore. Dal loro incontro è nato Still Smiling, un album impossibile da definire, un crocevia di differenti realtà ed espressioni comunicative.
Incontriamo Teho Teardo prima del concerto milanese all’Alcatraz, seconda data del tour italiano di presentazione di
Still Smiling.

Innanzitutto: raccontaci com’è andato il primo live al Circolo degli Artisti a Roma.
È stato emozionante perché, nonostante sia io che Blixa siamo a nostro agio su di un palco, ed anche con Martina abbiamo suonato insieme per molti anni, presentarsi davanti al pubblico per la prima volta con un nuovo progetto è sempre, fortunatamente, emozionante. Più in generale, anche quando risuono lo stesso brano che ho eseguito centinaia di volte, ogni volta per me è diverso, ogni volta mi piace sempre di più, soprattutto ogni volta mi sembra sempre un privilegio poterlo fare.

Dalla tua esperienza, qual è il grado di maturità del pubblico italiano? Mi pare ci sia un gioco al ribasso per cui si mortifica la sensibilità e l’intelligenza delle persone, dando loro quello che, a dire dei media, loro vogliono, ovvero il mero intrattenimento.
Penso che il pubblico italiano non sia stato trattato molto bene negli ultimi anni, nel senso che è stata fatta arrivare poca musica dal mondo. E non parlo solo di musica anglosassone. Un tempo gli artisti stranieri facevano diverse date in Italia. Quando cominciai a seguire Nick Cave o i Sonic Youth, ad esempio, facevano almeno 7/8 concerti all’anno, ora ne fanno uno ogni due o tre anni, nell’ipotesi migliore. C’è poca musica straniera che passa, c’è troppa musica italiana che circola.

Troppa musica italiana?
Si, le proporzioni sono sbilanciate. Abbiamo bisogno di imparare, abbiamo bisogno di ascoltare musica dal vivo, fatta da chi la fa meglio di noi. Trovo ci sia troppa musica derivativa in Italia e questo è deleterio per il pubblico italiano. Inoltre, gli artisti italiani suonano in continuazione dappertutto, riempiendo tutti gli spazi. Non ce l’ho di certo con gli artisti italiani, anzi, trovo solo che ci sia uno squilibrio.

Probabilmente ciò accade perché i live sono ormai l’unica fonte di reddito dei musicisti, visto che il mercato dei dischi è crollato.
Però noi parlavamo del pubblico: dal punto di vista del pubblico questo è deleterio.

Parliamo di Still Smiling, in particolare del pezzo che da il titolo all’album: mi ha colpito l’apparente contraddizione tra il testo che sembra essere un messaggio positivo, il continuare a sorridere nonostante tutto, e la musica melanconica, lo spleen che traspira dalle note e dalla voce, un voce notturna e introspettiva.
Nell’aspetto melanconico della musica non c’è nulla di negativo, anzi, a volte la malinconia riporta a galla i desideri: il sentire la mancanza di qualcuno è un sentimento che porta alla prossimità, a cercare di avere un avvicinamento, quindi c’è una positività in questo. In alcune note tristi della musica c’è un richiamo, “una voglia di”
. Non sono abituato a classificare la musica in positiva o negativa, ma in bella o brutta.

Continuare a sorridere nonostante tutto o grazie al tutto, laddove per tutto si voglia intendere l’arte in tutte le sue declinazioni: negli ultimi anni, in particolare nel nostro Paese, si stanno mettendo pesantemente in discussione l’arte e la cultura in generale. Inoltre, renel nostro paese,non vedo punti di riferimento forti, o meglio visibili, quali potevano essere i movimenti artistici del secolo scorso, come ad esempio l’espressionismo o il movimento industrial, ai quali sia tu che Blixa, più o meno direttamente, avete fatto riferimento. Qual è la tua percezione in merito al futuro dell’arte in questo paese, pensi che gli artisti debbano avere un ruolo?
Certo che debbono averlo. Soprattutto ora che sono scomparse le case discografiche, le quali proponevano in continuazione formati per il marketing. Bisogna approfittare di questo momento per manifestarsi con ulteriore bellezza, pensando solo di fare cose che siano belle. Spesso però, nei periodi di crisi come questo, ci sono coloro che cercano di fare il colpaccio, di portare a casa subito qualcosa. Invece credo sia importante costruire e per costruire serve bellezza, ne serve molta. Indipendentemente dalla situazione economico-politica del nostro paese, che a mio parere non vive una crisi economica, ma piuttosto una crisi strutturale, di valori e di difficoltà di andare avanti: è come se navigassimo a vista. L’obbligo degli artisti è quello di cercare di codificare questi tempi, di raccontarli ed anche di esorcizzarli per guardare oltre.

