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Cantautore della vita inquieta: intervista a Liprando

Francesco Lo Presti aka Liprando è un cantautore di provincia (Caserta) che approda al suo secondo lavoro solista: La vita Inquieta. Ci ha colpito per il modo in cui vede il mondo e la vita. Ci ha colpito soprattutto il suo modo naturale e profondo di costruire canzoni pop sporcate di elettronica senza riconoscere marcatamente nessuno dei suoi possibili riferimenti, in bilico tra Radiohead e Riccardo Sinigaglia. Si tratta di un cantautore diverso da quelli che stanno emergendo dall’underground italico recentemente, tutti molto simili a quel  Rino Gaetano che non è stata l’unica risorsa storica della musica cantautorale italiana. Vi proponiamo un’intervista ricca di contenuti a testimonianza dello spessore di questo inquieto cantore su cui vogliamo, assolutamente, puntare!

Qual è la poetica alla base di questo tuo secondo disco? 
Questo disco è nato essenzialmente con l’obiettivo di esprimere due temi per me fondamentali in questo periodo: sul piano espressivo, l’autenticità, ricercata attraverso il minimalismo e l’essenzialità dei suoni e degli arrangiamenti; sul piano dei contenuti, l’inquietudine di vivere, come per l’appunto lo stesso titolo indica; quella inquietudine, cioè, che tutti più o meno sperimentiamo e che deriva dalla difficoltà di gestire le contraddizioni della nostra natura, di confrontarsi con gli enigmi irrisolti che ci vengono dall’esperienza di vivere, di accettare i limiti incomprensibili dell’esistere come mente infinita in un corpo finito.
Ovviamente, in sintesi, questi sono stati gli intenti; che siano stati raggiunti o meno, non posso essere io a dirlo; diciamo che tuttavia mi ritengo soddisfatto di ciò che ne è venuto fuori.

Nell’ambra è un brano geniale nell’immagine-metafora su cui si basa. Quanto è importante lo spirito di osservazione, il filtro con cui si legge la realtà per essere poi ispirati a scrivere un certo tipo di canzoni?
Credo sia importantissimo. Del resto, le cose che osserviamo sono sempre e comunque la restituzione di uno sguardo. Tutto ciò che è intorno a noi, pur apparendoci come oggettivo, è in realtà determinato dal nostro modo di guardare, di interpretare, di ricostruire significati a partire dal nostro materiale interno. C’è sempre bisogno di occhi che guardano per avere un racconto e, nel mio caso in particolare, io credo che la luce ed i significati che a volte assumono nella mia esperienza gli oggetti, le persone e gli eventi che mi circondano sia certamente determinante nell’indicarmi una visione attraverso cui provare a dire qualcosa con musica e parole… ma forse questo è inevitabile… In ogni caso, grazie per gli apprezzamenti.

Come nascono i vestiti/arrangiamenti elettronici dei tuoi brani?
Si tratta di un lavoro che si muove a partire da alcune suggestioni melodiche che trovano poi nella ricerca di un suono la loro forma migliore. Come dire, all’inizio c’è una melodia o un giro armonico, che nascono entrambi in modo pressoché istintivo, a partire dall’emotività e dalle suggestioni di un momento. Muovendomi da questa melodia o giro, cerco i suoni o il suono che a sua volta mi sembra coerente con le note, in grado cioè di evocare e rievocare le emozioni che all’origine ho sentito. Si tratta di un lavoro appassionante, di grande concentrazione e astrazione allo stesso tempo. In questo senso, l’elettronica offre grandi spazi e frontiere quasi illimitate. Ma lo stesso tipo di lavoro si svolge anche in fase di registrazione di una apparentemente semplice chitarra acustica, dove anch’essa deve dire ciò che deve dire in coerenza ed in equilibrio con tutto il resto e con quello che hai in testa.
È chiaro che, in tutto ciò, le possibilità produttive, anche in senso economico, intervengono molto sulle possibilità in gioco; tuttavia, è vero anche che nella produzione musicale bisogna essere “opportunistici”; cioè fare il meglio che si può con quello che si ha. Ed a volte, più spesso di quanto non si creda, si fa molto meglio con poche risorse, piuttosto che con budget illimitati, soprattutto quando ai budget illimitati non corrisponde la necessaria dose di fantasia, passione e verità che sono poi gli elementi di fondo che rendono unico ed apprezzabile un qualunque progetto espressivo o artistico, che di si voglia.

