Felpa è Daniele Carretti, (già membro degli Offlaga Disco Pax e Magpie) autore di Paura, il secondo disco solista dopo Abbandono (2013). Abbiamo “incontrato” Daniele nelle strade fredde del web che solo le appassionate parole possono davvero scaldare. Gli abbiamo chiesto come è nata e cresciuta la sua “paura” e oltre a risponderci… lui ci ha offerto qualcosa in più. Andarsene è un brano inedito in anteprima per LostHighways, registrato unicamente in questo video in una versione scarna ed essenziale per un “concerto in cameretta”.
Paura suona come un diario. Una necessità espressiva fine a sé stessa. Pensi che, se si può definirla genericamente “utile”, la musica sia tale più per chi la fa o per chi la “riceve”?
Credo che in entrambi i casi la musica possa essere una “terapia” o un modo per riuscire a sfuggire dalla quotidianità o dai problemi. Personalmente, da musicista è un bisogno necessario senza cui non potrei fare, da ascoltatore pure in quanto ascoltare musica in cui riesco ad immedesimarmi e in cui farmi trasportare è necessario.
Brani lenti, estremamente intimi e dilatati. In Paura ci si sente dentro la notte con il suo tipico ritmo dell’insonnia. E’ andata davvero così? Hai registrato tutto il disco in casa, di notte?
Il primo disco sì, lo avevo scritto e registrato praticamente sempre di notte. Per Paura le prime canzoni le ho scritte di notte, poi ho dovuto dilatare il suonare in ritagli di tempo diurni visti gli impegni lavorativi e una calante insonnia, che per fortuna mi ha fatto dormire un po’ di più negli ultimi tempi. L’atmosfera notturna però è rimasta, e la notte rimane comunque sempre il miglior momento per la musica.
Andarsene è il brano che abbiamo il piacere di presentare in anteprima. Un’esibizione indoor, scarna. Lo hai chiamato “Concerto in Cameretta”. Puoi parlarci di questo brano?
Il brano l’ho scritto subito dopo la fine delle registrazioni di Paura e non sono riuscito ad inquadrarlo molto bene perché ero preso da mix e ultimi ritocchi sul disco. Con il tempo poi mi è piaciuto sempre di più e ho deciso di suonarlo live in alcune date fatte quest’inverno. Rimane un brano di passaggio, che non sarebbe andato bene in Paura ma non andrà bene, per le idee che ho in mente, neanche per il prossimo disco. L’unica registrazione rimane questo piccolo concerto fatto nella mia cameretta, per ora.
Che periodo è stato della tua vita quello in cui hai registrato Paura? Un periodo piuttosto ampio tra 2013 ed estate 2014. Riconosci i temi trattati e la realizzazione ancora attuale per il Daniele Carretti di oggi?
Il 2013 è stato un anno abbastanza sereno e tranquillo, quindi molto in contrasto con tutto quello sarebbe diventato il disco; il 2014 invece è stato un anno terribile, ma non per questo rientra particolarmente nei temi del disco: è stato difficile trovare la forza di portarlo a compimento, molto difficile.
I temi trattati in Paura, come quelli in Abbandono, sono sempre attuali per me, slegherei il periodo in cui ho scritto il disco con il contenuto dei testi e delle musiche che invece si rifanno ad un più ampio vissuto ma che vengono, più per argomenti e sensazioni, riunite in un disco. Da qui l’importanza di avere un tema centrale per i dischi che faccio, in cui non mi sento di mescolare sensazioni differenti, ma ritrovo periodi diversi legati da sensazioni comuni.
Quali sono i tipi di “paura” di cui parli in questo disco?
La paura che deriva dal rimanere soli, la conseguenza dell’abbandono, il non aver bene a fuoco un futuro e il non riuscire neanche a immaginarlo. Tutto però fin che non si riesce a capire e convivere con questo sentimento, che poi mi porta a un senso di tranquillità e in parte risolve la paura, che rimane sempre perchè è impossibile sfuggirla nell’epoca in cui viviamo, ma che la rende più sopportabile.
Paura mai è un brano che a metà della tracklist si apre ad una melodia più orecchiabile, più luminosa. Dove hai trovato quella luce nella notte?
Ci sono sempre momenti in cui per un motivo o per l’altro le cose sembrano andare meglio, mera illusione il più delle volte, ma comunque portano sempre a uno spiraglio anche se velato; avendo poi sempre scritto brani abbastanza cupi e “lenti”, mi piaceva l’idea di provare a creare un contrasto musicale con il resto del disco.
Spazio è un brano strumentale. Le parole sarebbero state di troppo oppure incapaci di descrivere ciò che solo la musica può riuscire a fare? Dove finisce il campo della scelta artistica ed inizia il limite dell’autore o viceversa?