Quello che non c’è: hai affermato che il vuoto della tua città natale, Pordenone, ti ha spinto ad andare altrove per cercare il tuo percorso, forse la chiave di volta dello stallo attuale è proprio il vuoto, che dovrebbe essere uno stimolo alla creatività.
Pordenone è stata la mia salvezza e la momentanea debolezza che sta vivendo il nostro Paese per me, in qualche modo, diventa un punto di forza. È una questione geografica, di carte geografiche, di mappe da guardare: l’Italia è solo un piccolo punto sulla cartina. Credo sia necessario guardare al mondo. Sono contento che i miei dischi, quelli che pubblico con la mia etichetta (Specula Records n.d.r.), lo stesso disco che ho fatto con Blixa, girino il mondo. Adesso stiamo preparando un tour in Europa, un tour che ci porterà anche fuori dall’Europa: per me questo è importante. Se si viaggia in aereo e si passa sopra l’Italia, si vede quanto piccola sia. Allo stesso tempo, se ci si cammina a piedi, si vede anche quanto straordinaria sia. È comunque un sentimento di speranza il mio, nei confronti di questo Paese. Non farei nemmeno questo mestiere nella vita, se non fossi ottimista.

Come mai avete scelto proprio l’Italia per far uscire in anteprima europea Still smiling e per le prime date del tour?
Perché io vivo qui, con Blixa abbiamo lavorato molto al disco, si a Berlino, ma soprattutto qui. La mia base è Roma, al momento. Mi sembrava quindi significativo iniziare da qui, anche perché è un paese che amo molto, per tanti aspetti, non solo per la sua storia ma anche per il suo presente, anche nelle difficoltà e anche nell’imbarazzo dell’attualità.

Il brano Mi scusi può sembrare quasi un divertissement, con il quale Blixa introduce se stesso alla lingua italiana. In realtà si affronta il tema dell’identità legata al linguaggio: nella canzone Blixa si chiede: “chi sono io in un’altra lingua – chi sono io, chi sta cantando questa canzone nel mio corpo – posso baciare in un’altra lingua?”, un tema molto affascinante e molto attuale in questo mondo globalizzato, nel quale l’identità di ognuno viene privata dei suoi punti di riferimento.
Sicuramente, non vi è di certo un atteggiamento da “
gigione”, di uno che vuole compiacere gli italiani. C’è piuttosto una voglia di avvicinamento, di prossimità con questo Paese e la voglia di comunicare. Credo che Blixa dia oltretutto una lezione di come si canta in italiano, di come si usano le parole. Parole che non si sentono nemmeno più, nella banalità sconfortante della maggioranza dei testi che circolano. Già questo mi sembra un segno forte. Ed è significativo che sia stata una sua idea, è lui che si è presentato con questo pezzo.

Il disco è stato edificato tra Roma e Berlino. Berlino da sempre è il simbolo della distruzione e della ricostruzione: a Berlino si demoliscono i vecchi edifici, senza troppi rimorsi, e se ne costruiscono di nuovi al loro posto. In Italia invece, per lo più, si restaurano quelli vecchi. Riconosco un po’ la stessa inclinazione anche nella musica italiana, nella maggior parte dei casi poco propensa a distaccarsi dalla tradizione per sperimentare. Non so quale delle due mentalità sia più giusta, ma non sarà forse anche questo nostro approccio, questo aggrapparsi ad un passato che, per quanto maestoso sia stato, sta di fatto crollando a pezzi, uno dei motivi dello stallo culturale di cui si parlava prima, ciò che ci impedisce di costruire il futuro?
Riprendendo il tema di Mi scusi, ovvero chi sono io in un’altra lingua, c’è un’apertura verso altre possibilità. Se Berlino ha una storia recente di ricostruzione credo che faremo bene ad inventarcene presto una anche noi: per immaginarci come saremo. Il mio studio a Roma è all’Esquilino, uno dei quartieri più multietnici che abbia visto in Italia: spero che questa gente non se ne vada mai. C’è una folta rappresentanza dell’India, del Bangladesh, Est Europa, Sud America, Nord Africa. Meno male che ci sono! Mi sembra casa perché sembra mondo quello. Credo si debba partire anche da li.

Trovo molto interessante nel disco lo strano, a volte straniante, rapporto tra melodia, rumore, voce e narrazione: ci puoi raccontare l’architettura musicale di Still smiling?
Il rumore è qualcosa che ha sempre interessato molto sia me che Blixa e ciò è ampiamente documentato. Ma altrettanto la melodia. In questo disco particolarmente, affrontiamo la forma canzone, un ambito che in passato non abbiamo mai indagato così approfonditamente. È significativo che ci siamo ritrovati entrambi a farlo senza in realtà deciderlo, senza avere un piano. Semplicemente, ad un certo punto, abbiamo capito che quella sarebbe stata la direzione. Ci sono quindi canzoni che hanno anche elementi di rumore, suoni di rumori concreti. Non ho mai pensato: “adesso in questo brano inserisco questo rumore per ottenere questo effetto”. A volte però, da quel rumore è nato un intero brano. Altre volte, lavoro con un quartetto d’archi in cuffia e invece di mettere un click o la partitura che devono suonare, faccio loro ascoltare il rumore dell’autostrada o altro. Ci sono molti modi di scrivere la musica che non passano necessariamente per la notazione tradizionale, ma partono dal suono. Però dal suono è interessante arrivare alla notazione e viceversa. Io non mi sono mai formalizzato in tal senso.

