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Una questione in sospeso: intervista a Giorgio Ciccarelli (Colour moves)

Giorgio Ciccarelli_copertina

La nuova vita artistica di Giorgio Ciccarelli (ex-chitarrista degli Afterhours) affonda le radici nel passato, in particolare nel suo primo progetto musicale: i Colour moves. Nella metà degli anni ottanta questa giovane band milanese evidenziò una grande attitudine post-punk in linea con band che provenivano dalla terra di Albione. Si sciolse prima di realizzare un disco vero e proprio, all’epoca la registrazione di un disco era un punto di arrivo e non un primo step autopromozionale. Dopo ben 28 anni Giorgio ha ritrovato questi vecchi amici e insieme hanno voluto risolvere questa questione in sospeso. Il loro disco A loose end è un ponte tra passato e presente che vi raccontiamo in quest’intervista.

Partiamo dal titolo dell’ album A loose end. Dietro questo titolo forse si cela tutta la storia del progetto?
Esattamente, noi cinque avevamo proprio “una questione in sospeso”, un progetto, un sogno comune e condiviso che non è stato portato a termine per varie e diverse ragioni negli anni ’80, ma che abbiamo avuto la fortuna di portarlo a compimento oggi, dopo tanti anni, con leggerezza e senza aspettative particolari, solo ed esclusivamente per chiudere quella questione.

Quali sono le principali differenze tra i due capitoli dal punto di vista strettamente del suono e della registrazione? Il secondo disco sembra veramente uscito in quegli anni…
Effettivamente il secondo disco è una raccolta di canzoni registrate ed uscite in quegli anni, ma rimasterizzate nel 2014 per dare una coerenza con i brani del primo disco. Nello specifico, Trees/Over falling skies sono uscite sul nostro primo 45 giri datato 1986; Slipping Away faceva parte delle session di registrazione di quel 7”, ma non è mai uscita; Cloudlike è uscita in allegato con la rivista “vinile” nel 1987 e Venus in Furs è apparsa sul tributo ai Velvet Underground, credo sempre nel 1987. Solo Cloudlike remix ha subito un trattamento diverso, perché siamo riusciti a recuperare il nastro a 24 tracce della registrazione fatta allora e l’abbiamo remixata nel 2014 creando così un perfetto trait d’union tra i due dischi. Per registrare i brani del primo disco abbiamo usato esattamente gli stessi strumenti che avevamo allora, stesse chitarre, stessi ampli, stesso basso, è cambiata “solo” la tecnologia di registrazione e questa è la principale differenza.

A proposito del primo disco, è in piena scia di quel post punk revival della scorsa decade che ha lanciato dalla terra di Albione gruppi come gli Interpol, gli Editors, i White lies…
Sappiamo bene che ormai la musica sembra vivere di revival, quando c’è stato quello del post punk (anche se mi sembra che sia ancora in corso) è stato particolare per me, perché ero consapevole del fatto che quelle cose le facevo già vent’anni prima coi Colour Moves. Direi che questa è stata anche una spinta a risuonare e a rimettere insieme il gruppo, perché, risentendole, le cose che avevamo fatto, suonavano tremendamente attuali ed allora ci siamo detti: perché non tentarci?

È solo una suggestione ma Far Away From Nothing mi ha ricordato un po’ la sospensione che c’è in Atmosphere dei Joy Division. Come vi rapportate a questo gruppo?
I Joy Division sono stati per noi un vero esempio, una spinta incredibile a fare cose, a suonare, ad esprimere quello che sentivamo. Avevamo la percezione che fossero esattamente come noi, dei ragazzi che non sapevano suonare bene, ma che avevano un’urgenza di esprimere qualcosa in un modo assolutamente fuori dai canoni convenzionali.

Quanto è cambiata la Milano (l’Italia) di 28 anni fa rispetto a quella di oggi per quanto concerne il concetto di “Do it your self” a livello musicale?
E’ radicalmente cambiata, negli anni 80 dovevi essere veramente motivato e dovevi aver qualcosa da dire, da trasmettere per riuscire a combinare qualcosa. Pubblicare un disco era un punto d’arrivo eclatante, perché dietro c’era un lavoro immenso e dei costi rilevanti. Oggi il disco, cd o quello che c’è ora, è un biglietto da visita, tutti, ma proprio tutti possono farlo, basta avere un po’ di competenza informatica ed è fatta. Il mondo è pieno di pseudo artisti che pubblicano e se da un certo punto di vista ciò è magnifico, perché tutti possono esprimersi, dall’altro c’è così tanta offerta che, fatalmente, il livello medio delle proposte risulta essere molto basso. Va bene il “Do it yourself”, però ci dovrebbe essere anche una consapevolezza maggiore dei propri limiti.

Quale brano del disco ti piace di più suonare dal vivo?
Non ce n’è uno in particolare, mi piace suonare con i miei compagni dei Colour moves, perché si crea un flusso particolare, “un viaggio” in qualche modo lisergico che mi fa apparire la chitarra come un prolungamento di me stesso che si fonde nel flusso di cui parlavo, niente machismi, niente soli di chitarra, nessun duetto, nessun petto nudo (anche perché non possiamo permettercelo!)

Mi ha colpito la copertina dell’album, come è nata questa scelta?
Merito di Saccingo, il nostro cantante, che fa anche il grafico e rappresenta l’uscita dall’apnea durata quasi un trentennio… La ragazza che esce da sott’acqua, giovane, ingenua, pulita, come eravamo noi in quegli anni, che si affaccia nel “nuovo mondo”, il futuro, senza aver vissuto quel presente che l’ha portata in quel luogo.

Cinque canzoni che ti hanno influenzato maggiormente nel tuo modo di comporre la musica?
Non so quali siano le canzoni che mi hanno influenzato nel modo di comporre musica, non riesco a fare questo tipo di valutazione, se vuoi ti posso dire 5 artisti che mi son piaciuti tanto e te le divido anche per decennio 60/70 – Velvet Underground, 70/80 – Joy Division, 80/90 – Nick Cave and The Bad Seeds, 90/00 – Kyuss, 00/10 – PJ Harvey.

Link: Sito Ufficiale.

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