Il vestito di Marlene è uno spettacolo unico capace di coniugare musica rock dal vivo e danza. Abbiamo incontrato i Marlene Kuntz ed il coreografo Mvula Sungani al termine delle prove in occasione della data al Teatro Duse di Bologna (9 Aprile 2014). Attraversando il palco, entrando nei camerini, abbiamo potuto vivere per mezz’ora l’atmosfera che anticipa l’inizio dello spettacolo, in un clima piacevole tra persone serene che amano profondamente ciò che fanno.
Le nostre domande sono state rivolte a Riccardo Tesio, Luca Bergia e Mvula Sungani. (In collaborazione con Piera Tedde).
Ho avuto modo di assistere a parte delle prove che avete appena concluso. Trovo che le vostre musiche, specialmente quelle più morbide e sensuali, si sposino alla perfezione con la danza. Si tratta di un binomio inedito e molto coraggioso…
Riccardo: Assolutamente. Per noi è la prima volta in vent’anni di attività con i Marlene. Secondo me questo tipo di danza si sposa anche bene con i brani più energici, trattandosi di una danza molto fisica. Per esempio, vedrai questa sera, Ape Regina. L’incontro è nato dal Teatro Lyrick di Assisi. La direzione artistica di questo Teatro conosceva i Marlene e la compagnia di Mvula, così hanno pensato di unire le due cose. Hanno fatto una prova autonomamente proprio con Ape Regina. Successivamente ci hanno contattato mostrandoci la registrazione. L’idea ci è piaciuta, perchè chi ci conosce lo sa: siamo un po’ curiosi.
Mvula: I ragazzi del Lyrick sono fan dei Marlene Kuntz, e noi siamo sempre stati programmati al Lyrick; un giorno ci hanno proposto l’idea, che ci è piaciuta perchè in cuore abbiamo sempre avuto la volontà di fare qualcosa di particolare con la musica rock. Io ho realizzato un video che poi abbiamo fatto recapitare ai Marlene che erano a Venezia. Lo spunto quindi nasce dai ragazzi del Teatro Lyrick di Assisi, e risale a circa un anno fa.
Luca: Il video ce lo fecero vedere, se non ricordo male, a Giugno dello scorso anno. Fummo subito molto colpiti dai movimenti. Noi comunque siamo una band alla quale piace mettersi in gioco; facciamo sonorizzazioni, performance con artisti dell’arte contemporanea, e questa era un’occasione per fare qualcosa di stimolante. Vedendo poi quello che è successo durante le prove… io trovo davvero che le coreografie di Mvula siano perfette per il nostro immaginario e la nostra musica. È riuscito a coniugare degli elementi di danza molto forti, altri poetici o sensuali… tutte cose che sono dentro anche alle nostre canzoni.
Cosa è la physical dance? Come nasce e in cosa si contraddistingue?
Mvula: Io ho fatto diverse esperienze nella mia vita, che partono dalla ginnastica artistica e arrivano alla danza classica. Siccome le mie radici sono africane ed io sono appassionato di tutto ciò che è il “mondo etnico”, ho tentato una fusione delle mie esperienze artistiche con una ricerca particolare. Quindi danza classica con elementi circensi, oppure con la contact improvvisation (una serie di prese “passo a due” che non si fanno nella maniera canonica, ma soggetto con soggetto, qualunque soggetto tu abbia davanti, andando a sviluppare una dinamica di prese e di passo a due, appunto). Il principio della nostra compagnia, della physical dance, sta tutto nella fisicità: i ballerini fanno quattro ore di lezione tra danza classica e stile di compagnia, e tre ore di body structure, lavorando sull’acrobatica e la palestra.
Il filo che compone la trama dello spettacolo è la figura femminile. Nel percorso musicale dei Marlene si incontrano molteplici figure femminili ma in realtà tutte le donne da loro cantate possono coesistere in un’unica donna. Quali sono le peculiarità femminili (ed i relativi brani) scelte per questo spettacolo?
