I Kalweit and the Spokes sono Georgeanna Kalweit, cantante e artista di origine americana, Giovanni Calella alla chitarra e Mauro Sansone, che nel 2011 prende il posto di Leziero Rescigno, alla batteria. Nel 2010 pubblicano il loro primo album Around the Edges e, dopo un’intensa attività live, nel 2012 iniziano a registrare il nuovo album, Mulch, pubblicato dalla IrmaRecords lo scorso 8 ottobre. Un disco intenso, estremamente coinvolgente, di una bellezza essenziale.
Cerchiamo di conoscere meglio questi tre artisti dalla grande e ricca esperienza, facendo una chiacchierata con Georgeanna.
Innanzitutto volevo farvi i miei complimenti. Posso dirvi che è una delle cose più belle che ho ascoltato negli ultimi tempi? L’ho trovato un album pieno di poesia e di bellezza, capace di restare legato alla realtà non proprio rosea di questo momento ma cogliendone e, soprattutto, ricordandocene il fascino.
Prima di tutto, grazie per i complimenti, siamo molto felici che il disco piaccia e che trasmetta emozioni.
Da Around the Edges sono trascorsi quasi tre anni. Che cosa è accaduto musicalmente parlando in questo periodo? Come siete arrivati alla elaborazione di Mulch? Che cosa vi ha ispirati musicalmente?
Credo che nel momento in cui io e Giovanni abbiamo capito che avremmo realizzato il secondo disco in due invece che in tre sia scattato qualcosa; la sfida è stata capire cosa ci piaceva davvero. Giovanni ha avuto modo di dare più spazio all’elettronica ed io mi sono lasciata andare alle storie che avevo accumulato dentro di me permettendo loro di uscire in forma melodica. Anche l’arrivo di Mauro ha portato nuova energia. L’alchimia tra noi ha fatto il resto. L’elaborazione avveniva in modo naturale; io proponevo alcune linee melodiche e i testi, sui quali si discuteva poi con Giovanni che costruiva, anche sperimentando, le melodie in maniera meticolosa. Musicalmente non saprei dire cosa ci ha ispirati. Ci siamo dati carta bianca, ma con la consapevolezza di voler dare una continuità al primo album.
I due dischi mi sembrano infatti legati da un filo conduttore abbastanza forte. Quali sono i punti in comune e quali le differenze?
Di certo alla base c’è l’importanza dello storytelling, la volontà di raccontare storie profonde ma anche ironiche quasi per sottolineare l’assurdità di certe situazioni, con la speranza che il pubblico goda del sound ma rifletta anche sul testo ed il suo contenuto. A noi piace “dipingere” le canzoni, renderle tridimensionali, visive, tangibili. In comune c’è il rock/post punk e una sonorità un po’ western/folk/blues, ma in Mulch ci sono anche suoni elettronici, sintetici, quasi plastici e a volte la pura sperimentazione alla batteria e alle percussioni di Mauro Sansone dà quel tocco di irreale laddove in Around the Edges c’era un sound un po’ più classico.
I brani di Mulch si dividono tra una dimensione privata e una invece più sociale. Da un lato Kate and Joan e Hank ‘s Hour, dall’altra Liquor lyle’s e Barbie bit the dust. Come nascono i vostri testi?
Scrivo in genere poesie e mini storie che nascono di getto, un po’ alla Walt Whitman, versi liberi che poi diventano canzoni quando istintivamente trovo melodie e rime. Alla tastiera cerco le note che ho in testa, le registro e poi porto il risultato a Giovanni che lo “sbobina” cercando di trovare un punto d’incontro e delineare il tutto. Partiamo sempre dal nostro privato per affrontare quello che è il sociale già percependo dal comportamento altrui se una persona è sensibile verso il prossimo o meno. Mi piace scrivere testi intimi ma universali, sulla vita di tutti giorni, con l’obbiettivo di condividerli e craare un legame con le persone.
Tu, in particolare, oltre che alla musica ti dedichi anche alle arti visive, infatti hai fatto studi storico-artistici. Questo mi fa venire in mente due domande. La prima non è strettamente legata alla musica anche se secondo me ha delle implicazioni. Secondo te, come è possibile che un Paese con un patrimonio artistico così importante e rilevante come l’Italia abbia così poca attenzione verso di esso e in generale verso la cultura e quindi anche verso la musica, sopratutto quella che viaggia fuori dai circuiti tradizionali?