Sei un apprezzatissimo compositore di colonne sonore per film, hai sempre affermato che trai ispirazione dalle parole del film, dalla sceneggiatura: qual è stata la sceneggiatura di questo disco?
Siamo partiti da una serie di bozzetti musicali, di idee che avevo e all’interno di questi Blixa ha cominciato a scavare per tirare fuori il testo. A quel punto la musica è ripartita da quel testo, ovvero è stata messa di nuovo in discussione. Poi, nuovamente il testo su quella seconda scrittura musicale. È stato un continuo rincorrersi. Non a caso il percorso di realizzazione del disco è stato piuttosto lungo.

A proposito di musica per film, come hai detto in altre occasioni, Morricone ed altri grandi compositori, hanno inventato i codici delle colonne sonore, che però essendo appunto codici, tali rimangono: tu invece cerchi nuovi linguaggi per raccontare la nostra epoca.
Soprattutto nella musica da commento, toccando i più alti vertici della creatività. Credo che loro abbiano fatto un lavoro straordinario, ma inevitabilmente legato al loro tempo. Lo splendore del lavoro di Nino Rota o Ennio Morricone, va dagli anni cinquanta agli anni settanta, ed hanno raccontato quel periodo storico in maniera straordinaria. Il momento che stiamo vivendo noi è radicalmente diverso e per essere raccontato ha bisogno di nuovi linguaggi. Se io parlassi come Carlo Emilio Gadda, sembrerei un eccentrico che si vuole fregiare di un italiano superiore alla media. Il punto credo sia un altro: com’è la lingua italiana oggi? Come sta l’italiano oggi? La stessa cosa vale per la musica: come posso raccontare questo mondo con la musica? Devo necessariamente cercare nuovi linguaggi musicali che porteranno probabilmente a definire altri codici, che a loro volta saranno usurati quando questi tempi finiranno. Nella scrittura delle colonne sonore non ha senso fare operazioni di
vintagismo e recupero degli anni settanta. Quelli erano dei maestri e, come diceva Pasolini, i maestri vanno mangiati.

Sia tu che Blixa arrivate da un ambito musicale cosiddetto alternativo, underground: credi abbia ancora senso oggi parlare di musica alternativa-underground?
No, quello che ufficialmente viene definito come underground, a me sembra tutto tranne che quello. Underground è stato un momento storico, ormai concluso. Abbiamo lì le nostre radici, i nostri riferimenti, ma quel mondo non c’è più: c’è altro e questo nostro disco ne è la prova.

Ciò che appare evidente ascoltando Still Smiling è una speciale sintonia artistica tra te e Blixa: cosa vi unisce e cosa vi differenzia, artisticamente e umanamente?
È curioso, siamo qui con le nostre famiglie e credo che questo voglia dire molto, è anche una questione di amicizia, di vicinanza. Abbiamo passioni in comune, per i viaggi, per la gastronomia. All’interno di questo c’è sicuramente tanta, tantissima musica. Lavorare insieme è stato sempre semplice e piacevole. Non ci siamo mai detti cosa c’era da fare. Abbiamo semplicemente fatto. Abbiamo fatto, discutendone. Ma non c’è mai stato un vero e proprio progetto. Ci sono persone che fanno click, si incontrano, si incrociano e non hanno bisogno di dirsi nulla. Mi sono reso conto che nella mia vita, per le cose che hanno funzionato, è sempre stato così.

Cosa ti ha insegnato la musica?
A cercare Bellezza. A cercare di stare bene con me e soprattutto a cercare di stabilire un rapporto con gli altri. La musica è un ponte verso altre persone. Altrimenti non si pubblicherebbero dischi, non si farebbero concerti. La musica è una componente di comunicazione straordinaria. È significativo ricevere mail che arrivano dall’Algeria, dal Quebec, dalla Groenlandia, di persone che hanno ascoltato brani miei e mi raccontano cosa è successo loro. Brani scritti magari quindici anni prima e che continuano a circolare. Tutto questo mi affascina ancora molto. Al mattino, accompagno i miei figli a scuola, dopodiché devo subito tornare in studio e non scrivo necessariamente musica perché ho delle commissioni. Scrivo perché ho un’urgenza.

Altri progetti ai quali stai lavorando?
Ora ci stiamo organizzando perché ci sia questo tour in Europa, inoltre sto lavorando ad un film documentario in America, per HBO, sulla vita di un senatore americano. Un’esperienza che mi interessa molto fare perché è un altro tipo di lavoro, c’è un diverso modo di relazionarsi. Continuo ad essere affascinato dal rapporto fra musica e immagini, un mondo che mi ha sempre intrigato molto. Quello che cerco è di aprire delle porte tra una situazione ed un’altra e tra il mondo visivo e quello sonoro ci sono punti di contatto che vanno esplorati ed è quello che al cinema sto cercando di fare.

E ci riesci molto bene.
Grazie di cuore.

Grazie a te, è stato un onore oltre che un piacere.

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