Frankie Magellano, al secolo Matteo Morgotti, è un personaggio tra i più eclettici tra quelli che ci è capitato d’incrociare lungo le strade di LostHighways. Amante del rock, del teatro, della letteratura tanto da prenderli e fonderli in album che fanno del pathos, dell’urgenza interpretativa il loro punto di forza. Ha da poco dato alle stampe Ho poco ma c’ho, lavoro che mette in musica testi scritti dal controverso scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli. L’abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare com’è che Matteo diventa Frankie.
Raccontaci un po’ in che modo Matteo Morgotti è diventato Frankie Magellano. Quanto di Matteo c’è in Frankie?
Matteo credo sia sempre stato Frankie, solo che ha fatto outing nel 1999. Ho cantato in un gruppo rock (Mamamicarburo) per una ventina di anni, ma ho sempre scritto altri testi e pensato altre musiche. Poi quando ho potuto avere un computer l’ho attrezzato per comporre e da lì ho cominciato a mettere i miei pensieri in musica come Frankie Magellano.
Con il tuo progetto esplori il mondo della musica, del teatro, della letteratura: quali sono gli aspetti più interessanti di queste arti, quelli che “rubi” per costruire un disco di Frankie Magellano?
Rubo ai miei desideri, a ciò che vorrei fare, essere ma non riesco, a dove vorrei andare ma non posso. Le mie canzoni esplorano la pellicola del film mai girato “Vita, sogni e utopie di Matteo Morgotti”. Scrivo compatendomi, sognandomi, rimpiangendo, fingendo di essere triste o felice.
Mi piace il teatro, lo dico spesso, mi piace “lo stabile” del teatro, cioè la costruzione, mi ispira moltissimo. Non ho mai capito perché ma mi attrae morbosamente il teatro, parlo proprio del luogo. Ci vivrei dentro, farei un concerto in teatro ogni venerdì sera, davanti a due persone, non importerebbe. Stare fisicamente in teatro mi fa sentire bene.
Nella tua carriera si può individuare un momento nel quale hai voluto mettere un punto, inscenando la morte del tuo alter ego nel 2007. Un gesto forte, anche provocatorio. Cosa ti ha spinto a farlo? Cosa c’era di così sbagliato in quello che stava facendo Frankie Magellano, tanto da portarti ad ucciderlo per poi resuscitarlo?
Ho deciso di finire con i live a quel tempo perché c’era tanto da “sbattersi”, come si dice, e poche soddisfazioni. Ero stanco, un momento un po’ così… si suonava spesso sempre nello stesso perimetro e credo avessi anche stancato le persone che ogni stagione si trovavano Magellano a fare il suo concerto nello stesso posto dell’anno prima o della stagione prima, insomma ero demotivato. Poi, dopo un po’ di tempo, spinto dai ragazzi del gruppo e da un amico che si era proposto di farmi da manager e da booking (sgravandomi da pensieri amministrativi e logistici che mi stufavano più di ogni altra cosa), iniziai a risentire dentro di me la voglia di riprendere (rinascere). L’episodio della morte nella bara fu una vera e propria sorpresa, un’improvvisazione, perché fu uno scherzo dei miei musicisti, che io apprezzai a dismisura.
Veniamo a Ho poco ma c’ho, tuo terzo album (quarto, se consideriamo anche l’Ep Ricordati che prima o poi ti mangerò). Un disco che mi ha colpita ancor prima di ascoltarlo, visto il mio amore per Tondelli. Come sei venuto in contatto con il mondo che ci ha lasciato lo scrittore, con la parte un po’ meno conosciuta di Tondelli, ovvero quella di autore di testi?
Tondelli l’ho conosciuto grazie ad un mio amico, Luigi Levrini, che è un vero e proprio appassionato ed esperto conoscitore di Tondelli. Mi chiese anni fa se mi andava di mettere in musica un testo di PVT. Fu il mio primo approccio con Tondelli scrittore. Lessi quei testi, scelsi Amore mio fallimentare e devo dire che, dopo averla suonata un paio di volte, divenne il mio pezzo preferito, o quasi. Qualche anno dopo, sulla scia del successo di quella prima esperienza e d’accordo con la produzione, la famiglia di Tondelli e il curatore delle sue opere, Fulvio Panzeri, decidemmo di omaggiare i restanti testi mettendoli in musica, devo dire con mia grande gioia.
Cosa hanno in comune Frankie Magellano e Pier Vittorio Tondelli, a parte il fatto di essere compaesani?
L’essere compaesani non è mica poco, sopratutto in un paese piccolo: si respira la stessa identica aria, si cammina sulla stessa terra, si conoscono le stesse persone, si mangia lo stesso cibo. A parte questo credo che la passione per la musica (cosa poco nota di Tondelli), sia il maggiore punto d’incontro, oltre la passione per le parolacce ma questo non so se lo pubblicherei…
Mi sono avvicinata alla scrittura di Tondelli a diciannove anni e sono rimasta particolarmente colpita da Camere separate, un romanzo in un certo senso anomalo nella letteratura dello scrittore correggese. L’ho trovato delicato, intimo nel suo modo di farci entrare nella vita di Leo e Thomas. Perché hai scelto di mettere in musica proprio stralci di quest’opera e non altre di Tondelli?
Perchè in Camere separate (il romanzo) c’è una parte di testo che sembra incompleto, nel senso che ha dei puntini di sospensione prima e dopo, e in mezzo c’è la frase che ho utilizzato come ritornello di Camere separate (il brano). Quelle parole mi piacevano molto, erano piuttosto delicate e, come ti ho detto, mi sembravano incomplete così decisi di creare io il testo attorno, completando idealmente il prima e dopo rappresentato dai puntini. Una scrittura a quattro mani, se mi si passa il termine, e poi è un libro che mi piaciuto particolarmente, anzi, per me il più bello scritto da PVT.
Con il tuo “Piccolo Teatro Mobile Schifoso” ti esibisci spesso nei teatri. Cosa vuol dire portare la musica “leggera” a teatro? Che differenza c’è tra l’esibirsi in un locale e il salire sul palco di un teatro?
Una differenza enorme, secondo me. Nel locale devi farti sentire, a teatro ti vengono ad ascoltare. Ma, ripeto, è il fascino del “locale” teatro che fa la differenza, direi che il teatro è il locale più bello dove ho suonato.
Voglio chiudere questa intervista chiedendoti cinque brani non tuoi che ti hanno influenzato maggiormente e, se ti va, di dirci qualche parola su ogni brano.
Opplà… Allora, sarebbe troppo lunga la risposta e troppo pochi 5 brani.
Io ascolto ed adoro una band che si chiama MESHUGGAH e diciamo che in generale ascolto da sempre un genere di musica che poco ha a che vedere con quello che suono. Sono un figlio degli anni ’80 e sono cresciuto con Heavy Metal e Hard Rock. Potrei farti nomi di brani e band ma ti sfido a conoscerne una e non credo sia di tuo interesse.
Per ciò che faccio come Frankie Magellano, devo molto a varie musiche di vari posti del mondo: verso i 25 anni ho scoperto il tango, e ancora prima le musiche dei balcani, la musica klezem i suoni mediorientali.
Ecco comunque i mie 5 brani: Take it with me di Tom Waits; Ausencia di Goran Bregovic; On Saturday Afternoons in 1963 di Rickie Lee Jones; tutta la colonna sonora del film The Wrestler; Sailing to Philadelphia di Mark Knopfler. Quello che significano per me questi brani… è un segreto.