Hai paura del buio? Il passato ritorna e rivive. Un album storico, di riferimento imprescindibile per il rock italiano, viene riproposto in una versione rimasterizzata e in una rivisitata. Due cd, uno che rispolvera i 19 brani che dal 1997 ad oggi continuano ad essere la matrice per certo rock e un altro che mostra le stesse canzoni nelle mani di altri artisti. Due corsi a mostrare il lato più importante di Hai paura del buio?, quello di essere ancora oggi materia viva, pulsante e soprattutto malleabile. Pregio, quest’ultimo, delle creazioni davvero libere e oltre i confini di genere. Ne abbiamo parlato con Giorgio Prette e Rodrigo D’Erasmo. (In collaborazione con Amalia Dell’Osso; si ringraziano Roberta Accettulli – Management e Francesco Carlucci – Fleish. Foto 1 di Ilaria Magliocchetti Lombi, foto2-3 di Emanuele Gessi)
Cos’è Hai paura del buio?
Giorgio: In questo momento lo stiamo vivendo come una festa celebrativa, come quella che organizzi per un figlio che ha raggiunto un diploma con un ottimo voto. C’è un doppio sentimento: l’orgoglio e la tenerezza perché guardi anche a te stesso 17 anni fa, ma non c’è nessuna forma di nostalgia. C’è un retrogusto assolutamente positivo. Non ci siamo mai autocelebrati, invece ora è arrivato il momento per festeggiare!
Qual è stata la reintepretazione che più è riuscita ad entrare nello spirito sperimentale e di ricerca sonora del disco, andando oltre e rivivendo in toto di una nuova vita?
Giorgio: Non so fino a che punto Hai paura del buio? fosse sperimentale. Forse tenendo conto del panorama italiano all’epoca si potrebbe anche accettare. Sicuramente è stato un disco di ricerca. In particolare una ricerca sonora dal punto di vista delle chitarre, Xabier diede un forte contributo in tal senso, e del violino elettrico. Una ricerca finalizzata a eludere il pericolo di uniformità in un disco dagli ingredienti così disparati. Non volevamo gli stessi suoni in quei pezzi dal mood così variegato, il rischio sarebbe stato uccidere l’identità di ogni singola canzone.
Come ha detto Manuel, voleva anche essere un disco non “fonicamente” perfetto… per un preciso motivo.
Giorgio: sì, volevamo respirare quello che accadeva in quegli anni. Da un lato il lo-fi e dall’altro il post-rock come attitudine a scarnificare all’osso l’aspetto sonoro.
Colpiscono molto i nomi di Finardi e Bennato. Colpiscono le loro versioni. Vi aspettavate un risultato così particolare?
Giorgio: sì, ce lo aspettavamo, perché quando contatti artisti di questo livello immagini il risultato. Se hai la fortuna di riuscire a comprarti una Porsche Carrera del 1978 sai benissimo a cosa stai andando incontro! Quindi, nessuno stupore. È una bella emozione risentire dei nostri brani cantati da mostri sacri che hanno lasciato il segno nella storia della musica italiana e soprattutto che sono di un’altra generazione. Oltre a provare l’orgoglio di ascoltare 1.9.9.6 interpretata da Edoardo, ho ripensato a mia sorella tornata un giorno a casa con il disco Io che non sono l’imperatore, quindi sono approdato ad un ricordo di bambino. E poi Bennato è stato l’unico cantautore italiano che ho ascoltato nella mia vita, a parte Battisti. Cose di questo genere fanno un certo effetto. È la stessa cosa che è successa in occasione della collaborazione con Mina, mi riferisco ai tempi della sua versione di Dentro Marilyn, pezzo completamente registrato e suonato da noi, quindi risultava un pezzo degli Afterhours con una Mina ritornata vocalmente agli anni settanta che faceva venire la pelle d’oca. Un conto è stata la collaborazione con lei per Adesso è facile, con un testo scritto da Manuel ad hoc, un conto è stata quella versione così particolare. Riguardo Finardi, lui ha dato una veste nuova a Lasciami leccare l’adrenalina. È riuscito letteralmente a far rivivire quel pezzo stravolgendolo.
Come è nata l’idea alla base del progetto? Avete pensato anche ai rischi che queste reintepretazioni avrebbero potuto generare? Voi avete un pubblico particolarmente turbolento…
Rodrigo: Credo sia l’ennesima dimostrazione, e parlo con orgoglio da ultimo arrivato, che gli Afterhours non fanno scelte di comodo da questo punto di vista. I dischi degli Afterhours sono così rari proprio perché sono ragionati, frutto di un’esigenza ed escono con una cadenza anche “lenta”. Non abbiamo alcun bisogno interessato di operazioni come questa. Se abbiamo deciso di realizzare questa riedizione, è stato solo per la voglia di festeggiare. Quindi non sentiamo alcuna necessità di giustificarci verso i fan!
Le associazioni artista-brano sono avvenute tutte in maniera naturale, immediata. Si tratta di collaborazioni nate da un comune sentire… da qui i desideri. Se si riuscisse a leggere sotto le cancellature nella lista iniziale del quadro sinoptico dello studio di registrazione, si potrebbero scorgere anche nomi inarrivabili come Paul McCarteney, Elvis Costello… e ci sta, perché quando inizi a sognare lo fai alla grande! E c’erano anche nomi magari meno famosi la cui partecipazione avrebbe comunque avuto un’uguale importanza per noi. Comunque siamo felici dell’elenco finale, e soprattutto siamo contenti della libertà che siamo riusciti a comunicare agli artisti che hanno partecipato al progetto: abbiamo avuto massimo rispetto per la loro cifra stilistica di ciascuno.
