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Devoti all’incertezza: intervista ad Alessio Dufour (S.U.S.)

intervista_SUS_IMG1_201411I S.U.S., acronimo di Succede Una Sega, sono un gruppo livornese che propone con il suo progetto musicale una commistione tra psichedelia acida dal sapore un po’ retrò e canzone d’autore. Il loro ultimo album Tristi Tropici è un viaggio nell’incertezza fatto di domande che restano sospese, di malinconici personaggi con i loro sogni che fluttuano in attesa che qualcosa accada, un viaggio visionario di cui abbiamo parlato con Alessio (voce dei S.U.S.).

Iniziamo raccontando un po’ di voi. Come, quando e dove nasce il gruppo dei S.U.S.?
Normalmente mi diverto sempre ad inventare nuovi inizi ma stavolta sarò spietatamente sincero. I membri dei SUS si conoscono nei tempi morti dell’adolescenza, tra i banchi di scuola del Liceo Classico Forteguerri di Pistoia producendo innocue cover di NOFX e Sex Pistols. Poco dopo decidono di formare una band noise-rock dall’imbarazzante nome Virgo First Fuck. Una sera di prove matte e disperatissime, segnate dall’ennesima assenza del chitarrista, si lanciano in una feroce improvvisazione sull’accordo di SI maggiore. Così nasce il primo pezzo dei SUS, Succede una Sega e così nascono i SUS. L’estetica del progetto era già tutta dentro quel brano. Il resto, di conseguenza.

Tropici Tristi è il vostro secondo album, arriva quattro anni dopo Il Cavallo di Troia. Il titolo è una dedica all’antropologo Claude Levi Strauss e al suo viaggio in Brasile in cui lo studioso analizzò lo stile di vita di alcune tribù locali. Perché avete deciso di omaggiare Strauss?
Di Claude Levi Strauss non sapevo assolutamente nulla prima di assistere ad un reading di Toni Servillo basato proprio su Tristi Tropici. Fu una lettura piuttosto piatta e monocorde ma le parole riuscirono comunque a passare. Rimasi colpito dalla delicatezza con cui l’autore riusciva a descrivere le usanze, i riti e le contraddizioni di quell’umanità fuori dal tempo in maniera così chiara e potente. Adottando quel titolo abbiamo cercato di restituire in musica con lo stesso rispetto la paura, i dubbi e le allucinazioni che scaturiscono dal nostro quotidiano allenamento all’incertezza, decrivendone il mistero in tutte le sue sfumature. Il disco inizia idealmente con rumori esotici ed un battere tribale di grancassa e si scioglie sul finale in una spiaggia all’alba aspettando che il rito si compia.

Tra Il Cavallo di Troia e Tristi Tropici sono passati quattro anni, ci spiegate il perché di una così lunga attesa tra il disco d’esordio e il nuovo album?
Questa invece – come ben sai – è la domanda che mi piace di meno. Mi ricorda che non si vive di sola musica ma di cambiamenti, rapporti che si interrompono, delusioni e ridimensionamenti. Quattro anni fa il nostro esordio nel mercato indie italiano ci ha aperto gli occhi su una realtà cinica ed involuta che ci ha sempre trattato con diffidenza, spesso liquidandoci come fenomeni folkloristici/pseudo demenziali. C’è voluto tempo per recuperare l’entusiasmo nell’esperienza musicale, il gusto del gioco di gruppo. Ad oggi possiamo assicurarti che della musica ci interessano i legami che è capace di creare. L’unico tipo di crescita sul quale abbiamo deciso di puntare è mosso da questa attitudine. Quindi passo in rassegna alcune delle istantanee più belle dell’ultimo periodo: Fabio Magistrali al lavoro sul suo mixer, la penna di Aka B, le suggestioni visive dello studio di design Arcaica, Miriam Tinto e Federico Perticone dietro la macchina da presa, Rachele Salvioli e Francesco Poli ubriachi più di noi ed aggrappati alle loro macchine fotografiche all’alba in una spiaggia bianca di scarichi industriali al bicorbonato. L’elenco di persone che hanno mobilitato le proprie energie per arricchire il progetto di uscita di Tristi Tropici si sta facendo meravigliosamente lungo, dandoci enorme fiducia nelle qualità espressive del lavoro svolto.

