L’uomo deve tendere alla gioia perchè quella conduce alla perfezione… a Dio. La perfezione sonora la si raggiunge solo con la grande professionalità di musicisti che interpretando la loro parte in uno spartito diventano artisti. L’ensemble di Steven Wilson è tutto questo. Il teatro Duse di Bologna, pieno per l’occasione, è la cornice perfetta per questo The raven that refused to sing tour. Un concerto essenzialmente rock proposto in un teatro, non in uno stadio, non in un palazzetto, già si presenta come uno spettacolo diverso che richiede l’immersione totale. Venti minuti prima dell’orario uffiiciale dell’ingresso della band iniziano a scorrere immagini sullo schermo posto dietro gli strumenti. Immagini di un angolo di strada qualunque, in prossimità di un marciapiede qualunque, di fronte ad un muro di mattoni rossi qualunque. Scorre microvita quotidiana che si alterna a frammenti di documentari in bianco e nero con sprazzi di Haze dei Bass Communion (n.d.r. iniziale side project elettro-ambient di Steven Wilson). All’improvviso in quell’angolo di strada, in tutto questo flusso di vita, arriva un uomo raccolto in un cappotto con una custodia di chitarra. Si ferma, prende la chitarra, si poggia al muro ed inizia a suonare i primi accordi di Trains dei Porcupine Tree… lo schermo diventa tridimensionale, il suono della chitarra arriva ora da dietro le quinte… compare Steven Wilson che suona lo stesso brano in parallello all’uomo dello schermo alle sue spalle… sulle tracce della passata carriera di Steven Wilson inizia il concerto. Luminol è il brano che apre le danze, una sorta di warming-up delle doti artistiche di matrice jazz dei membri che compongono la band di Wilson. Quindi c’è spazio per la versione rivisitata di The Holy Drinker presente nel nuovo EP Drive Home, dove Steven Wilson si esibisce in una performance al basso a sottolineare ancora una volta il suo talento di polistrumentista. Steven Wilson mostra anche di modulare l’atmosfera della serata con dei simpatici intermezzi-siparietti: una volta scherzando con le capacità cinematiche del suo chitarrista Guthrie Govan, un’altra volta giocando sul fatto che una nuova canzone che sta proponendo in questo tour cambia titolo ogni sera, o un’altra volta dove, introducendo il suo amore per il mellotron, sottolinea che se in sala ci sono molti che amano questo suono significa che ci sono molti vecchietti come lui in platea. Il concerto scorre come un film ricco di colpi di scena senza mai perdere l’attenzione del pubblico, tutto questo grazie all’effetto visivo delle immagini di Lasse Hole proiettate su un velo-schermo che scende sul palco durante la parte centrale della set-list (da The Watchmaker a Harmony Korine, passando per Index e Sectarian). Il concerto regala due momenti inediti, Dead Man Gloves e Happy Returns, che testimoniano ancora una volta una vena pop commistionata al jazz-rock che caratterizzerà il prossimo disco. Steven Wilson non vuole dimenticare il suo passato come ha fatto intendere all’inizio del live e quindi lo termina con Radioactive toy dei Porcupine Tree e Ljudet Innan dei neonati Storm Corrosion (altro side project con Mikael Åkerfeldt degli Opeth). Una standing ovation per più di due ore di magia musicale ad alto livello, in un coinvolgimento a 360° gradi che di questi tempi è difficile provare in un concerto rock. Steven Wilson non è un semplice musicista di matrice progressive-rock ma un artista che non si vuole sentire in catene di genere e vuole solo esprimere con passione l’amore che ha per la musica, in altre parole un talento libero. (Gallery di Emanuele Gessi)
Home / Editoriali / Live report / Più di due ore di magia sonora: Steven Wilson @ Teatro Duse (BO) 13/11/2013
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