I testi come le musiche sono un’espressione di sensazioni e atmosfere che si mescolano. Solitamente parto dalle musiche e poi pian piano costruisco attorno all’atmosfera che ricreano delle parole, che potrebbero essere anche altri strumenti però, quindi un brano strumentale come un brano cantato contiene in egual misura quello che voglio esprimere. Vedo la voce come uno strumento, che contiene volendo forme espressive maggiori e differenti da un semplice suono, ma non la ritengo più meritevole di altri e quindi non sempre è necessaria.
Nel comunicato stampa di presentazione del tuo disco in un passaggio è scritto “Alla fine ci si potrebbe pure annoiare ad ascoltare, quindi va assunto in piccole dosi e solo dopo prescrizione medica”. La paura di annoiare vive in te autore musicale?
No, scrivendo e suonando perché ne sento il bisogno, non provo nessuna paura di annoiare nel proporre quello che faccio. So che l’esigenza del “divertimento” è forte in molti ascoltatori di musica e possiamo dire che Felpa non sia proprio un ascolto facile e sbarazzino… Ho sempre visto la musica come qualcosa con un enorme potere espressivo e non riesco a vederci quasi mai del divertimento, se non in parte e se non per limitatissimo minutaggio, la prendo sempre molto seriamente sia da ascoltatore che da musicista e quindi capisco che in quello che suono ci sia molto di tutto questo e che possa, per molti, creare cali di attenzione o essere pesante. Riguardo al comunicato che hai citato, essendo per me il suonare e lo scrivere una specie di “terapia”, ci tenevo ad indicare una precisa posologia da fornire agli ascoltatori.
Dal punto di visto sonoro è evidente un approccio artigianale, lo-fi, che ben si incastra con le sonorità da te ricercate, tra wave e dilatazioni senza picchi. Quali sono i tuoi personali riferimenti musicali? La tua è una nostalgia necessaria o con la quale sei costretto a convivere?
La creazione di atmosfere precise che ripercorrono mie precise emozioni non possono che trovare ispirazione negli ascolti che più mi hanno colpito ed emozionato nel mio percorso di ascoltatore, quindi nessuna costrizione ma semplicemente il trovare e rielaborare sonorità che perfettamente si legano alle mie sensazioni. Partendo dai Cocteau Twins e da tutto quello che negli anni ’80 e ’90 ha prodotto la 4AD fino ad arrivare alla musica shoegaze, dilatata ed evocativa, dei primi anni ’90 tra cui gli Slowdive in cima a tutti.
Puoi indicare cinque brani che hanno influenzato più o meno direttamente il mondo visto da Felpa nel suo Paura? Offrici una chiave di lettura in più.
Quando suono o compongo è difficile che mi soffermi su un autore o un suono sentito più che su altro, suono e provo effetti, spesso a caso e in base al mood del momento e in improvvisazione fin che non mi viene qualcosa che esprima determinate sensazioni. Mi registro spesso e mi riascolto di più per poi elaborare le idee e trarne alla fine una forma più o meno sensata di canzone che per me abbia un determinato significato emotivo. Se devo fare un sunto degli ascolti che comunque in parte hanno segnato o ispirato un qualche suono e melodia posso dirti: Slowdive – Morningrise, Scisma – Armstrong, Cocteau Twins – Love’s Easy Tears, Red House Painters – Medicine Bottle, De Gregori – Rimmel.
Parliamo della scelta di pubblicare l’album in un numero ridotto di copie fisiche, impreziosite da un frame fotografico. A cosa mira questa scelta?
Credo che nella situazione discografica attuale sia importante riuscire a creare attorno al supporto fisico un qualcosa in più che possa portare a volere avere il disco. Ritengo che proporre un cd in semplice jewelcase o addirittura solo in digitale sia oltremodo riduttivo per il prodotto offerto e di poco rispetto per il proprio lavoro che lo si confina in un supporto “basta che sia” o addirittura in un “nulla nell’etere”. Con questo non voglio dover arrivare ad espedienti “sinistri” per vendere qualche copia in più, ma semplicemente portare l’attenzione all’importanza che c’è dietro al supporto, alla creazione di esso, all’arte che lo compone. Importante è il richiamo visivo che la copertina, come il suo contenuto fisico, danno alla musica che realizzi. I frame fotografici sono momenti e ricordi impressi in qualcosa di reale che si legano a quello che il disco racconta in musica e parole, quindi sono parte di esso e imprescindibili. Sono d’accordo che un disco di musica sia soprattutto o volendo soltanto la musica che lo compone, ma penso anche che la scelta della copertina, la scelta delle parole da inserire al suo interno siano comunque una cosa importantissima e senza la quale il tutto perderebbe di importanza. Etichette come la Factory e la 4AD in passato, e molte anche oggi, hanno creato un immaginario parallelo nella creazione di copertine e grafiche particolari importanti quanto la musica che poi contenevano i dischi: non vedo perché oggi ci si debba limitare a buttare degli scarsissimi mp3 in rete un tanto al braccio tanto per farsi ascoltare.
Andarsene – “concerto in cameretta” anteprima esclusiva per LostHighways.it
Felpa – playlist