Prologo per i disattenti: Father John Misty è registrato all’anagrafe di Rockville (Maryland) il 3 Maggio 1981 con il nome di Joshua Tillman; dopo alcune collaborazioni con Damien Jurado e la pubblicazione di diversi lavori discografici si unisce ai Fleet Foxes in veste di batterista fino al 2012 quando lascia la band e pubblica il suo primo album (Fear Fun) con il moniker Father John Misty al quale segue nel 2015 I love you, Honeybear.
Il primo giorno di un anomalo novembre bolognese Father John Misty giunge al Locomotiv di Bologna per l’unica data italiana del suo tour. Il compito di aprire la serata è affidato alla londinese Anna B Savage. Si conosce ancora poco di lei: apparsa recentemente con un EP che sta già raccogliendo diverse lodi, Anna B Savage si presenta sola sul palco, insieme alla sua chitarra ed alla sua voce. Cristallina ma anche potente, lieve ma tormentata, la vocalità della cantautrice è sorprendente quanto misteriosa, di difficile interpretazione, affascinante e disturbante. I brani si sciolgono uno nell’altro con naturalezza tra delicati arpeggi e rumorose distorsioni, evidenziando che lei sarà uno dei nomi rilevanti nel cantautorato britannico dei prossimi anni.
L’ingresso sul palco dei cinque musicisti componenti la band anticipa di pochissimo l’arrivo di Mr. J. Tillman. Elegantissimo in abito scuro, lunghi capelli, folta barba e sguardo acuto, beffardo. Con quegli occhi, Father John Misty, ti pone subito spalle al muro: lui la sa più lunga di te, rassegnati, cedi ogni difesa, lasciati conquistare.
Il live inizia sulle note sognanti di I love you, Honeybear. La bella voce di Father John Misty fin da subito risulta incredibile: come può uscire così giusta, educata ed avvolgente proprio da quel corpo che non smette mai di muoversi, contorcersi e dimenarsi?
La performance dell’artista americano è coinvolgente e totale, da vera e perfetta rockstar. La band si muove all’unisono con attenzione e cura, offrendo un suono molto ricco anche grazie all’apporto elettronico che riesce a sopperire alla mancanza reale di fiati ed archi, il tutto senza snaturare i brani o renderli finti all’orecchio e all’occhio. La musica è vera, di irreale c’è solo il personaggio di Father John Misty: una performance, una sacra finzione che va oltre l’intrattenimento e diventa materia artistica.
Strange Encounter, True Affection, When you’re smiling and astrid me, The night Josh Tillman came to our apt., Chateau Lobby #4 (in C for two virgins): la prima parte della scaletta è occupata per lo più dai brani dell’ultimo album I love you, Honeybear ad eccezione di Only son of the Ladiesman e I‘m writing a novel dal precedente Fear Fun. Il pubblico gradisce, canta, si diverte.
L’esuberanza di Josh Tillman sul palco è enorme e magnetica: balla, si lancia a terra in ginocchio e si rialza flessuoso, i suoi movimenti sono morbidi nonostante un fisico magrissimo. La mimica, le movenze, si ripetono in modo ossessivo senza però stancare proprio perchè supportato da brani di notevole fattezza e pochissime sbavature canore. Il trentaquattrenne statunitense occupa grande spazio costringendo i due chitarristi posti ai lati estremi a ritrovarsi al limite del palco dietro le quinte di tessuto rosso che inquadrano il palco del Locomotiv.
Basso e batteria sostengono fermamente l’andamento dei brani, le chitarre (elettriche, acustiche e spesso anche a 12 corde) riescono a muoversi con destrezza in sonorità che variano dal country/folk al rock passando per il blues. Non mancano sul palco anche synth e pad elettronici rendendo assolutamente variopinto ed originale tutto il concerto.
I picchi di tensione ed energia si vivono nell’emozionante, profonda e caustica Holy Shit e nella più frizzante (e perfino esplosiva) The ideal husband.
Poco meno di una ventina di brani suonati con passione, realizzando un concerto completo di tutte le componenti con le quali il rock americano, in tutte le sue sfacettature, ha fatto scuola nella storia moderna. Fedele alle origini ma propenso all’avventura, Father John Misty ha dimostrato in questo live di essere un performer eccezionale, che però nulla sarebbe senza l’assurda magia dei suoi due album. Romantico ma cinico, volutamente equivoco, provocatorio, dissacrante: Josh Tillman ha creato ciò che ultimamente mancava nel panorama musicale internazionale. Il suo cantautorato scompone i clichè, cibandosene e ricostruendo una poetica moderna, realistica ed acuta. Alla fine di tutti questi discorsi, la cosa bella è che lui tutto ciò lo riesce a fare davvero, passando dai palchi degli oceanici festival al Letterman Show, fino al modesto Locomotiv Club di una piccola città italiana. Un artista esaltante che si muove (ballando come un moderno dandy) sul filo del rasoio.