Il tuo disco mette in evidenza la possibilità di scrivere canzoni pop intelligenti. Canzoni pop non fini a se stesse ma che vogliono lasciare una traccia, uno spunto di riflessione nell’ascoltatore. Cosa pensi a riguardo?
Ancora ti ringrazio per le belle parole… fa sempre piacere raccogliere degli apprezzamenti. Insomma, che dire… in effetti, io credo che una delle prerogative del POP in genere dovrebbe essere proprio quella di dire qualcosa, lasciare una traccia. E questo proprio a partire dall’intento popolare, accomunante, che esprime. Negli ultimi tempi, ci siamo abituati a vedere il POP come qualcosa che, essendo legato immediatamente ad intenti commerciali, tende a scivolare spesso e facilmente nella superficialità e nell’inconsistenza, e per certi versi è così. Tuttavia, io credo che il POP nella sua essenzialità, semplicità, immediatezza contenga una dose di verità che è fondamentale in qualunque produzione artistica; nel POP non ci sono grosse sovrastrutture, non ci sono grosse invenzioni, ma c’è, allo stesso tempo, la possibilità di dire cose profonde e vere in modo semplice e frivolo, ed è questa la grande potenzialità che apre difatti verso una buona direzione. Nella semplicità c’è la chiave per arrivare alle persone, anche proponendo temi e contenuti non a tutti i costi “leggeri”. Poi, chiaramente, è sempre una questione di scelte e di priorità, oltre che di gusti, ma se apriamo anche su questi livelli del discorso entriamo in un dibattito annoso ed infinito.
Diciamo che, sicuramente, tenere insieme frivolezza e verità a volte può apparire difficile e sicuramente rischioso (scivolare nella banalità è una trappola con la quale mi sono confrontato spesso), ma sono diversi quelli che ci sono riusciti e penso che questo debba essere uno degli obiettivi importanti del POP.

C’è qualche artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare e perché?
Sono diversi gli artisti con cui mi piacerebbe avere un confronto. Tra questi, certamente i Massimo Volume, Andrea Chimenti, Cesare Basile, Nino Bruno, Bianco… e ce ne sarebbero altri.
Le ragioni per cui vorrei collaborare con questi musicisti derivano ovviamente dalla stima nei confronti del loro percorso e dall’aver intravisto qualche livello d’intreccio tra le mie e le loro corde.
Poi, in definita, diciamo che la possibilità di scambiare idee ed esperienze con altra gente che fa musica e che stimi rappresenta sempre una occasione importante. Questo è un versante su cui sono molto aperto; mi piace confondere i linguaggi ed imparare da questa “con-fusione”. Vediamo cosa accadrà…

Un libro che potrebbe ben rappresentare il tuo disco La vita inquieta?
Senza voler arrischiarmi in un paragone irriverente e mantenendo tutte le dovute distanze, credo che Il Libro dell’Inquietudine di Pessoa potrebbe essere un accostamento appropriato.
Ci sono anche altri autori di cui condivido la poetica e le visioni del mondo, Michel Houellebecq, ad esempio o, ancora, David Foster Wallace,  ma, attenzione, è solo per menzionare alcune tra le mie fonti culturali, lungi da me ogni tentativo di paragone o accostamento: loro sono veri geni, io sono solo un misero cantautorino di provincia che cerca faticosamente di far sopravvivere la propria anima.