Riccardo: Premetto che tutte le scelte dei brani e la scaletta sono state fatte dal coreografo perchè ovviamente noi non siamo esperti di danza e dovevamo lasciare a lui la definizione dello spettacolo. Tra i brani, posso farti due esempi, ci sono Canzone Sensuale e Danza che senza dubbio rappresentano bene la componente sensuale della femminilità.
Cosa affascina maggiormente della musica dei Marlene Kuntz e cosa la danza vuole andare a completare o addirittura a far suo?
Mvula: La musica dei Marlene Kuntz già la conoscevo e mi è sempre piaciuta. La cosa però che più mi ha colpito è il loro lavoro live, che non solo è in simbiosi con la danza, ma addirittura la esalta. Poi con i Marlene Kuntz si è sviluppato un rapporto grazie al quale creare questo spettacolo non è stato per nulla faticoso.
Luca: La cosa che a me entusiasma è l’immagine che viene fuori da questo spettacolo, è quasi mitteleuropea, quasi berlinese… che poi è proprio il mondo dal quale un po’ siamo partiti noi. Ascoltando gli Einstürzende Neubauten, Nick Cave quando registrava a Berlino, ecc… quindi mi sembra che Mvula abbia sposato alla perfezione l’essenza dei Marlene con la sua idea di danza.
Come vi siete rapportati alla trasposizione “corporea” dei vostri brani?
Luca: Noi siamo stati contattati dai fratelli Cardinali, che ci hanno proposto appunto il lavoro d Mvula. Poi quando siamo arrivati alle prove, avendo visto il demo ma senza sapere bene cosa sarebbe potuto realmente venir fuori, tutto è stato una sorpresa. Le cose sono nate in modo spontaneo. Mvula ha avuto anche alcune idee estemporanee, come il malambo che è un duetto tra ballerino e batteria (una cosa pazzesca… ha una batteria sotto ai piedi!). Quindi per noi è stata un’assoluta sorpresa, poi realizzatasi nel debutto. È stato anche molto rischioso perchè, sai, poteva diventare un contesto dove i musicisti fanno i musicisti, i ballerini fanno i ballerini e non si trova il collante. Invece mi sento di dire che in certi punti i ballerini davvero suonano con noi, e noi balliamo con loro.
Mvula: Sì, tutto diventa suono e movimento. Il pezzo del malambo ne è l’esempio folgorante: un corpo che suona.
C’è stata la necessità di adattare i brani a particolari esigenze?
Riccardo: Abbiamo trascorso una settimana ad Assisi per le prove, quindi del lavoro insieme è stato fatto. Non sono stati realizzati particolari arrangiamenti, al contrario: il corpo di ballo aveva già lavorato sui pezzi originali, quindi non ci siamo potuti muovere molto da quella sonorità, se non quanto necessario per arrangiare i brani per l’esecuzione in tre. Questa situazione a tre è stata definita anche per questioni di spazio sul palco. Se hai visto le prove, ti sarai reso un po’ conto delle posizioni, degli spazi che i ballerini devono avere a disposizione.
Nella distribuzione degli spazi, dal punto di vista del coreografo, ci sono state particolari difficoltà?
Mvula: In realtà no, perchè quando fai la coreografia è come fare l’architetto. Però devi ristrutturare, e non costruire a nuovo. Sono stati sacrificati alcuni spazi, ma si è giocato sull’interazione tra band e ballerini
Ci sono state difficoltà nella “coabitazione” del palco? Mi viene da pensare che forse per la rock band ci possono essere state le maggiori difficoltà: non essere protagonisti assoluti del palco, la presenza di potenziali distrazioni, affrontare problemi tecnici…
Riccardo: Distrazioni assolutamente no, perchè tutta l’attività di fronte a noi è compensata dall’essere in un teatro. Silenzio, acustica perfetta, ed anche se il pubblico è più distante, comunque non lo avremmo visto perchè la sala è buia. Però è come se lo senti, vivi la sua presenza. Il fatto di non vedere il pubblico mette comunque sempre soggezione. Questa poi è una situazione strana per noi: di fronte alle nostre postazioni ci sono dei pannelli con un velo di tulle; questi vengono spostati durante lo spettacolo. Le luci e le ombre si proiettano sui pannelli creando anche un po’ di barriera che però comunque già il teatro, in quanto tale, imporrebbe comunque. Pur essendo uno spettacolo un po’ più breve dei nostri soliti concerti (un’ora e mezza contro due ore circa) trovo più faticoso questo: c’è molta concentrazione.
