Questo disco sembra viaggiare sul confine della leggerezza, della serenità. Solleva, dà aria, schiarisce. Questo ci suggerisce la musica. Ed io sono d’accordo: questo mi arriva. Eppure c’è una specie di svolta, un fiato interrotto, ed è in quel momento che senti l’emozione morderti il cuore. C’è, sempre, costante, un senso di mancanza, di ricordo, di ciò che non ritorna. E forse questa nostalgia, che è più nelle parole, e che le parole cercano di domare, è la qualità migliore di questo album. Di tutti i musicisti che potrei citare per dire: “ecco, Ragghianti somiglia a loro”, nessuno sembra somigliargli davvero.
Sono nove tracce che riempiono poco più di mezz’ora. I prati che cercavo apre le danze con una malinconia così raffinata e lucente da ricordare Montale. Sembra di vedere quell’infanzia a piedi scalzi di cui accenna la biografia di David, e “il girotondo delle nespole nate vicino ai silos”.
Da lì l’ascolto ci indica una strada immersa nelle immagini, scenari ampi nei quali perdersi, e dettagli così piccoli da non poterli neanche toccare. Sono brani onesti, fedeli alla vita.
Dove conduci ci parla d’amore, c’è un “te” a cui rivolgere gli occhi, un “te” che tutti conosciamo, perché ognuno di noi gli dà un volto. E questo rende assoluto ogni moto d’amore. Questo brano è senza pretese, senza false costruzioni per poter dire quello che, silenziosamente, tutti, diciamo. Per questo fa effetto sulla pelle, fa socchiudere gli occhi.
Tema del filo è probabilmente il brano che preferisco, ed è il primo singolo da cui è nato il video di Francesco Di Maio e Roberto Covi, nel quale il filo è reale, rosso, ed è il destino al quale non si sfugge, oppure il filo rosso dei legami eterni, come ricordano i miei occhi nel film Dolls di Kitano Takeshi, che ti salva dall’abisso, ma prima ti ci porta.
Nella voce di David c’è sempre questa sensazione di terra calda ed erba fresca. Quella carezza che rassicura, e quell’inaspettata, piccola, goccia di assenza. Questo fa di lui uno che sa raccontare, cantando, delle storie. Che sa prendersi la vita da dentro e farla universale. Senza credersi portatore di un esempio massimo. Ma essendo parte del tutto. Di quel luogo, Portland, “dove finisce la terra e comincia il mare. Lo spazio tra finito ed infinito. Un confine da abitare, non una linea. Uno spazio dove si ricompongono gli opposti, e dove io finito posso immaginare l’infinito.”
Questo è Portland, per David, e questo è Portland per me.
L’album si chiude con un altro dei miei brani preferiti: Raffiche di fuga, “su queste tracce che portano a niente e proprio niente vado a cercare”.
Questo viaggio pop, folk, che ci ha attraversati dentro, portandoci il sole, il buio, la Toscana, e luoghi esotici nei suoni come richiami e frutti buonissimi da mangiare, che vede anche la partecipazione di Mattia Pittella, Mauro Mr. Fox Sansone e Nico Turner (già al lavoro con Cat Power) e la produzione artistica di Giuliano Dototri, volge al termine, lasciandoci la viva, vivissima convinzione che “La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.” (F. Pessoa)
Credits
Label: Caipira Records / Musica Distesa – 2015
Line-up: David Ragghianti (voce e chitarra) – Giuliano Dottori (chitarre, pianoforte, cori, mandolino, percussioni, batteria) – Mattia Pittella (batteria) – Nico Turner (batteria) – Mauro Sansone (percussioni) – Neith Pincetti (cori)
Tracklist:
- I prati che cercavo
- Amsterdam
- Dove conduci
- Occhi asciutti
- Tema del filo
- Se non ti ammali mai
- Pause estive
- 300 anni
- Raffiche di fuga
Link: Sito Ufficiale, Facebook
Portland – streaming
Tema del filo – video