Il nuovo disco di Daniele Celona, Amantide Atlantide, mi ha completamente conquistata. Ascoltare un album ed apprezzarlo interamente non è facile. Volerlo fare ascoltare agli amici, sapere di farci anche una bella figura, volerlo tenere tra le mani, fisicamente, far sì che sia il sottofondo musicale delle tue serate più intime, solitarie, sono tutte cose che accadono molto, molto raramente. Non essere delusi è cosa straordinaria. Sulla scia delle belle parole che ho ascoltato nei testi di queste undici tracce del disco, ho sentito il bisogno di averne ancora, di sapere dell’altro. Nasce così questa intervista, che rappresenta l’ennesima conferma di quanto sia difficile, ma anche un privilegio, essere un musicista, e che dietro a delle forti emozioni ci dovrebbe essere sempre qualcuno in grado di raccontarle così.
Come nascono i testi di Amantide Atlantide? Sei istintivo nella scrittura o hai un metodo di lavoro? C’è un aneddoto che più di tutti ha ispirato la scrittura di un brano del disco o dell’intero album?
I testi nascono tendenzialmente con due processi diversi. Uno più istintivo, direttamente in fase di composizione della parte strumentale, per assonanza di un fake english o del primo gridato che esce su quel giro di accordi. L’altro molto più lento, nato dalla raccolta di più frammenti testuali, lasciati lì a riposare in attesa di sposarsi al giro armonico adatto e di essere taglia-incollati ad altri spezzoni di testo che abbiano subito la stessa sorte.
Le storie che hanno ispirato alcuni pezzi sono tutt’altro che divertenti. Hanno a che fare più che altro con le scazzottate di ognuno di noi coi propri demoni. Mi soffermo piuttosto su Politique, che è nata quasi per scherzo nel mio scantinato in Sardegna. Una volta proposta in sala si è trasformata in uno sfottò collettivo che ci è piaciuto mantenere come rito live.
Come è cambiata la musica negli ultimi anni? Cosa vorresti che ricordassero, musicalmente, di questi anni di cui hai memoria le generazioni future?
Sono cambiati molto i mezzi per la sua fruizione, sono sparite certe sovrastrutture e ne sono nate altre. In fondo però il rapporto nudo e crudo di un autore con il suo strumento e con l’ispirazione, alta o meno che sia, rimane pur sempre lo stesso. Cosa vorrei ricordassero? Non lo so. Forse vorrei che un domani anche le piccole storie non fossero dimenticate. Che certe canzoni nascoste non lo fossero poi così tanto. Una storia dell’immenso popolo legato al far musica, non solo degli imperatori che su di essa hanno fatto fortuna.
Per chi fai musica? Chi vuoi raggiungere?
La faccio per necessità a dirla tutta. E’ solo un modo, il migliore che abbia trovato, per non uscir fuori di testa. E’ pertanto un “fare” rivolto a me solo in prima battuta. Il resto è un effetto collaterale, lo dico sempre. Fino a qualche anno fa scrivevo per le mie quattro mura e basta. Poi i concerti mi mancavano troppo e mi sono rimesso in gioco. Se il momento della scrittura rimane quindi privato, prezioso perché rivolto all’interno, quanto segue, arrangiamento, registrazioni eccetera, è solo il mezzo per salire poi su un palco. Va da sé che il palco, il live, rema in direzione opposta all’isolamento. Si nutre di condivisione, tra i musicisti, e col pubblico.
Ti senti un nostalgico? C’è qualcosa che rimpiangi per te stesso o per la società?
Cerco di non guardarmi troppo indietro. Molte cose mancano, certo. Rimpiango la serenità dell’adolescenza. Le tavolate dei pranzi parentali in Sardegna, in cui si era tutti riuniti e preoccupazioni e problemi di salute non avevano ancora fatto capolino. Rimpiango l’Italia di quegli anni, sporca, ma con ancora la speranza nelle vene.
Rimpiango un’umanità migliore, come tutti. L’attenzione all’ambiente, l’umiltà di essere un’entità vivente non superiore ad altre. Rimpiango delle dottrine e delle religioni che non sfocino in fanatismo. Ecco, manca la pace nel mondo e poi posso partecipare a mister Italia.
Cosa ti ispira? E cosa, invece, ti toglie energia?
Con la vecchiaia, diciamo così, sta diventando sempre più importante l’ambiente in cui poter scrivere. La luce ad esempio è importantissima per entrare nel giusto mood. Forse è per questo che scrivo così tanto quando sono in Sardegna. Se ho dei cali di energia credo sia solo per ragioni squisitamente fisiche. Quando “tiro troppo”, con trasferte lunghe, impegni sovrapposti, corse per riuscire a stare nei tempi previsti, ritorni notturni a orari impossibili, ecco che la stanchezza affiora. Si dorme poco, si mangia male, eccetera. Ti dici che andrà meglio, ma poi sei sempre lì, ad investire su te stesso con forze che non pensavi di avere.
Dal punto di vista mentale occorre poi restar lucidi e affrontare gli ostacoli uno alla volta.
C’è un brano che ti emoziona particolarmente in questo album?
Sono tutte figlie amate queste canzoni. Amantide e Atlantide hanno la capacità di toccarmi ancor adesso, ma è forse Johannes, quella che ha richiesto più impegno per la messa a punto e rimane tutt’ora uno dei momenti che preferisco del disco.
Qual è il tuo rapporto con il pubblico? In questa dimensione cosiddetta social, quanto conta invece essere ad un metro di distanza, nei live?
E’ molto importante. Ti riporta in qualche modo alla realtà. O meglio, è il giusto esito di una conoscenza nata altrove, sia anche sui social. Incontrare chi ti ha dato supporto virtuale e incrociare davvero le proprie storie guardandosi negli occhi.
Le tue collaborazioni sono tante e di grande spessore. E’ più importante sentirsi parte di un progetto, di una squadra, o riuscire a raggiungere da soli degli obiettivi? Con chi altro vorresti collaborare?
Credo sia importante non negarsi nessuna delle due dimensioni. Ci sono sfide che occorre affrontare per forza da soli, per mettersi alla prova, per diventare più forti. Ma è importante anche riuscire a fare sinergia con altri, stare all’interno di un ambiente e di un humus creativo che possa stimolare e aprire orizzonti. Puoi amare giocare a biliardo o a volley e godere in modalità diversa di entrambi. Vale anche per la musica o altre espressioni potenzialmente artistiche.
Per quel che riguarda le collaborazioni, ho amici che non sono riuscito a racchiudere in questo disco e che spero di coinvolgere per i prossimi progetti. Da Umberto Maria Giardini ai Di Martino, agli Albedo, a Capovilla.
Hai progetti a lunga scadenza o ti basta sapere cosa farai domani?
Sto scrivendo un romanzo. Devo registrare una serie di temi strumentali che ho nel cassetto ormai da un po’ e ho già iniziato a comporre per il prossimo disco. Mi devo anche dedicare a un paio di band la cui produzione sto rinviando da troppo.