intervista_SUS_IMG2_201411Ascoltando l’album, la prima cosa che ha fatto breccia in me sono stati i testi. Essenziali ma ricamati su un’infinità di dettagli che, ironici e non banali, raccontano il vivere sociale e la socialità. Sono scritti in solitaria o c’è l’apporto di tutto il gruppo nella loro stesura?
Ti ringrazio per i complimenti. Il responsabile dei testi sono io ma non necessariamente l’unico autore. Cerco di raccogliere le mie idee unendole alle intuizioni degli altri SUS per poi modellarle sull’estetica della band. Nel nuovo disco ho sfruttato molti registri vocali, mettendomi anche al servizio di pensieri che non mi appartenevano. Mi sono lasciato attraversare da queste voci estranee che mi affascinavano e che trovavo perfettamente in linea con l’immaginario sospeso e visionario che intendevamo rappresentare.

Il rock si fa colto nella vostra cifra stilistica. Il vostro immaginario si rifà spesso a citazioni letterarie, penso a 15 riprese che richiama l’omonima raccolta di poesie di David Napolitano, 1984 di Orwell, Lungomare vuoto di Follonica tratta dalla raccolta Cani al guinzaglio nel ventre della balena di Simone Molinaroli, creando la base per un’ ottima musica d’autore che si innesta però su un sound psichedelico. Come riuscite a unire queste due entità a prima vista così diverse?
Il segreto più importante è semplice ed antico: avere ottimi pusher. Gente di fiducia. 
Poi non resta che improvvisare ed accettare il mistero. I SUS sono una sorta di mitologico cantautore a quattro teste da sempre attratto dalle meravigliose storture dei percorsi obliqui ed inattuali di artisti come Piero Ciampi, Enzo Jannacci, Lucio Dalla, Franco Battiato, Lucio Battisti e Giorgio Gaber che non esitavano a chiamare in causa la poesia, erano autentici funamboli dell’interpretazione vocale e al tempo stesso spensierati sperimentatori di nuove soluzioni. In Italia ora come ora ci sentiamo soli e tristi come una chimera in un museo circandata da professionisti della Conservazione.

Tema portante delle undici tracce è l’incertezza, cifra dell’esistenza umana degli ultimi decenni. Penso ai contratti a progetto, ai continui cambi di vita che deve fare chiunque per poter reggere fino alla fine del mese a volte, in cui urge rifornirsi di miracoli (1984). Come si relazionano a questa incertezza i SUS?
Le sono devoti. Ce ne siamo resi conto riascoltando il primo disco. Al tempo, eravamo un power trio basso,chitarra, batteria e una voce sparata ad urlare, disperarsi e maledire. Sapevamo suonare la noia di provincia, “l’Italia che non ci va”. Un classico, insomma. Ci stavamo involontariamente predisponendo ad allinearci all’infinita schiera di strillanti gruppi spalla de Il Teatro Degli Orrori. Poi, grazie anche all’ingresso in pianta stabile di Fabio, abbiamo scelto di smetterla col sarcasmo e le invettive e siamo passati dall’insofferenza standard all’incertezza che da sempre fa parte della nostra identità. Abbiamo tutti e quattro un non-lavoro. Siamo tutti e quattro impiegati invisibili. Sbiaditi come il cameriere descritto da Simone in Lungomare vuoto di Follonica. Eppure di questo status sospeso riusciamo a nutrire la nostra immaginazione: c’è qualcosa di allucinante, nel senso letterale del termine, nel vivere quotidianamente questa nebbia. Possono materializzarsi Fantozzi e Filini che giocano a tennis con i congiuntivi, un rappresentante di vibratori, le notizie notiziabili che si dimostrano da sole e naturalmente c’è da stare molto attenti a non calpestare il povero scarafaggio Gregor Samsa. Tanto per non chiarire meglio il concetto, un poeta innominabile in questi tempi di Conservazione Democratica una volta ha scritto: “Sotto nuvole bianche, cielo di Pisa/Da tutta questa bellezza, qualcosa deve uscire”. Capito? Qualcosa deve uscire.