Questi due corsi vengono incarnati dall’attuale line up. Chi c’era al tempo (Agnelli, Iriondo, Prette), nel 1997, e chi non c’era ma c’è oggi (Ciccarelli, Dell’Era, D’Erasmo). Come viene vissuta questa riproposizione dalle due prospettive?
Rodrigo: La mia è stata assolutamente entusiastica. Ho messo tutta la mia energia in questo progetto. La voglia di lasciare un segno su un album che di segni già ne ha lasciati tanti quando non c’ero io. Si è trattato anche di una mia sfida nel presente, ma penso che per tutti gli Afterhours lo sia stato… e verso il futuro. Forse questo disco non incontrerà nell’imminente i favori di tutti i fan oltranzisti, ma alla lunga riusciranno a capire le magiche collaborazioni che ci sono state in questo disco, figlie di rapporti che coltiviamo e che magari i fan non sospettavano. Un esempio su tutti: Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Non è un amico stretto, ma frequentandolo per il tour abbiamo scoperto una sua datata e storica stima per gli Aftehours sin da ragazzo: è scattata la scintilla “affetto”, componente fondamentale di questa celebrazione che abbiamo deciso di dedicare ad Hai paura del buio?. Ci dovevano essere anche degli artisti che hanno amato quel disco a quel tempo.
Soprattutto come viene vissuto questo progetto nella sua forma live dalle due prospettive?
Giorgio: Per me è e sarà una passeggiata, sarà piacevole. Perché è la prima volta che proponiamo interamente un disco del passato che non presentavamo nella sua interezza neanche all’epoca. Come gestione dello spettacolo, almeno dal mio punto di vista, è veramente una passeggiata. Quando inizi un tour per un nuovo disco, per quanto ti sia preparato bene i pezzi nuovi non li hai mai in mano come quelli che suoni da anni. Penso che questo discorso valga per entrambe le prospettive, per quelli che c’erano e per quelli che si sono aggiunti poi. Rodrigo è l’elemento entrato in formazione più di recente e la pensa allo stesso modo riguardo la performance live, abbiamo già un affiatamento consolidato sui dettagli del disco.
Rodrigo: certamente c’è un po’ di quella sana tensione positiva nel partecipare ad una rappresentazione storica di un album per intero che è entrato nell’immaginario di tanti fan. Un’operazione di questo genere deve essere per forza realizzata in questa maniera dal punto di vista live. Ci stavo pensando proprio l’altro ieri sera per via dei Television che sono in tour per riproporre interamente l’album pietra miliare Marquee Moon, ecco… da un concerto del genere mi aspetterei che mi trasmettessero la stessa atmosfera e la stessa energia dell’epoca, altrimenti non avrebbe senso.
Giorgio: c’è la voglia di rappresentare perfettamente questo spettacolo per te stesso, per quello che ha significato Hai paura del buio?, ma anche per i fan ai quali vuoi regalare un’interpretazione perfetta di questo album. Non amo quelle operazioni post reunion dove i membri del gruppo si odiano e stanno sul palco per interessi individuali e portano in giro uno spettacolo che quasi sempre ti delude per energia ed onestà.
La critica sottolineò al tempo l’importanza storica del disco. Importanza ribadita nel corso degli anni. Ma per voi, come musicisti, cosa rappresenta oggi per la vostra carriera? È anche per voi un sistema di misura?
Giorgio: indubbiamente è stato un disco storico ma non ci ha cambiato la vita. Fortunatamente non c’è stato mai un disco che ci abbia portato al pubblico generalista… così da cambiarci la vita! Questa è una cosa che ho sempre temuto perché può portarti a parabole discendenti come quella dei Prozac+. Quel pubblico generalista poi ti chiede di essere sempre uguale. Hai paura del buio? è stato un disco che ci ha cambiato nel senso di visibilità, è stato l’inizio di un nuovo cammino per la band, penso a me e a Manuel che eravamo in un periodo personale negativo ed abbiamo deciso di puntare tutto sul progetto in un momento storico in cui iniziava l’iceberg della precarietà che avrebbe coinvolto tutto e tutti.
Prima accennavamo alle associazioni brano-artista. Vi chiedo: sono state realizzate a tavolino, ragionate o sono avvenute in base alla disponibilità di volta in volta degli artisti?
Rodrigo: Ci sono stati casi estremamente differenti. Per la maggior parte, come ti accennavo prima, sono state tutte dettate dalla spontaneità. Avevamo una nostra lista di ospiti abbastanza ampia ed avevamo messo in conto che qualcuno non sarebbe venuto alla festa. Per fortuna, per stima e per rispetto ci siamo ritrovati a dover acquistare delle sedie in più, nella fattispecie due sedie in più. Situazione determinata per lo più dal fatto che Male di Miele era stata scelta da Greg Dulli prima di Piero Pelù e Voglio una pelle splendida era sta scelta da Daniele Silvestri prima di Samuel. Poi l’approccio è stato misto, con alcuni artisti con cui avevamo più frequenza ci siamo permessi di indicare il brano, mentre con altri abbiamo dato libertà di scelta. Ma in generale mi sento di dire che è venuto fuori un bel puzzle. È stata evitata la drammaticità di avere 21 artisti per undici tracce e tutte le altre scoperte. Nella sua schizofrenia il progetto ha raggiunto la sua omogeneità.
È stato difficile far cantare in italiano gli artisti stranieri?
Rodrigo: no, affatto. Sono stati loro che ci hanno chiesto di farlo. Hanno sposato il progetto in una maniera unica e professionale. Per tutti loro è stato un assoluto piacere e devo dire che ci sono delle versioni che sono da brividi, penso in particolare a quella di Joan as Police Woman.