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Tra rock e legami: intervista a Federico Poggipollini

Strumenti d’epoca e ricerca di un suono personale e contemporaneo. Gli anni ’60, i White Stripes e i Black Keys. Blues, garage declinati spingendo l’acceleratore su un mood di puro rock, nella sostanza e nell’attitudine. Stiamo parlando di Nero, quarto album solista di Federico Poggipollini, chitarrista professionista che ha vissuto e vive i grandi successi di nomi come Litfiba e Luciano Ligabue. Abbiamo incontrato Capitan Fede per farci raccontare qualcosa in più sul suo mondo musicale, fatto di competenze, passione, slancio e grande intimità. (Foto 1 di Claudio Del Monte; foto 2 di Jarno Iotti)

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Mi ha colpito la componente emotiva che ha segnato la lavorazione di Nero. Mi riferisco al coinvolgimento delle persone a te care e al senso intimo che ne scaturisce. Me ne parli?
Ho sempre creduto nella sinergia e nell’interazione tra le persone, sarà che ho sempre suonato in delle band. Per questo lavoro ho scelto le persone a me più care e per cui nutro fiducia e stima, tra cui la mia compagna Enrica e un mio amico di lunga data. Inoltre ho coinvolto molti miei amici nei cori.
Tutto è nato da un’esigenza compositiva, senza pensare a cosa e a chi sarebbero state destinate queste canzoni, all’inizio infatti non pensavo nemmeno di cantarle io , poi Michael Urbano, il produttore dell’album, ha ritenuto che il mio modo di cantare fosse perfettamente in sintonia con il sound dell’album. Prima sono nate le melodie in finto inglese e da lì, e funzionali alla musica, i testi, su cui c’è stata una grande attenzione. Trovo che Nero, anche alla luce di ciò, sia il mio lavoro più autentico.

In questo nuovo disco la virata è nettamente rock. E il rock si muove richiamando il blues. Il titolo nero è connesso, no?
Senz’altro il titolo Nero, oltre ad essere ispirato ad un brano dell’album, attinge alla musica nera, al blues, al soul e a tutto ciò che esso rappresenta. In questo album io ho voluto raccontare la musica che mi ha ispirato fino ad ora come musicista, il mio background, le mie radici musicali e miei ascolti più appassionati. In più il nero nel mio immaginario rappresenta proprio una virata, una sterzata netta e decisa verso un suono più rock e crudo.

Vorrei che tu mi raccontassi le dinamiche del sound che hai voluto raggiungere, mescolando vecchio e nuovo. Mi riferisco ai modelli cui ti sei ispirato e agli strumenti che hai voluto utilizzare…
Ho voluto omaggiare gli standard e il classici del rock e del blues, ho scelto una produzione americana registrandolo in presa diretta tra Bologna e California; anche l’utilizzo degli strumenti d’epoca italiani, su cui ho fatto un meticoloso lavoro di ricerca, hanno influito nel dare al suono un sapore retrò, il tutto però in una chiave attuale e moderna, sia nelle intuizioni melodiche che nella post produzione. I modelli attuali a cui mi sono principalmente ispirato sono senz’altro i White Stripes e i Black Keys, mentre per quanto riguarda i vecchi modelli ti cito Clash, Led Zeppelin, Pink Floyd e Cure.

Tra tutti, perché Religione è il primo singolo? Quali sono i ruoli che ricopre come apripista?
Religione è un brano garage rock, con una sonorità decisa, ha un testo a tratti dissacrante ma in realtà con una forte spiritualità, forse volevo che il mio pubblico capisse da subito a cosa andava incontro con il mio nuovo lavoro.

Qual è il brano che senti come più intimo e personale, forse anche autobiografico?
Sicuramente Un giorno come un altro, in cui ho raccontato ciò che per me ha rappresentato la morte di mio padre. E’ un brano in cui musica e parole sono nate nello stesso istante. Ho raccontato un momento di dolore ma che ha rappresentato anche una grande svolta della mia vita perché proprio in quel periodo ho conosciuto la mia compagna. Da lì a poco abbiamo concepito la nostra prima figlia, così è iniziato un nuovo percorso della mia esistenza. Una canzone che vuole raccontare l’ingresso nell’età adulta, la linea sottile che passa tra vita e morte.

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Come è nata l’idea del contest per la copertina dell’edizione in vinile?
È nata da un idea dell’art director di Romart, Amedeo Demitry, ma che io ho subito accolto con entusiasmo. Un’opportunità reciproca sia per me perchè ho avuto l’occasione di utilizzare un’opera d’arte per il mio vinile, ma allo stesso tempo anche per l’artista dell’opera che può veicolare il suo lavoro su altri canali, non convenzionali.

E perché l’opera scelta, seppur inconsapevolmente, rappresenta il mood di Nero?
Tra tutte quelle che erano esposte a Romart era quella che più rappresentava Nero, le persone raffigurate sono delle macchie nere su un fondo bianco di gesso e poi la rappresentazione mi ha fatto subito pensare ad un brano dell’album, mi riferisco a I Mostri, a cui tengo particolarmente.

Tirare in ballo Ligabue è d’obbligo. Sono grosse le dinamiche che comporta il mondo musica a quei livelli. Eppure ci si stacca e si sente il bisogno di vivere spazi musicali ed emotivi diversi. Ti va di parlarmi di questa necessità che ti porta ad essere cantautore?
Io sono un musicista a tutto tondo, oltre che un chitarrista professionista, da qui la necessità di esprimermi in un mio lavoro, nonché una forte esigenza compositiva.

Per quanto obsoleto possa sembrare, certa musica si divide in mainstream e underground. Tu, dai piani alti hai una visione privilegiata del mondo sotterraneo. Cosa ti arriva, quali nomi e quali scene? E, secondo te, come sta la musica indipendente italiana?
Credo nella libertà espressiva musicale, e trovo vincolante la catalogazione tra undergroud e mainstream, sempre di più come succede all’estero, la differenza è labile. Vengo dalla gavetta e dalla musica suonata nelle cantine e quindi dal vero underground.
Comunque devo dire che dal mio punto di vista la scena dell’indie italiana è molto interessante e in fermento, ha una grande varietà di generi musicali che vanno dal folk all’elettronica, ma sempre con un punto di vista personale ed autorale, vedi Pan Del Diavolo, Beatrice Antolini, con cui con piacere ho collaborato, Di Martino e Colapesce.

Una sola band del passato in cui avresti voluto militare?
I Clash tutta la vita.

Una sola band di oggi che avresti voluto fondare?
I Queens of the Stone Age

Vorrei mi indicassi qualche disco epocale per la tua vita e qualcuno fondamentale, al di là delle ascendenze, per Nero…
London Calling dei Clash tanto per citarne uno e Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols.

Un giorno come un altro – Streaming

Religione – Video

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