Come per il precedente Wow (2011), i Verdena si ritrovano, dopo lunga assenza dalle scene, con una gran quantità di inediti, divisi in due volumi (l’uscita del secondo è prevista per l’estate) col medesimo titolo Endkadenz, ispirato alla cadenza finale, l’ultimo colpo col quale il compositore argentino Mauricio Kagel chiudeva il suo Konzertstück für Pauken und Orchester: uno schianto della membrana di carta di uno dei timpani con l’intero corpo del percussionista. Il complesso percorso intrapreso dalla band già quattro anni fa si consolida in questa nuova prova, confermando ambizioni e limiti del progetto Verdena. La tecnica di scrittura dei testi, che traducono da un finto inglese, come per Battisti, in base alla musicalità delle parole e non necessariamente del senso, si intuisce dalla fusione in fase di missaggio della voce con gli altri strumenti, per una coloritura finale di un insieme già plasmato, in cui il canto, forse meno versatile rispetto ai felici esperimenti di Wow, si sposta di rado dal registro alto. Un limite che è anche una costante nel nuovo sound mutevole della band, come ammesso con onestà non comune dallo stesso Alberto Ferrari. Le musiche al contrario non perdono mai d’incisività, forse soprattutto per merito dell’infaticabile lavoro ritmico di Luca Ferrari, solido pilastro dinamico della band. Ne risulta un album complesso e variegato con brani che oscillano per l’urto di deflagrazioni improvvise (Ho una fissa), ballate chitarra acustica e mellotron che si gonfiano in continue mutazioni di voci filtrate e raddoppiate in frequenze acidule, mettendo in campo uno strano campionario di percussioni sul finire (Puzzle). Fresca immediatezza rock (Un po’ esageri) e riff sospesi tra blues e r&b moderno, aperti da soli liquidi come una scarica elettrica, squarciati da urla distorte e allungate dagli echi (Sci desertico). Tastiere evocative che tornano dall’intro a code strumentali di grande impatto ritmico, con loop vocali che si rincorrono in un’atmosfera da teatro surreale (Rilievo); scomposti suoni psichedelici che si organizzano in epici accenti beatlesiani (Diluvio) e lasciano il campo a riff fulminei su drumming forsennato e graffianti cambi di passo (Derek). Talvolta le parti strumentali si avviano quasi svogliatamente, ma pian piano travolgono con un ossessivo pulsare che afferra e trascina tutto in picchiata fino ad un cambio di registro degno del miglior Dalla, seguito da una coda di languidi sussurri (Vivere di conseguenza). E ancora si passa da citazioni degli Afterhours (Alieni fra di noi) a fiati sintetici che tratteggiano tinte pop come nell’ultimo Battisti, finché una frase di piano rende tutto più scuro e greve (Contro la ragione), a ballad che, rivestite da ruvido metallo, suonano come i Black Sabbath, chiudendosi con un divertissement di classicismo prog che fa il verso al finale di Musical box dei Genesis, con tanto di autoironici applausi (Inno del perdersi). E sì, gli applausi sono meritati!
Credits
Label:
Universal Music Italia / Jestrai / Blackout
Line-up: Alberto Ferrari (voce, chitarre, pianoforte, tastiere, mellotron, synth, batteria elettronica, campioni, organo, wurlitzer, ) – Luca Ferrari (batteria, batteria elettronica, synth, tastiere, percussioni, fisarmonica) – Roberta Sammarelli (basso) – Chaki (mellotron, tastiera) – Marco (ovetto, fuzz guitar slide) – Liviano (ovetto) – Beppe (cori) – Nick (cori)
Tracklist:
- Ho una fissa
- Puzzle
- Un po’ esageri
- Sci desertico
- Nevischio
- Rilievo
- Diluvio
- Derek
- Vivere di conseguenza
- Alieni fra di noi
- Contro la ragione
- Inno del perdersi
- Funeralus
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