L’astronave degli Archive è atterrata a Bologna. L’Estragon stasera è un hangar nel quale sette supereroi fanno tappa per mostrare al pubblico bolognese cosa hanno scoperto in giro per le galassie.
Al termine del concerto degli Archive viene davvero da pensare che i musicisti inglesi appena visti sul palco non siano di questo mondo: troppo perfetti per essere umani. Sicuramente sono alieni rispetto a buona parte del mondo musicale che più spesso ci viene proposto in tutte le sue forme (indie o mainstream che sia). Gli Archive, compresa tutta la loro squadra di tecnici, prima di tutto sono dei professionisti incredibili, perfezionisti che hanno reso possibile un concerto di altissima qualità sonora… a sfatare il mito che l’Estragon sia un luogo nel quale la musica giunge alle orecchie in malo modo: il suono degli Archive questa sera è delizia ed incanto, in equilibrio tra garbo e prepotenza.
Torniamo al principio: l’atterraggio. L’inizio della serata vede protagonista la proiezione del film Axiom. Pur configurandosi come un side project nella produzione della band, Axiom è una realizzazione splendida dove il cortometraggio si fa “colonnavisuale” del sonoro realizzato dalla band. Quaranta minuti di narrazione surreale, tensione e passione.
Con precisione anglosassone, poco dopo il termine della proiezione, la band sale sul palco ed inizia lo show. L’apertura è affidata a Feel it, proprio come nell’ultimo album Restriction. Il brano, essenzialmente rock, non riesce a graffiare come ci si poteva immaginare ed appare quasi come una sigla introduttiva. Il concerto vero e proprio inizia con l’ingresso della voce di Holly Martin, sinuosa ed avvolgente, poi aggressiva in Kid corner.
Ai lati estremi del palco sono disposti i due fondatori della band Darius Keele e Danny Griffiths, custodi della vena più elettronica e della bolla trip-hop; al centro le chitarre e voci maschili di Pollard Berrier e Dave Pen insieme a quella femminile di Holly Martin; in fondo Mickey Hurcombe e Jonathan Noyce rispettivamente a chitarra e basso, ai lati della postazione di Steve Bernard alla batteria. Gli Archive sono disposti in modo efficace, con precisione quasi militare. Sul palco si muovono poco in spazi definiti, senza mai andare ad interferire con le proiezioni video alle loro spalle ed esaltati dai bellissimi giochi di luce. L’unica nota di sregolatezza è presente nella goffa e divertente figura di Darious Keele che spesso abbandona la strumentazione per alzare le mani con i pugni stretti tenendo il tempo come un ambiguo incrocio tra il direttore d’orchestra ed un dj degli anni ’90: splendida nota “umana” che va ad equilibrare un’esibizione di natura extraterrestre.
La scaletta prosegue dando notevole spazio ai brani tratti da Restriction (Black and blue, Ruination, Crushed, End of our days, Third quarter storm, Ladders), inserendo però anche alcune gemme preziose del passato: You make me feel it (Take my head – 1999) e Nothing else (Londinium – 1996) dai lontanissimi anni ’90 con le tipiche increspature trip-hop che si alternano alla pulizia ammaliante del canto; Bullets e Violently dal più recente passato, la prima con la furia rock e la seconda con il canto sfacciato e la ritmica serrata nella quale si innescano colorate note da strumenti classici come piano ed archi.
Tra i brani di Restriction che vengono proposti, uno tra quelli che colpisce maggiormente è senza dubbio la bellissima End of our days: chi altri sono in grado di unire una voce così splendida ed educata alla musica rock ed elettronica? Magia pura, creata dall’impalpabile ispirazione e dalla faticosa costruzione di una professionalità, rarissima nella scena musicale italiana. Un concerto del genere riesce veramente a coprire di ridicolo decine di altre esibizioni spinte dal principio “pubblico, volemose bene!” piuttosto che dal “pubblico, stasera vi regaliamo un po’ di magia: possiamo farlo!”. Concerti come questi spolverano nella mente il concetto di “stupore”, sensazione che è sempre più difficile vivere in questo mondo caotico e sopraffatto dalla mediocrità.
Ormai giunti verso la fine della serata, la coda strumentale di Numb si trasforma in un delirio che scatena tutta l’energia finora controllata sapientemente, come uno squarcio che si apre sul fianco di un vulcano che esplode per poi lasciare fluire la lava. Lights è questo fluido che scende lento coprendo tutto mentre il cielo si è oscurato. Una natura oscura, sinuosa, della quale si percepisce la pericolosità ma al cui fascino non si può resistere. Ti ha preso, sei sua e non hai scampo.
Gli Archive dal vivo impressionano e coinvolgono. Sarebbe davvero magnifico poterli rivedere presto in Italia, ed imparare ancora qualcosa di nuovo da loro.
Gallery fotografica di Emanuele Gessi.