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Una sorta di liberazione: Marlene Kuntz @ Estragon Club (BO) 30-10-2015

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La fine di un tour può vivere anche di questo sentimento: liberazione. Un tour lungo oltre un anno nel quale sono stati riportati sui palchi italiani tutti i brani contenuti in Catartica, un disco che ha compiuto vent’anni. Energia che viene e che va, dispensata e bruciata, ricambiata; un parallelo con l’energia che fu, la scoperta di quella che ancora si conserva, si allena e si mantiene viva come un fuoco sacro dedicato alle divinità dell’arte e dell’ispirazione.
La storia dei Marlene Kuntz è disseminata di successi, il primo tra i quali fu proprio quel Catartica che segnò la genesi discografica della band cuneese. In oltre vent’anni sono cambiate tante cose in tutte le componenti di questa complessissima equazione: il sistema discografico, la fruizione musicale, il pubblico e il ruolo della musica, la critica musicale, le vite dei singoli protagonisti. Non è però la sola volontà degli artisti o la nostalgia del pubblico che fu ventenne a rendere necessaria (e lo ripeto: necessaria) la celebrazione di Catartica. Un artista che “x” anni fa ha realizzato qualcosa di unanimamente ritenuto “importante” ha il dovere morale, oltre che artistico, di far rivivere quei momenti, quello spirito a chi non c’era e a chi c’era ma fatica a trovare oggi analoghi stimoli.
Per quanto di primo acchito queste celebrazioni possano risultare anche un po’ stucchevoli, sinceramente credo che servano prima di tutto a questo: liberare nelle teste e nei cuori un’energia vecchia che, suonando ancora nuova, suscita turbamento, domande, brividi, emozioni. E’ questo il motivo per cui mi auguro che il tour di Catartica, così come il tour di Hai paura del buio? degli Afterhours, o la reunion degli Scisma ecc… siano stati affollati da un pubblico vario e non soltanto di vecchi e nostalgici fan. Band come quelle citate sono state, e ancora saranno, delle scuole di vita per tantissime persone, ma è inutile rivangare il passato cercando ciò che non sarà più. Non sarà più. Punto. Seguire e sostenere queste celebrazioni dovrebbe avere il magnifico scopo di testimoniare cosa era la musica venti anni fa in Italia, stimolando la critica all’attualità. Serve a chiedersi perchè un disco assolutamente dissonante e folle come Catartica abbia avuto una chance venti anni fa mentre forse oggi un suo simile non potrebbe godere di altrettanta fortuna. Serve a chiedersi che ruolo abbia l’artista vero, colui il quale vive nel suo tempo senza esserne schiavo, superandolo, mangiandoselo. Serve a chiedersi anche cosa invece è decisamente migliore oggi rispetto a vent’anni fa in ambito musicale e non solo. Serve a scoprire cosa lega diverse generazioni intorno ad un testo, ad una sonorità. Serve a tentare di comprendere dove risiede il segreto di un brano che suona attuale anche ora ma che nessuno sarebbe in questo momento in grado di comporre. Serve per osservare la continua magnifica ciclicità delle cose. Serve per esorcizzare e liberarsi da ciò che è splendente e al contempo cupo e pesante come un macigno.

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Gli stessi Marlene Kuntz, annunciando quest’ultima data italiana del Catartica Tour, hanno dichiarato: “E poi, dal 2016, disco nuovo e basta con gli anni andati ormai”,  che suona un po’ come “Sonica ci piace tantissimo, ma abbiamo ben altro da offrirvi: preparatevi”. C’è voglia di nuovo, c’è voglia di libertà quanto di onorare il proprio passato, e questo i Marlene Kuntz lo fanno divinamente.
Il concerto all’Estragon di Bologna è stato incredibilmente incendiario, magnifico e potente nell’esecuzione così come intenso e carnale nell’esibizione. La scaletta di Catartica ha occupato tutta la prima parte del live per poi concedere spazio a diversi altri brani colti con cura nel ricco repertorio.
I lividi lampi di Sonica, la beffardaggine di Festa Mesta, la furia di 1° 2° 3°, il calore corrosivo di Trasudamerica, i mille volti che si nascondono in Nuotando nell’aria hanno quindi solo anticipato altri scenari fondamentali per i Marlene Kuntz.
La passione poetica di Osja, amore mio, la dannazione umana e sociale di Catastrofe, la rabbia viscerale di Fantasmi, le visioni sfocate di 3 di 3, l’ansia straziante di E poi il buio, la conflittualità di Io e me, la dolcezza superiore de La canzone che scrivo per te, la lucida esaltazione de Il genio, fino a concludere con il fragore animale di Ape Regina.
Il suono picchia forte dagli amplificatori dell’Estragon, e spinge vibrando con forza sopra un pubblico particolarmente folto nonostante in questo anno non siano di certo mancate le occasioni per assistere ad un live dei Marlene. L’energia dispensata viene ripagata da applausi scroscianti, segno di esaltazione dovuta ad una prova impeccabile dei quattro musicisti sul palco.

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Luca Bergia alla batteria è una garanzia di qualità, precisione e coerenza; Lagash al basso è una presenza sempre più importante sul palco dei Marlene Kuntz; Cristiano Godano e Riccardo Tesio appaiono come le due facce antitetiche della band, perfetti nel loro fondersi a distanza, senza mai sfiorarsi creando i tratti più distintivi del mutevole marchio MK. Indubbiamente Cristiano Godano, ancora una volta, ha confermato le sue doti da frontaman senza eguali, forte di un’energia che pare infinita ed una sensualità espressiva capace di rendere carne, ossa, pelle, sudore e sputo ogni suono, ogni parola, ogni suggestione insita nei brani.
Quando la forza si unisce all’eleganza e alla poesia si rischia davvero di toccare il sublime, l’estasi dionisiaca che solo il rito della musica dal vivo può offrire a chi ha il coraggio di farsi accompagnare in questo percorso da una band unica come i Marlene Kuntz.
Siamo pronti ad un nuovo corso. Il 2016 sarà ancora un anno dei Marlene Kuntz. Una nuova liberazione.

Gallery fotografica di Emanuele Gessi

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