“Ed a volte ti vedi unico, una nave in una foresta”. Sono appena passate le 21.30 quando le luci dell’Unipol Arena di Bologna si spengono per lasciare spazio a quelle narcotiche che invadono e sovrastano il palco dei Subsonica. Una nave in una foresta, il loro ultimo lavoro, e Bologna ovvero l’ottava tappa del tour italiano del gruppo di Torino, arrivato al settimo album, e in cima alla lista dei dischi venduti nel nostro, spesso, audiodeficiente paese.
Il palazzetto (scusate, ma i termini vintage mi affascinano sempre) è quasi pieno e già dai primi attimi del live ci si trova ipnotizzati dallo spettacolo luminoso che si apre davanti agli occhi; la magia ipnotica è interrotta soltanto dalle grida adulanti delle fans delle prime file (ah, se avessi ancora sedici anni!) intente a rompere il muro del suono con i propri sogni di 100 decibel cadauno. Un palco “terrazzato”, a piani crescenti, al quale noi spettatori, di altezze medie poco imponenti, rendiamo immensamente grazie, avendo scongiurato il pericolo crampo ai polpacci causa ore in punta di piedi all’utopica ricerca di una visione discreta. Un tetto mobile e scomposto di luci matrixiane, fuso alla perfezione con le ritmiche prepotenti e trascinanti del gruppo. I pezzi nuovi si alternano a quelli storici, i cui refrains sono impossibili da non cantare. Samuel Romano è nel pieno della sua forma: balla, si muove, corre sul palco come un piccolo beat elettronico sincopato, reggendo l’intonazione, ed il fiato, per le due ore e mezzo del live. Il dubbio di un aiutino da autotune può venire, ma, se il risultato è così avvolgente, ben venga. Due ore e mezza di live, sì. Personalmente non amo gli spettacoli così lunghi, alla fine ci si stanca sempre un po’ troppo ed il rischio di sovrabbondanza di input rischia di rendere meno speciale la performance. In ogni caso, tale generosità, allestita con così tanta attenzione nell’esecuzione, è senza dubbio apprezzabile. I Subsonica sono davvero carichi ed in forma: Boosta e le sue tastiere carrellabili, a metà tra un muletto ed un carrello Esselunga mansardato, cattura l’attenzione della parte sinistra del palco; Max Casacci, pur di percorrerlo tutto quel palco, affida la pedaliera della propria chitarra ad una buon’anima di un tecnico di palco che, accovacciato sulle ginocchia, comanda i pedali con le proprie mani, permettendo a Max di muoversi in libertà (la nuova frontiera dei mestieri crossmediali).
Ci son state tre uscite di palco e, ovviamente, tre rientri conseguenti; sull’ultimo bis, che poi sarebbe un ter, o meglio un quarter, le luci sono più calde ed illuminano la platea, così da racchiudere il pubblico dell’Unipol Arena in un unico grande abbraccio sulle note di pezzi storici, scritti più di 10 anni orsono.
Uno spettacolo con un “ritmo abarth”, per dirlo Subsonicamente; un live trascinante, curato e senza banalità, di quelli che non ti aspetteresti da un gruppo di casa nostra. Ma stiamo parlando dei Subosonca, in fondo. L’unica pecca, forse, l’audio, problema annoso di ogni performance live nei palazzetti a causa del pericolo “scatolone rimbombone”, soprattutto quando si suonano pezzi elttrodance, con un’abbondanza di suoni synthetici. In alcuni brani era veramente difficile distinguere le varie sonorità, lasciando spazio soltanto ad un’amalgama scomposta e roboante di elementi (piccola pecca che avevo riscontrato anche ascoltando l’album).
“ Ed a volte ti vedi stupido, una lacrima ad una festa” : ci vediamo al prossimo tour.