Lo dico subito: Carrie & Lowell è l’album più intimamente bello di Sufjan Stevens! Un album profondamente, dolcemente, tristemente, dolorosamente, intensamente suo. E bisogna iniziare proprio dal titolo e da quei due volti in copertina, Carrie e Lowell, per capire che ciò che Sufjan sta condividendo con noi è quanto di più personale e prezioso possa esistere.
Carrie. La madre che è venuta a mancare nel Dicembre del 2012 per un cancro allo stomaco dopo un travaglio in ospedale che se l’è portata via piuttosto velocemente. La madre che gli ha dato la vita . La madre che, quando Sufjan aveva soltanto un anno, abbandona i suoi figli con i quali avrà poi contatti sporadici per tutto il resto della sua vita. La madre che soffre di depressione, schizofrenia e alcolismo. E nonostante tutto, pur sempre la madre. E Lowell. Marito di Carrie per cinque anni, figura di riferimento per Sufjan e attuale direttore della sua etichetta indipendente Asthmatic Kitty.
Come si fa ad affrontare una perdita del genere? “Spirit of my silence I can hear you\But I’m afraid to be near you\And I don’t know where to begin“(Death With Dignity). Carrie & Lowell allora diventa l’animo nel tentativo di affrontare la perdita; Carrie & Lowell diventa Sufjan.
A partire da quel momento immediato di sofferenza e spaesamento nel quale non sai nemmeno da dove iniziare, abbandoni le tue forze completamente e ti senti perduto. Passando per i mille dubbi che tornano insistentemente, lo sconforto e le domande che ti poni di continuo “How did this happen? What did I do to deserve this?” (Drawn To The Blood); i lampi di amara accettazione rassegnata della scomparsa perché “every road leads to an end” (Death With Dignity) e, dopotutto, “we’re all gonna die” (Fourth of July); il dolore nel travaglio prima della morte e la disperazione senza via d’uscita dopo: “How do I live with your ghost?/Should I tear my eyes out now?/Everything I see returns to you somehow/Should I tear my heart out now? Everything I feel returns to you somehow” (The Only Thing); lo sconforto nella realizzazione della complessità del rapporto con la madre e, nonostante ciò, il costante bisogno di lei: “Raise your right hand/Tell me you want me in your life/Or raise your red flag/Just when I want you in my life” (Blue Bucket of Gold); i rari momenti di positività in cui realizzi che il passato non può esser cambiato, meglio piuttosto attaccarsi alla bellezza e alla luminosità del presente come la figlia avuta da tuo fratello (Should Have Known Better).
Carrie & Lowell non è una dichiarazione d’amore nella perdita. In questo disco, insieme ad immagini dalla Bibbia, dalla mitologia greca, dalle favole americane c’è tutto il dolore, la confusione sentimentale e soprattutto i postumi che l’evento della scomparsa della madre porta con sé: “There’s only a shadow of me/in a manner of speaking I’m dead” (John My Beloved). Ci sono i pensieri suicidi, il rifiuto, la violenza, le ombre, l’ospedale. Carrie & Lowell è una richiesta d’amore quasi disperata, un processo di accettazione e appropriazione, attraverso la sofferenza ed il ricordo, di quell’amore incondizionato e struggente che un figlio può provare per una madre nonostante tutto, di quel bisogno di lei, da bambino e da adulto, racchiuso in un semplice verso di Eugene: “I just wanted to be near you“.
Il ricordo. Con tutta la bellezza e la dolcezza che si porta dietro. Una miriade di frammenti, sparsi per tutto l’album con riferimenti precisi; gli eventi e i sentimenti che non è mai riuscito ad esprimere e, immancabile, quel bisogno di lei: “Oh be my rest, be my fantasy” (Should Haven Known Better) e All of me wants all of you. Così, attraverso gli occhi del bimbo Sufjan vediamo l’abbandono, le tre estati spese in Oregon con Carrie e Lowell, il maestro di nuoto che non riusciva a ricordarsi il suo nome e lo chiamava Subaru fino alla personificazione della mamma premurosa che chiama il figlio con nomignoli affettuosi (Fourth of July).
E se abbiamo capito la centralità della figura della madre Carrie, è significativo notare come, nonostante tra gli undici brani del disco ce ne sia uno solo che nomini esplicitamente Lowell, Sufjan decida comunque di affiancare il suo nome e la sua figura a quella di Carrie in copertina d’album. Anche se non nominato, Lowell è stato sempre lì, in ogni ricordo che Sufjan ha della madre dopo l’abbandono, tra gli incoraggiamenti musicali e non, anche dopo la fine della storia con Carrie e ancora oggi.
A livello musicale questo è di sicuro il lavoro più scarno ed essenziale mai realizzato da Sufjan Stevens. Undici brani semplicissimi, basati su pure intuizioni melodiche bellissime. Gli arrangiamenti sono misurati, basati perlopiù su chitarra o banjo arpeggiati, piano e voci. Non c’è traccia di basso e percussioni di alcun genere. Qualche sequencer minimale quà e là a gestire le dinamiche. Molto interessante l’utilizzo dei riverberi e gli effetti vocali a ricreare la memoria. Nella produzione, contrariamente al suo solito, si è fatto aiutare dall’amico Thomas Bartlett, forse proprio per l’incapacità di trattare da solo materiale così fortemente personale. L’eterno ragazzo di Detroit ci ha dimostrato ripetutamente cosa è in grado di fare, a livello di arrangiamenti, composizione, orchestrazione. Ma qui va oltre e come il più grande dei songwriter vecchia scuola ci mostra se stesso, la sua vita, nella sua parte più fragile, dunque più vera, dunque più condivisibile.
Credits
Label: Asthmatic Kitty – 2015
Line-up: Sufjan Stevens, Casey Foubert, Laura Veirs, Nedelle Torrisi, Sean Carey, Ben Lester, Thomas Bartlett
Tracklist:
- Death With Dignity
- Should Have Known Better
- All Of Me Wants All Of You
- Drawn To The Blood
- Eugene
- Fourth Of July
- The Only Thing
- Carrie & Lowell
- John My Beloved
- No Shade In The Shadow Of The Cross
- Blue Bucket Of Gold
Link: Sito Ufficiale