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Una festa di note afro-latine: Adriano Viterbini @ Spazio211, Torino 22/01/2016

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Un tripudio di note, esplosioni di energia e vibrazioni positive. Tutto questo è lo spettacolo di Adriano Viterbini che suona assieme ai Los Indimenticables. Il chitarrista romano si esibisce a Torino nello storico locale, lo Spazio 211, un venerdì sera freddissimo che impiega pochi minuti per riscaldarsi, anzi infuocarsi. Piero Monterisi alla batteria, Josè Ramon Caraballo Armas alle percussioni e tromba, al basso Francesco Pacenza e Stefano Tavernese suona i violini elettrificati. Un concerto come un viaggio d’oltremare, un profilarsi di scenari, profumi e colori di luoghi lontanissimi. Il nuovo disco Film O Sound viene arrangiato, illuminato e stravolto quasi da ritmiche africane e cubane in una festa che sa ammaliare e coinvolgere un pubblico all’inizio un po’ troppo composto. Il cuore dei torinesi si scioglie tra i voli pindarici di Viterbini. Tecnicismo e passione in un solo corpo. Si susseguono Tunga magni, El Manicero, cover che sfoggia la voce calda e suadente di Ramon; e ancora Malaika e Tubi innocenti. C’è spazio anche per la canzone popolare cubana Guantanamera cantata sempre da Ramon che si vanta di rifarla a dispetto di Zucchero e lo dice con sorriso sornione di chi sa che la pelle nera ha una marcia in più: “L’ha fatta lui, la posso fare anche io”.
Le sonorità blues si susseguono, riportando l’ascolto alle atmosfere tipiche del disco: quel desert blues che ipnotizza, stendendo distese ventose e solitarie sopra le quali srotolare la mente, distaccata. Viterbini suona di tutto, le sue corde si adattano perfettamente ad ogni ritmo: anche il folk trova posto sul quel palco con Welcome Ada. E poi, a stupire nuovamente, ecco l’allegro swing italianissimo di Butta la chiave, pezzo classico degli anni Cinquanta del Quartetto Van Wood. La rilettura di Bring it on home to me non sente troppo la mancanza della voce di Alberto Ferrari perché anche come cantante il giovane romano non se la cava niente male. Morbida, sognante, crea quasi dei singulti ritmici: è la nostalgia, è il blues, baby… è l’amore per il blues!
Il finale è un dimenarsi di Viterbini, in piedi sul palco, piegato sulla sua chitarra, in una deflagrazione di sonorità al limite tra il grunge e picchi psichedelici. I musicisti professionisti che sono con lui lo accompagnano in una lunga preghiera per la musica, per la gente che s’appassiona a ciò che ascolta per la centesima volta o soltanto per la prima volta.
Chapeau alla bravura e alla umiltà di Viterbini e della sua band, rarissime perle.

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