Luca: Per come la vivo io, l’esperienza di questa esibizione è più “di testa”. Si potrebbe dire che la parte fisica è tutta loro, dei ballerini (anche se poi in certi brani come Ape Regina o Malinconica anche da parte nostra l’energia c’è tutta).
Mvula: La particolarità è che, essendo musica rock, anche in platea dove sto io, le vibrazioni arrivano. È il teatro che vibra. Prima arriva il suono dal vivo, poi l’immagine e poi l’insieme.
Come si sviluppa lo spettacolo di danza? Segue una narrazione parallela ai testi dei brani musicali, oppure è completamente astratto?
Mvula: Sicuramente abbiamo puntato sulla rappresentazione della grazia e della forza femminile, il tutto in un contesto onirico che accoglie anche energia e passione. La coreografia è ovviamente ispirata al testo, ma non lavora in maniera didascalica. Cerca l’essenza, comunque seguendo una narrazione che si sviluppa in gruppo o in duo, comunque con sempre questa donna che gira e si espone in tutte le sue forme ed aspetti.
Abbiamo detto che la figura femminile è protagonista dello spettacolo: la fisicità maschile che ruolo ha dunque nelle coreografie?
Mvula: L’uomo ha sicuramente un ruolo importante, anche se nella nostra compagnia uomo e donna si equivalgono: le donne sono completamente in grado di fare ciò che fanno gli uomini e viceversa. Nel finale, per esempio, vedrai una ragazza sollevare un’altra ragazza. A tutti gli effetti, in questo spettacolo l’uomo è necessario per esaltare la figura della donna.
Lo spettacolo consente degli spazi per l’improvvisazione?
Riccardo: L’improvvisazione è minima perchè lo spettacolo è legato alla danza, dove il corpo di ballo deve seguire dei passi, e tutti i tempi sono definiti. Noi dobbiamo prestare molta attenzione! Poi anche loro sono professionisti, quindi se noi sgarriamo in qualche modo… riescono a recuperare. Anche i passaggi tra un pezzo ed il successivo sono particolari per noi: alcuni richiedono dei tempi maggiori perchè loro devono cambiarsi, oppure altri, per diverse esigenze, devono essere molto più veloci.
Sul palco voi tre siete disposti in linea: deve essere anche molto difficile non riuscire a comunicare, vedersi…
Riccardo: Sì, siamo quasi in linea. Poi altra complicazione è il silenzio: ogni minimo rumore che fai, si sente! Magari il pubblico potrebbe trovarlo anche simpatico, chissà. Sai, noi abbiamo ancora un po’ di timore referenziale verso il teatro, una forma di rispetto.
Il vestito di Marlene è un progetto che andrà oltre queste quattro date? Si ripeterà? Dopo la commistione di arti, pensate sia possibile andare incontro anche ad uno stravolgimento dei luoghi uscendo dai teatri? Trovo sempre molto stimolante quando ci si trova di fronte a qualcosa che “cambia le carte in tavola”.
Riccardo: Sì, il progetto continuerà. Questo è un tour, se vogliamo, promozionale. Lo spettacolo va presentato, sia al pubblico che agli impresari teatrali. Da quel che sento c’è comunque molto interesse, quindi più avanti ci sarà una turnée nelle maggiori città italiane. Per quanto riguarda i luoghi, le esigenze di spazio e strutture impongono determinati limiti. Non è facile trovare un club adeguato per questo spettacolo. Se si riuscisse, di certo sarebbe bellissimo.
Luca: Per la turnée si parla del prossimo anno. I tempi dei teatri sono comunque molto più lunghi di quelli dei club. Per entrare in un cartellone ci vuole tempo, e prima bisogna suscitare l’interesse.