La produzione e la registrazione di Tristi Tropici è stata affidata a Fabio Magistrali, come è nata questa collaborazione?
Eravamo convinti di meritare un esperienza diversa, lontana dai “pacchetti vacanza standard” cui troppo spesso abbiamo finito per affidarci. Fabio Magistrali è una sorta di leggenda vivente un eroe delle nostre adolescenze. Sentivamo di dover sottoporre la nostra musica al suo trattamento quindi ci siamo rivolti ad amici musicisti per riuscire a rintracciarlo. Ha un numero di telefono ed un indirizzo mail da cui invia e riceve dati. Tutto qua. Non è stata una cosa semplice. Dunque, l’incontro folgorante avvenuto nel parcheggio dell’ospedale di Pisa in un agosto di piombo. Lì ci siamo spiegati, abbiamo chiarito le nostre intenzioni e compreso le sue. Cinque mesi dopo sarebbero iniziate le registrazioni del disco, ovvero le due settimane più esaltanti della nostra esistenza.

intervista_SUS_IMG3_201411Invece la collaborazione per la cover con AkaB (disegnatore di fumetti)?
E’ stata semplice e diretta. Aka B lo abbiamo scoperto anni fa, durante una data allo Zuni Club di Ferrara, che ospitava una sua mostra. Appena ultimato il master definitivo del disco, senza mai esserci conosciuti, glielo abbiamo spedito. E’ stato il primo ascoltatore di Tristi Tropici. Di tutta risposta ha cominciato ad inviarci i suoi disegni. Era rimasto colpito dalla prima parte del disco, quella più opprimente e claustrofobica, quella in cui si parla di un mistero che va avanti da sé, di simboli massonici (siamo pur sempre concittadini del Maestro Licio Gelli..) ed allucinazioni infernali. Ne è venuto fuori questo volto di ragazzo in bianco e nero con un sorriso a mezz’asta, lo sguardo lucido incorniciato da un compasso. Semplicemente perfetto. In seguito abbiamo avuto modo di conoscerci sul palco, suonando e disegnando insieme per una serie di date. I disegni da lui improvvisati sono stati raccolti dalle ragazze dello studio di design ARCAICA per diventare una vera e propria pubblicazione a corredo della prima stampa di Tristi Tropici in formato CD. E’ possibile acquisire le ultime copie rimaste delle 200 stampate, direttamente dal nostro sito www.susband.com.

Impegni live dei S.U.S per i prossimi mesi?
Il tour di promozione di Tristi Tropici partirà a gennaio 2015 ed avrà una sua particolarità. Le date si svolgeranno tutte o quasi all’interno di sale prove. Ebbene si: le sale prove. Abbiamo scelto di rivolgerci a questi spazi per bypassare l’interminabile trafila burocratica che un gruppo privo di hype (o per meglio dire, “notiziabilità”…) come il nostro deve normalmente subire per racimolare tre o quattro concerti l’anno nel circuito dei serissimi club indipendenti italiani. Noi stessi da oltre un anno ormai organizziamo nella nostra sala prove una rassegna di performance live a cadenza mensile promossa tramite volantini e passaparola dal titolo OHSHEET. Col tempo abbiamo ospitato progetti musicali provenienti da tutta italia (Luminal, Sadside Project, Sin/Cos, Fauve!, Sleeping Tree, Sneers, Pecora e molti altri..). Ci è sembrato quindi naturale muoverci in questa direzione, riscontrando da subito l’entusiasmo dei nostri contatti nelle varie città che si stanno mettendo a disposizione per organizzare e promuovere i nostri concerti. Ci rivolgiamo a chiunque possa essere interessato: se avete in mente una situazione adatta alla nostra iniziativa o semplicemente l’urgenza di portare un concerto dei SUS nella vostra zona scrivete immediatamente alla nostra mail lapancia@libero.it. Potrete seguire tutti gli sviluppi della faccenda sui nostri canali facebook, instagram e www.susband.com.

Potete farci una selezione di cinque brani che hanno direttamente o indirettamente influenzato la realizzazione del disco e della vostra musica?
P.I.L. – Poptones;
 Lucio Dalla – Balla Balla Ballerino; Talking Heads – Cities; Pavement – Grounded
; Lucio Battisti – Ma è un canto brasileiro

Playlist – Spotify

[Il brano Ma è un canto brasileiro di Lucio Battisti non è disponibile su Spotify, ma su YouTube… ]

Il fascino indiscreto del compasso – video

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