Io, da americana trapiantata in Italia 22 anni fa, ho il mio punto di vista ben chiaro su questa tematica: avete quasi 50 siti patrimonio dell’Umanità e la metà dei tesori d’arte del mondo; siete saturi e viziati! Scherzo, secondo me crescete con questo paesaggio artistico intorno e sembra che non lo vediate più. Oppure ci sono stati troppi anni di cattiva amministrazione, che ha importato il peggio del mio paese, quasi distorcendo questa ossessione per il benessere apparente dal dopoguerra in poi. Per fortuna ci sono regioni come la Puglia, dove abito attualmente, gestite con lungimiranza da chi sa che è saggio investire nella cultura, e quindi nel turismo. Tutti vogliono venire in Italia almeno una volta nella vita e sarebbe opportuno iniziare a valorizzare quello che rende il paese unico: c’è la storia ovunque guardi ed è da salvaguardare per le future generazioni.
Per quanto riguarda la musica, credo che nelle radio di “massa” ci sia molta paura di sbilanciarsi. Si preferisce puntare sui prodotti televisivi, su ciò che è di moda, facile e di sicuro successo. Ma per fortuna l’Italia ha la RAI e anche Radio Popolare e quelle realtà più piccole e libere come anche le web radio. Il dramma invece è per i live. La crisi si sente e la gente esce meno, c’è meno curiosità di una volta. Rispetto all’America, qui manca il senso del live come evento sociale al di là di chi è sul palco. Non si va in un locale a sentire gente sconosciuta.
La seconda: avete già avuto la possibilità di suonare dal vivo in un luogo d’arte? Lo (ri)fareste?
Certo. Per la presentazione del primo album abbiamo suonato in una bolla d’aria di 4×4 metri in una sala gigantesca e vuota della Triennale di Milano, esperienza unica e memorabile.
Musicraiser: anche voi avete deciso di utilizzare la famosa piattaforma di crowdfunding musicale. Trovate che sia un sistema efficace e da utilizzare in modo sistematico nella musica indipendente?
Musicraiser funziona se ti impegni tanto e se hai un chiaro obiettivo, aiuta anche ad avere una fan base cui attingere o, come nel nostro caso, a raccogliere fondi per promuovere un disco già pronto (il nostro album è autoprodotto e autofinanziato) o per fare un video. Per noi è stato utile nel riavvicinarci ai nostri fan e amici per coinvolgerli in prima persona. Chi ha contribuito alla campagna ha ricevuto il disco in anteprima e noi abbiamo potuto fare due mesi di promo in radio in USA e Canada e girare il video del primo singolo Hank’s Hour a Stoccolma con il videomaker Marco Balletti.
Che genere di live ci aspetta? Ci saranno differenze tra il live italiano e quello delle date all’estero?
Il live avrà sempre un po’ di performance art all’interno, delle proiezioni e si alternerà fra momenti riflessivi e di grande carica elettrica, quando ci vuole. Non ci saranno differenze sostanziali.
Oltre all’impegno dei Kalweit and the Spokes, state seguendo anche altri progetti musicali individuali?
Giovanni è co-fondatore degli Adam Carpet e Mauro Sansone suona con Giuliano Dottori. Io resto fedele ai miei Spokes.
Ho un’ultima domanda: la copertina di Around the Edges l’avevi realizzata tu. Per Mulch invece?
L’immagine sulla copertina viene da una foto scattata da mio padre nel 1974 circa a casa di mia nonna, in Wisconsin sul lago Horn. Ci siamo io e mia sorella mentre giochiamo insieme con il muschio per terra. Visto che il disco è piuttosto autobiografico e i luoghi a cui si ispirano alcune delle canzoni sono a Minneapolis e dintorni, mi sembrava perfetta.
Io vi ringrazio ancora moltissimo per aver risposto alle nostre domande e vi faccio i nostri migliori in bocca al lupo per Mulch!
Grazie a te e LostHighways.