Peter Jackson aka We are catchers colpisce subito al primo ascolto. C’è un senso di fuori tempo nelle sue canzoni, un ponte tra passato e presente. Le sue canzoni sono raggi di sole sulla spiaggia dei ricordi. Nella sua scrittura albergano contemporaneamente i Beatles e i Beach Boys. Non è un progetto revival ma un’urgenza creativa di questo nuovo cantautore di Liverpool. Il suo suono essenziale ha la stessa bellezza di una polaroid dai colori accesi. Il nome della band proviene dal titolo del famoso romanzo di Salinger. Un progetto cantautorale che non potevamo non approfondire.
Come è nata l’idea della band?
Inizialmente il nome era The catchers ed avevo preso ispirazione dal titolo del capolavoro di Salinger (The Catcher In the Rye, titolo in inglese, ndr). Suonava bene ma una vecchia band l’aveva già scelto e noi non l’avremmo potuto utilizzare. Bill mi suggerì We Are Catchers in sostituzione. Siccome continuava a suonarci bene… l’abbiamo scelto!
Il tuo album poteva essere uscito nel 2014 o nel 1966. Cosa ne pensi?
Sono sempre felice quando la gente dice che il disco suoni come gli anni ’60, è un’epoca da cui sono stato davvero influenzato.
Tutte le persone coinvolte nel progetto sono molto contente del risultato. È stato un duro lavoro renderlo il più originale possibile e fedele a quello che avevo registrato sul demo. Un disoc insolito per essere uscito nel 2014! Speriamo però che si pecepiscano anche gli aspetti più moderni. Sono molto soddisfatto dell’atmosfera delle canzoni.
Tap Tap Tap e Isabella sono due canzoni che fotografano alla perfezione le due anime del progetto: la tradizione musicale del Nord Ovest dell’Inghilterra (Beatles) e la tradizione musicale americana della Weast Coast (Beach Boys). Quanto ti senti vicino a queste due leggende?
Sono cresciuto a Liverpool, e questo ha delle conseguenze! Certamente quando suoni gli strumenti dell’epoca ti porti dietro quell’attitudine. Quando ho iniziato a scrivere canzoni mi sono posto come riferimento quel tipo di scrittura e questo mi ha aiutato non poco a diventare oggi un cantautore.
Per l’influenza dei Beach Boys c’è un legame differente. Tutto risale a quando ho ascoltato Pet Sounds, mi è piaciuto subito per il modo in cui gli accordi e melodie di Brian Wilson si muovevano, così ho sempre guardato a lui come ad un riferimento compositivo e forse ho cercato di emularlo un po’ nella mia scrittura.
Puoi spiegarci come è nata If I feel?
Questo è stato uno dei primissimi brani che ho scritto e cattura l’attenzione delle persone come Tap Tap Tap rispetto al resto del disco. Penso che sia un brano probabilmente tra i più semplici melodicamente parlando, ma questo aspetto fa arrivare il messaggio della canzone a tutti. La canzone è legata al periodo in cui ho dovuto faticare molto per trovare una band stabile. Cadevo in momenti di scrittura solitaria… quindi era un modo di dire agli altri che raggiungere la felicità non è mai scontato, nel brano c’è molta speranza. Il suo messaggio è di credere sempre nelle strade che ci conducono alla felicità… alla fine arriverà.
Ci parli delle collaborazioni che ci sono state in questo disco?
Tutto l’album è basato su pianoforte e voce ed un po’ di percussioni. Ci eravamo prefissati di mantenere le cose semplici e di non perdere la sensazione primaria del demo, Bill Ryder Jones ci ha aiutato molto lungo tutta la produzione, è stato grande! Anche Darren Jones ha contribuito notevolmente a creare il suono che abbiamo ottenuto alla fine.
Quale canzone preferisci di più suonare dal vivo?
Vogliamo riuscire a dimostrare al meglio il nostro affiatamento sul palco. Non sarà mai importante la sola canzone ma l’intera performance live.
Cinque canzoni che suggeriresti di ascoltare al tuo migliore amico?
God Only Knows – The Beach Boys, Alabama Song – The Doors, America – Simon & Garfunkel, Dead End Street – The Kinks, A Day In the Life – The Beatles