Non c’è il pubblico delle grandi occasioni all’Alcatraz di Milano: manca il nome di grido che avrebbe sicuramente moltiplicato gli ingressi e manca un album storico degli anni novanta da rievocare in una cerimonia live. Eppure Thurston Moore avrebbe a disposizione entrambe le cose: la sigla leggendaria dei Sonic Youth e una serie di scalette che hanno tracciato le linee guida di tutto l’alternative rock degli anni ’80 e ’90.
Durante la serata, però, non verrà eseguito nemmeno un brano della storica formazione newyorkese, eppure la sensazione di trovarsi di fronte a una nuova incarnazione della band di Daydream Nation sarà decisamente palpabile. Il messaggio è chiaro: quel sound appartiene in gran parte allo stesso Moore.
Il set si basa quasi esclusivamente sui brani del recente The best –fuckin’– day, come ironicamente presenterà lo stesso Moore la sua title-track. Si parte con una Forevermore piuttosto fedele all’incisione che lascia però intuire, nella parte centrale, il maggiore respiro rumoristico della dimensione live. Stesso discorso per Speak to the wild. La superband messa in piedi da Thurston Moore funziona a dovere e la continuità nell’evoluzione dei brani lascia persino pensare che un rodaggio sul palco avrebbe impreziosito ulteriormente la realizzazione dell’album. Steve Shelley non perde un colpo, sa quando picchiare sulla sua batteria e quando lasciare spazio agli intrecci chitarristici; Debbie Googe (My Bloody Valentine) mantiene costantemente saturo il suono del suo basso per contribuire all’impasto sonico; James Sedwards se la cava egregiamente nello scomodo ruolo che fu di Lee Ranaldo, tranne qualche incursione solistica un po’ sopra le righe. Moore dirige il tutto con i suoi riff ossessivi, le digressioni noise e il suo cantato funzionale e notturno, la sua immagine un po’ sciamanica e un po’ nerd. Un gran bel sentire che culmina con una versione estesa di Grace lake tempestata di feedback.
Impossibile non fissare lo sguardo sulla cassa della batteria di Shelley dove è ancora ben visibile la scritta “Sonic Youth” e sentire un pizzico di nostalgia.
La band rientrerà per due bis estratti dal passato solista di Moore tra i quali spicca una versione quasi accattivante di Ono soul. Le contaminazioni folk presenti anche nell’ultimo lavoro sono escluse dalla scaletta, anche se sarebbe stato piacevole un intermezzo più intimo ed acustico. Dunque nessuna sorpresa nel sound e nelle strutture che sono quelle arcinote, che hanno delineato il genere e fatto epoca, ma la personalità di Moore e una band di primissimo livello riescono ad andare ben oltre l’effetto revival con uno spettacolo godibile e convincente.
(In collaborazione con Michele Marrocco)