Lo scorso 29 settembre è uscito l’ultimo album dei News For Lulu,Circles, il terzo per il gruppo di Pavia. Un album che mischia il pop alla psichedelia e che ha trovato la sua genesi attraverso un viaggio oltreoceano e ad un’esperienza musicale del gruppo di quasi 10 anni.
Li abbiamo incontrati al Modo Infoshop di Bologna qualche sera fa, dopo un live acustico affollato e curato. Di seguito la nostra piacevole conversazione tra scaffali pieni di libri, divani vintage e luci morbidamente accoglienti.
Siete soddisfatti di come sta andando Circles, delle reazioni di critica e pubblico?
Siamo molto contenti; avevamo aspettative alte, anche perchè l’album ha avuto una gestazione molto più complessa degli altri lavori, a partire dal fatto di essere andati in America per registrarlo, e per aver scelto personalmente tutti i dettagli. I primi ascolti e le prime recensioni ci hanno mostrato varie chiavi di lettura di Circles, modi diversi, che ci hanno permesso di trovare alcuni spunti e significati che noi stessi non avevamo capito subito, e questo ci ha fatto enormemente piacere. Adesso siamo impazienti di suonare live e vedere anche il responso del pubblico vero, del pubblico da “baretto”, le cui opinioni, spesso, non sono in accordo con quelle della critica e degli “addetti ai lavori”.
Per registrare, mixare e masterizzare Circles avete preso i vostri passaporti, chiuso le vostre valigie, e siete volati in America, ad Omaha, Nebraska per la precisione; da dove è nata questa esigenza?
Non è stata una cosa programmata dall’inizio, ci soo stati vari fattori a farci volare oltreoceano; innanzitutto, attraverso una serie di conoscenze personali, nello specifico di Nicola (bassista) che aveva già registrato nello studio in questione (Another Recording Company Studios), siamo entrati in contatto con Ben Brodin, ingegnere del suono, che lavora appunto all’ARC studios di Mike Mogis, ad Omaha, Nebraska. Omaha che abbiamo trovato subito incredibilmente simile alla provincia di Pavia e ricca di musicisti eccezionali: per la proprietà transitiva, scarsa offerta di divertimenti tangibili ovvero gran numero di persone musicalmente creative. Altro motivo della scelta americana è stata l’opportunità di fare un’esperienza diversa, senza nulla togliere agli album ed agli studi di registrazione che abbiamo frequentato fino ad oggi. Il nostro non è un preconcetto: siamo convinti che si possano fare dei dischi ottimi anche in Italia. C’è stato un motivo tecnico però: lo studio era già fornito di tutti gli strumenti necessari per l’arrangiamento che pensavamo, e reperire la stessa strumentazione in Italia sarebbe stato difficile. Noi siamo partiti con le valigie, perse sia all’andata che al ritorno, e niete più. Inoltre, volendo ottenere un determinato tipo di suono, perchè non avvicinarci al luogo dove quel suono è nato e si è sviluppato?
Ci si sente un po’ più musicisti in America rispetto all’Italia?
Indubbiamente un po’ sì (ridono, ndr); noi ad Omaha abbiamo trovato una concentrazione di musicisti incredibilmente validi e preparati, che hanno suonato anche con noi con estrema umiltà. Insomma ci è bastatato poco per farci conoscere alle persone del luogo, incuriosirle e renderle partecipi del nostro lavoro. Ecco, questa spontaneità, quest’attitudine attiva alla musica forse in Italia è un po’ più faticosa. Forse è una questione anche di priorità data alla musica; da noi, a volte, anche i musicisti stessi non la mettono al primo posto della propria vita, che rimane comunque sobbarcata da altri problemi come lavoro o studio. In America molte più persone vivono di musica, che diventa un mestiere in tutto e per tutto.
Circles viene definito come un album pop, nell’accezione pura del termine. Si percepisce infatti nei singoli brani una fortissima attenzione alla “forma canzone”…
Quando abbiamo iniziato a suonare, facevamo un genere del tutto differente: post rock, psichedelia strumentale. Scherzandoci su, potremmo dire che poi ci siamo un po’ stancati di questi pezzi con code infinite. Circles arriva dopo un percorso durato dieci anni, ed in questi dieci anni ci siamo impegnati per arrivare ogni volta in sala prove con canzoni che fossero compiute, e che non sembrassero un ammasso di cose da ordinare. Già questo, quindi, è una base: partire da idee compatte ed unitarie. La ricerca della forma canzone, pop, melodica, senza troppi punti morti e troppi fronzoli era un nostro obiettivo. Poi magari, togliendo da una parte, andiamo ad aggiungere arrangiamenti un po’ più complessi e stratificati, con l’obiettivo di divertire noi e chi ci ascolta. Ci capita infatti a volte di cambiare alcune parti di una canzone, magari dopo un po’ che la suoniamo dal vivo, perchè ci vengono in mente degli arrangiamenti diversi e nuove idee; alla base però rimane la struttura solida del brano, e queste “variazioni” puoi permettertele appunto solo se la struttura è molto solida.
Una cosa che colpisce di Circles sono le grafiche: come sono nate?
Ci siamo accorti, già dal disco precedente, di essere tutti affascinati dalle grafiche un po’ surreali, tipo le copertine dei Pink Floyd; alla fine ci è stato suggerito il nome di Robert Beatty grazie ad amici comuni, un artista grafico che non si limita ad una rilettura del surrealismo anni 70 ma crea le proprie opere con una componente ironica forte e riattualizzata. Siamo molto contenti della copertina che contiene tanti piccoli dettagli che non si vedono di solito. Beatty ha ricreato con la grafica quello che noi abbiamo costruito con la musica, ovvero prendere un immaginario, digerirlo e farlo diventare una cosa nuova, non che suonasse come un revival o qualcosa di nostalgico.
Sono molti anni che suonate insieme (dal 2003); di live ne avete alle spalle un bel po’, anche su palchi importanti come il Miami: qual è il vostro approccio alla dimensione del live, ed anche nello specifico alla dimensione live italiana?
Siamo molto precisi e quasi paranoici riguardo alle nostre esecuzioni live; siamo molto severi con noi stessi, finchè un pezzo non suona dal vivo perfettamente come lo avevamo immaginato non siamo tranquilli, e per farlo è inevitabilmente necessario un po’ di tempo. Adesso, dopo un anno e mezzo da quando abbiamo registrato i pezzi, diciamo che sul palco iniziamo a rilassarci e divertirci.
Per quanto rigarda il live in Italia, non possiamo generalizzare: ci sono dei locali che mettono a disposizione spazi e strumentazioni ottime permettendoti di suonare perfettamente e con qualità, altre situazioni sono un po’ più complicate. Ogni volta che vai a suonare è un po’ un terno al lotto, ma non pensiamo sia solo un problema italiano; ovunque ci sono locali e persone serie ed attente, altre un po’ meno. Poi possiamo riagganciarci al discorso di prima e dire che in Italia c’è una sorta di problema culturale ed a volte, la musica, diventa quasi un fastidio più che un intrattenimento. Spesso le persone non hanno la spinta giusta per andare oltre quello che ci propongono radio e tv ed incuriosirsi per la musica di gruppi indie o minori, anche se, a volte, quelle stesse persone, capitando per caso in un locale dove si suona dal vivo, tendono ad appassionarsi e a prestare generosa attenzione al gruppo sul palco. Questione di stimoli in fondo.