Mvula: Interesse che sta davvero aumentando. Questa sera ci saranno proprio tra i principali esponenti dei circuiti di danza italiani, e con un pizzico d’orgoglio (che condividiamo tutti insieme) proponiamo per la prima volta uno spettacolo in cui due entità di questo tipo si uniscono. Ci sono stati progetti similari: Arteballetto di Reggio Emilia ha fatto uno spettacolo con le musiche registrate di Ligabue, La Scala lo ha fatto con Vasco Rossi sempre su musiche registrate. È difficile unire le due realtà dal vivo. Noi ci siamo riusciti ed anche la critica specializzata, danza intendo, sta accogliendo bene il nostro progetto.
Qual è l’elemento più forte, emozionante che state vivendo in questa nuova esperienza?
Riccardo: Più che una sensazione è proprio l’insieme di più cose. Essendo noi una band rock, siamo soliti suonare nei club, con un approccio più “selvatico”. Quella situazione porta ad una certa disinvoltura istintiva. Qui ora è tutto diverso. Una concentrazione diversa perchè condividi l’esibizione con dei ballerini e tutto è legato. Per quanto bellissimo, un conto è vedere il pubblico che balla, che poga, un conto è vedere delle cose studiate sui brani. È veramente molto emozionante.
Un passo così particolare però i Marlene Kuntz lo hanno fatto avendo alle spalle una solida carriera, così come ce l’ha Mvula Sungani. A dei giovani ballerini, musicisti, aspiranti coreografi, vi sentireste di dire di osare sempre e comunque, oppure ogni cosa ha il suo tempo?
Riccardo: Io sono sempre dell’idea che è meglio osare. Parlo della musica, che è l’ambiente che conosco a differenza di quello della danza. Ora la musica sta vivendo un momento particolare, di rivoluzione legata fondamentalmente al fatto che fino a qualche tempo fa tutto dipendeva dalla casa discografica che dettava i percorsi. Oggi questo schema è saltato quasi completamente…
Spesso l’impressione è che ora la musica si vada ad adeguare ai gusti della gente. Voi invece avete portato i vostri fan dai club all’interno di un teatro a vedere uno spettacolo dove la danza è co-protagonista…
Riccardo: Sì, per questo preferisco osare. Di produzioni “normali” ora ce ne sono tantissime, ed anche per questo i meccanismi musicali sono in crisi. La gente pian piano sta guardando anche a nuove forme di intrattenimento, e se si ha l’opportunità di osare bisogna farlo. Riceviamo molti demo, e spesso mi sembra che si osi troppo poco. Come dicevi tu, si seguono anche le orme di altri… che in fondo è normale perchè quando si inizia a suonare è dai propri personali ascolti che si parte, ma dopo un po’ bisogna sganciarsi. Penso quindi che un po’ di coraggio in più sarebbe utile. Potrebbero nascere cose interessanti… la musica del futuro, lo spettacolo del futuro.
Luca: Io penso che sia essenziale osare. Da quando abbiamo iniziato a suonare come Marlene volevamo stupire, fare qualcosa di diverso da ciò che sentivamo in radio e non sopportavamo. C’è sempre stata la voglia di fare qualcosa di “altro”. Questo dovrebbe stare sempre alla base di un progetto artistico. Ascoltiamo i dischi che ci vengono spediti, ma non sempre c’è quel “vaffanculo” che ci vorrebbe, l’essenza rock.
Mvula: Per quanto riguarda la danza, io penso che i giovani debbano pensare prima di tutto ad avere una propria personalità. Questa in parte ce l’hai ed in parte la crei con l’esperienza. Devi avere una chiara linea. Osare in questo senso: amare il proprio lavoro, non abbattersi quando le cose non vanno come vorresti, non ti lamentare mai e vai avanti sul tuo progetto. Osare è credere in se stessi, senza attendere nulla nell’immediato. Arriverà.
Ringraziamo Riccardo, Luca, Cristiano, Mvula, Jacopo ed il Teatro Duse che con estrema disponibilità ci hanno accolto ancora una volta.
Gallery fotografica di Emanuele Gessi (09/04/2014, Teatro Duse – BO)