Hai collaborato in passato alla colonna sonora di cortometraggi e film (L’imbalsamatore di Garrone, ndr). La vita inquieta lo vedresti come colonna sonora di un film?
Non saprei. Ci sarebbe da lavorarci un po’, anche perché in genere le colonne sonore seguono i film, sono opere intese a “lavorare per il film”, nel senso di “rendergli un favore”, potenziandone la qualità emotiva e di penetrazione delle immagini. Immaginare un adattamento di un’opera autonoma come un disco nella trama di un film non è semplice. Comunque sì, penso che La vita inquieta potrebbe lavorare per un film, un film ancora da fare, un film che dovrebbe forse parlare di una giornata qualunque, di un soggetto qualunque, in una qualunque metropoli del nostro occidente.

Ci sarebbe un regista italiano o straniero con cui ti piacerebbe collaborare?
Questa è una bella domanda. Anche perché adoro il cinema da sempre. Tuttavia, mi è quasi impossibile individuare un regista in particolare: sono veramente troppi quelli che apprezzo ed amo per le più svariate ragioni. Diciamo che scrivere musica per Tarantino o Scorzese o per i grandissimi fratelli Coen non sarebbe affatto male; e non sarebbe male neanche poter collaborare con un Almodovar o magari, sogno dei sogni, un Fellini resuscitato.
In ogni caso, a prescindere dalle fantasticherie, credo che il lavoro di collaborazione tra musica e cinema sia estremamente affascinante ed appassionante; a tal proposito, restando su di un piano concreto, un regista con cui vorrei collaborare è Romano Montesarchio, il cui docu-film Ritratti Abusivi è stato presentato con grande successo e risonanza all’ultima edizione del Festival del Cinema di Roma. Il lavoro di Montesarchio è veramente egregio, il suo sguardo è profondo ed autentico; credo che in futuro sentiremo molto parlare di lui. Ecco, questo è un regista con cui vorrei certamente collaborare, eventualità che non appare impossibile… ma di questo si potrà forse parlare tra un po’…

Parlaci di questo Switched-on Liprando?
Tutto è nato a partire dal desiderio di aprire e sperimentare nuovi percorsi, in particolare sul versante creativo. Io e Penguin siamo stati presentati durante una riunione con l’etichetta e, poiché c’era già da parte mia un apprezzamento del lavoro di PP, oltre che una evidente affezione reciproca ad atmosfere elettroniche, confrontandoci, abbiamo avuto l’idea di fondere i nostri linguaggi musicali per dare vita a qualcosa che legasse i nostri nomi e le nostre esperienze musicali. In sostanza, il lavoro consiste in una rielaborazione di Penguin in un’unica sessione musicale delle quattro tracce interludio presenti ne La Vita Inquieta, tracce che fungono appunto da elementi di congiunzione nello sviluppo dell’album e che, quindi, potevano trovare un senso rinnovato dentro un’unità, come unico racconto. Quello che ne è venuto fuori è davvero molto molto bello ed affascinante, devo dire che Plastic Penguin rappresenta davvero un esponente di rilievo nel panorama dei “manipolatori sonori”, il cui lavoro merita grande attenzione e rispetto.
Pur discostandosi dalle tracce originarie de La vita inquieta, il brano di PP ha comunque espresso in pieno l’emozione ed il senso dell’album; è come se si trattasse de La Vita Inquieta tradotta in un linguaggio onirico; l’immagine che mi viene in mente é di me stesso che nelle pause di lavorazione all’album mi addormento, sognando i pensieri di quei giorni: ecco, il brano di Penguin sarebbe la perfetta colonna sonora di quel sogno.

Cinque album da consigliare ad un amico?
Non è semplice; ci sono molte perle a cui guardare. Comunque, sforzandomi un po’, direi che in questo particolare periodo mi sentirei di consigliare questi cinque album: Radiohead – In Rainbows, Queens of the Stone Age – Songs for the Deaf, Sonic Youth – Goo, Blonde Redhead – Misery Is a Butterfly, The Velvet Underground & Nico – s\t

Nell’ambra – Video

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