16 ottobre, esce Irrequieto, secondo album solista di Michele “Mezzala” Bitossi, artista genovese che conosciamo bene per la sua attività con i Numero6. Con il suo impegno come musicista, cantautore, produttore e pure una breve parentesi come scrittore (porta la sua firma il libro Piccoli esorcismi tra amici del 2012), ha dimostrato di essere un artista eclettico e di meritare la nostra attenzione.
Il suo amore smisurato per la musica l’ha portato a mettersi nuovamente in gioco come solista. L’abbiamo incontrato per farci raccontare questo nuovo capitolo della sua carriera.
Abbiamo appena pubblicato una recensione del tuo nuovo lavoro solista che arriva a quattro anni di distanza dal precedente Il problema di girarsi. Prendendo spunto dal titolo, ci vuoi raccontare cosa rende Mezzala irrequieto?
Il titolo del nuovo disco mi rappresenta in pieno. Sono una persona in perenne movimento, in continuo fermento. Vivo la creatività a volte anche in maniera un po’ ossessiva, per la verità. Col tempo ho capito che spesso sia sano fermarsi un attimo, ragionare, far sedimentare le cose. Però, in linea di massima, continuo imperterrito con testardaggine per la mia strada.
Mi piace progettare sempre nuove cose, esplorare, tenere viva la curiosità. E’ più forte di me. Per dirti, è appena uscito questo disco ma già sto pensando al prossimo.
Nella presentazione dell’album hai dichiarato di aver voluto realizzare un disco “alla vecchia”. In che modo è avvenuto questo cambio di approccio rispetto agli album precedenti?
Questo è un disco parecchio ambizioso in cui tuttavia l’ambizione è stata il più possibile, diciamo così, “razionalizzata”. Mi spiego: diversamente da tutti i miei lavori precedenti, questa volta ho voluto fare un deciso passo indietro per quanto riguarda la produzione dei brani, gli arrangiamenti. Ho scritto tutte le canzoni e le ho affidate ai grandi Ivan Rossi (che ha anche prodotto, registrato e missato il disco) e Tristan Martinelli, due cari amici e fantastici musicisti-arrangiatori. Insieme abbiamo deciso che il suono di Irrequieto si sarebbe dovuto ispirare a una serie di dischi degli anni settanta italiani. Io poi volevo assolutamente utilizzare una sezione fiati e un quartetto d’archi.
Dopo una pre-produzione piuttosto meticolosa, abbiamo arruolato una band di musicisti bravissimi che hanno registrato tutto in presa diretta, con strumentazione vintage. Volevamo un disco vero, sincero, viscerale mettendo (sarà banale dirlo ma non è così, di questi tempi) al centro di tutto la musica, le canzoni, senza nessun tipo di condizionamento esterno, senza dover dimostrare niente a nessuno o soddisfare chissà quali aspettative. A prescindere dal gradimento che susciterà, noi siamo convinti di esserci riusciti. L’intento principale era quello di “volerci bene”, di appagare prima di tutto noi stessi.
C’è un brano di Irrequieto a cui sei particolarmente legato?
No, davvero. Citandone uno in particolare farei “torto” agli altri, e non me la sento proprio.
Uno degli aspetti di Irrequieto di cui sono più fiero è il fatto che l’album ha una innegabile omogeneità per quanto riguarda il suono, il mood generale e soprattutto (perdonami se sembrerò presuntuoso ma lo penso davvero) relativamente all’ispirazione, che reputo di livello alto dall’inizio alla fine. Fra l’altro per arrivare alla scaletta definitiva abbiamo scartato una quindicina di brani.
L’album si avvale del contributo di Matteo B. Bianchi, che ha firmato il testo di Capitoli Primi, e di Zibba, che ha prestato la sua voce per il brano Chissà. Raccontaci un po’ queste collaborazioni.
Con Matteo collaboro ormai da qualche anno. Abbiamo scritto insieme alcune canzoni a cui sono molto legato, sia per i Numero6 che per il progetto Nome. Lavoriamo molto bene insieme, ci capiamo al volo e le cose accadono e si sviluppano in maniera devo dire molto naturale, senza alcun intoppo. Questa volta, diversamente dal passato, lui mi ha mandato un testo e io l’ho musicato. Mi è piaciuto moltissimo lavorare così, è stata un’esperienza davvero nuova e stimolante.
Quanto a Zibba, a parte il fatto che lo ritengo un autore di grande talento, oltre che una persona davvero molto simpatica e piacevole, ha una grandissima voce. Mi sono immaginato l’interludio di Chissà interpretato da lui. Gliel’ho proposto ed ha funzionato subito.
L’album è stato anticipato dal singolo Le tue paure, il cui video-romanzo si avvale della regia di Francesco Lettieri. Il risultato è davvero carino e divertente. Ce ne vuoi parlare?
La premessa che faccio è che, in generale, mi sono abbastanza stufato di fare videoclip diciamo così, “tradizionali”. Non mi ha mai più di tanto stimolato realizzarli per quanto lo abbia fatto più volte negli ultimi anni. Ultimamente però ero arrivato proprio al punto di non volermene più occupare del tutto. Poi mi è venuta l’idea di replicare il mondo dei fotoromanzi italiani degli anni ’70 e ho esposto una suggestione di massima a Francesco Lettieri che ha apprezzato da subito. Ha scritto una sceneggiatura a dir poco esilarante.
Sono molto soddisfatto del risultato. Sono perfettamente conscio del fatto che ci sia una dissociazione forte fra brano e video, più di una persona mi ha fatto notare che ha dovuto riascoltare la canzone perchè troppo presa dal video. Niente di meglio, per me.
Nel corso della tua carriera, hai avuto modo di collaborare con diversi artisti, sia come collega che in veste di produttore. C’è qualcuno con cui ti piacerebbe lavorare, ma non hai avuto ancora modo d’incontrare?
Ce ne sono tantissimi. Dai, te ne butto lì quattro, al volo, senza pensarci troppo: Peter Buck, Johnny Marr, Paul Weller e Paolo Conte.
Concludiamo con una domanda che è una sorta di sfida: prova a descrivere Irrequieto con cinque aggettivi.
Denso, autentico, faticoso, menefreghista, bello.