La solitudine dell’alienazione urbana nelle grandi metropoli. L’isolamento deliberato dell’uomo nell’epoca “social network”. La perdita dell’innocenza e della purezza dei rapporti, tipica dell’età adolescenziale. Tutti questi temi compongono il nucleo concettuale del quarto lavoro della carriera solista di Steven Wilson. I temi sono affrontati con un approccio narrativo in prima persona, dove l’artista britannico si è superato calandosi nei panni di una donna virtuale ispirata ad una vicenda realmente accaduta, Joyce Carol Vincent, il cui cadavere nel 2006 fu rinvenuto nel suo appartamento a Londra dopo ben tre anni dalla scomparsa, nell’indifferenza più totale pur essendo stata una persona molto attiva nel sociale. Partendo da questo personaggio simbolo di questa età moderna iper-tecnologica, Steven Wilson ha sviluppato un’opera multimediale a 360 gradi, omogenea e coerente in tutti i suoi aspetti artistici. Ogni dettaglio è stato curato con l’unico scopo di regalare all’ascoltatore un’esperienza sinestetica il più completa possibile: l’artwork con fotografie di un’ipotetica protagonista, pezzi di giornale, pagine di diario, un blog, il video ed i teaser con attitudine cinematografica sono tasselli visivi complementari all’ascolto del album. Il sound di Hand. Cannot. Erase. è essenzialmente inclassificabile, certamente può essere considerato il punto di arrivo e la sintesi perfetta delle mille anime musicali dei diversi progetti di Steven Wilson, da quello di natura prog-pop (Blackfield) a quello di natura prog-metal (Porcupine Tree), passando per quelli di natura più elettronica (No-man e Bass Communion). C’è anche molto influsso della sua esperienza da produttore di remix 5.1 di album classici di Yes, Genesis, Jethro Tull e Gentle Giant. C’è il suo amore infinito per i Pink Floyd e lo stile chitarristico di David Gilmour. Le soluzioni musicali sono tutte al servizio delle atmosfere del concept. Poco presenti gli intermezzi jazz-prog che caraterrizzavano l’album precedente The Raven that refused to sing e più in primo piano gli intarsi melodici di grande impatto emotivo pur non essendo cambiata la line-up di virtuosi che accompagna Steven Wilson. Essendo un disco con narrazione in soggettiva femminile è stato naturale introdurre per la prima volta la presenza di voci femminili, in particolare la voce recitata di Katherine Jenkins in Perfect Life e la voce cantata dell’artista israeliana Ninet Tayeb in Routine ed Ancestral. L’elemento vocale è presente anche nella forma di voci bianche con l’assolo vocale (quasi da soprano femminile) del ragazzo Leo Blair in Routine e con il coro della Schola Cantorum Of The Cardinal Vaughan Memorial School nei brani Routine, Happy Returns e Ascendant Here On…. Hand. Cannot. Erase. ha il potere di trasformare i mattoni del muro di The Wall del secolo scorso nei pacchetti di bit della rete di oggi. Racconta le nuove forme di alienazione di questo nuovo millennio, con un suono moderno denso di emotività che affonda le radici nella tradizione rock. Opera d’arte sublime.
Credits
Label: Kscope – 2015
Line-up: Guthrie Govan (lead guitar) – Nick Beggs (bass guitar) – Marco Minnemann (drums) – Adam Holzman (keyboards) – Theo Travis (saxophone, flute) – Steven Wilson (vocals, guitars, keyboards, bass guitar) – Ninet Tayeb (vocals).
Tracklist:
01. First Regret
02. 3 Years Older
03. Hand Cannot Erase
04. Perfect Life
05. Routine
06. Home Invasion
07. Regret #9
08. Transience
09. Ancestral
10. Happy Returns
11. Ancestral Here On…
Link: Sito Ufficiale.