La musica insegna il tormento, la ricerca, il cambiamento. Per la vita di una band può voler dire anche modifiche di line up. A volte, molte. A volte è la trasformazione il senso della forza e dell’alchimia di un progetto, di un collettivo come quello degli Afterhours che, ad ogni burrasca, riesce a trarre energia rigenerativa dal suo leader Manuel Agnelli. Dopo oltre vent’anni di carriera, sono ancora loro gli alfieri indiscussi della musica indipendente italiana.
Dopo la dipartita di due membri storici (G. Prette e G. Ciccarelli), ci si poteva aspettare una stasi, un momento di sospensione e di pausa. Invece, arrivano due nomi importanti a ridefinire le direzioni artistiche del gruppo: Fabio Rondanini (batteria e percussioni) e Stefano Pilia (chitarre, pianoforte e contrabbasso). Così parte il tour nei teatri che usa un titolo forte, perfettamente in linea con i messaggi di Padania, disco del 2012 acclamatissimo da critica e pubblico. Io so chi sono, è questo il titolo. Un invito, e insieme un’affermazione della propria identità, intesa come esplorazione, possibilità, movimento. Movimento dell’io. Antidoto alla mediocrità che scaraventa l’uomo di oggi in un anonimato senza scampo. E sembra quasi una sfida, questo tour. Comunica forza, imponenza di intenti, fermezza, e qualità altissima.
Il 16 Febbraio è il teatro Augusteo di Napoli ad ospitare uno spettacolo in cui il rock reclama un rapporto d’empatia profonda con il pubblico, che si ritrova seduto ad essere investito dall’elettricità di due ore e mezza di impeccabile performance, esaltata dal gioco di luci diretto da Davide Pedrotti e dai visual di Graziano Staino.
Quando la penombra si diffonde, Agnelli attraversa la platea. La sua voce nuda, governata da una respirazione che taglia l’attenzione, lascia scivolare a mezz’aria le parole del brano Io so chi sono. Raggiunge il palco e lo spettacolo ha inizio nella sua perfetta sinergia delle parti. Risulta efficace e convincente una dinamica che gioca anche a favore delle individualità come a sottolineare i singoli talenti che contribuiscono a rendere il suono moderno e imponente.
Si susseguono brani pescati da Padania, Ballate per piccole iene, Quello che non c’è, Non è per sempre. E le letture di Agnelli fanno inchinare il rock alla letteratura, al senso intimo e misterico del teatro: Indifferenti da La città futura (A. Gramsci), Moloch da Howl (A. Ginsberg), un passo da Il Libro dell’inquietudine (F. Pessoa) sono momenti di grande carica emotiva.
In scaletta anche Ossigeno e Posso avere il tuo deserto (Germi) e una sorprendente Riprendere Berlino (I milanesi ammazzano il sabato).
Va ricordata una parentesi in cui gli Afterhours enfatizzano lo speciale rapporto col pubblico: una nuova incursione in platea con gli strumenti privi di amplificazione è dedicata al brano Non è per sempre, trasformato in un coro generale.
Tra le cover, l’accento cade su Place to be di Nick Drake. Agnelli, solo sul palco, voce e chitarra, incanta il tempo e lo spazio con un’interpretazione emozionata e personalissima.
Nel complesso, un live in cui spirito e materia si fondono. Ispirazione e fisicità si condensano.
Il rock feroce, affamato si lascia attraversare dalla dolcezza del violino, dalla malinconia del pianoforte, dai notturni del contrabbasso. E su tutto, su tutto una voce regale e maledetta, possente e modulata dalla trasformazione, dalla vita stessa.
Si potrebbe descrivere il senso di questo tour e del nuovo corso degli Afterhours chiamando in causa Il Libro dell’inquietudine di cui sopra: “Cancellare tutto del quadro da un giorno all’altro, essere nuovi ad ogni alba, in una perpetua rinnovata verginità dell’emozione”. Questa verginità tiene in vita questa band e la rigenera, ogni volta.
Fotografia di Alessandro Caiazzo – FreakOut Magazine