Abbiamo chiacchierato con Francesco De Simone dei Mathì, a poche settimane dall’uscita di Figura, ultimo album del progetto poetico-musicale napoletano.
Un breve viaggio tra poesia, storie e volti con un’indole stoner difficile da tenere a bada.
Nelle prime righe della vostra bio si legge che Mathì è un progetto poeticomusicale, aggettivo senza dubbio affascinante, che, ascoltando le tue composizioni, trova la sua naturale spiegazione. Ma cosa significa esattamente per te poeticomusicale?
Mescolare in una sola arte la poesia e la musica. Quando ho creato il progetto avevo un’unica linea guida: fare in modo che i testi composti fossero composizioni che potessero stare in piedi da sole, anche senza musica.
Chi è o chi sono Mathì?
Mathì è il mio nome d’arte ed è nello stesso tempo il nome di un progetto che accomuna cinque musicisti: oltre a me, Antonio Marano, Antonella Bianco, Dario Menna, Francesco Tedesco.
Quanta importanza hanno le parole, le storie, le vite nelle tue composizioni?
La parola è vita ma senza la storia non avrebbe movimento nè dinamica.
Inoltre in musica la parola va adattata ad un ritmo e il ritmo è energia. Se pensata così, la musica può essere uno degli strumenti più terapeutici che abbiamo in quanto lascia sfogo alle immagini e alla fantasia, sublime linguaggio dell’anima, entro cui si celano verità simili a quelle che vediamo nei sogni. Io non mento se ti dico che i problemi più gravi della mia esistenza li ho superati facendo musica.
I tuoi brani sono raffinati e misurati, però, diciamolo, quelle chitarre lì non lasciano grandi dubbi su un’indole rocker sporca e “garagistica”… sbaglio?
Esattamente! Forse deriva dal fatto che sono un fan dello “stoner” e sono cresciuto a pane e Nirvana. Eppure ti dico che quelle chitarre le sporcheremo anche di più!
Come nasce l’idea del concept di Figura?
Nasce da una chiacchierata con la mia amica Michela Fabbrocino, fotografa di altissimo livello. Parlavamo di quanto i volti siano espressivi per natura e ipotizzammo che si potesse descrivere l’interiorità dell’uomo a partire da facce.
In Figura oltre alla musica, alle storie, ed alle parole, trova uno spazio importante anche la fotografia… chi sono (in senso lato) i nove volti ritratti? Da dove sei partito?
Mi riallaccio a quanto stavo dicendo prima. Dopo aver parlato con Michela, è subito partito un gioco. Lei avrebbe cercato per me nove volti, quelli che secondo lei erano i più espressivi e io vi avrei impresso le mie storie. Non potevo e non dovevo conoscere i volti personalmente. Era necessario che inventassi senza lasciarmi condizionare da niente. Io volevo un album molto “terreno”, pesante come la roccia, volevo descrivere cioè l’uomo avvoltolato dall’errore e dal senso di colpa (cosa reale date le radici cristiane di cui ancora si nutre la nostra cultura). Nello stesso tempo volevo uomini capaci di accettare le loro “colpe”. I nove personaggi sono accomunati proprio da questa unicità, fanno ribrezzo ma riescono a giustificare le loro azioni al punto da apparire pure affascinanti ed eroici.
Ascoltando Figura si respira rock, alternative, pop, cantautorato con la c maiuscola… un mix di contaminazioni vario e ben amalgamato, un po’ come le storie che racconti?
Esatto! In maniera varia si racconta una tematica unica.
Viviamo in anni in cui skippare vince il premio come attività più praticata e diffusa, seconda solo al “postare” ed al “taggare”. Il rischio è sempre quello, però, di sminuire ed offuscare l’omogeneità di un album, in cui l’ordine di ascolto delle tracce ha una valenza importante. Pensi che un concept album possa, in qualche modo, contrastare un po’ il problema?
Per niente! Concept o meno, l’ascoltatore rimarrà, fortunatamente, sempre libero di skippare. Fortuna anche per il disco, dato che le storie non sono in ordine cronologico. Quando l’ascoltatore si troverà dinanzi a ciò che è bello, non skipperà, credimi.
Chi ti ha influenzato e chi continua a farlo, musicalmente parlando?
Mi influenza tutto ciò che mi piace e tutti coloro che in musica riescono ad essere sinceri con se stessi. Perdonami tanto ma non amo molto citare influenze musicali, sarebbe fuorviante dato che ho ascoltato di tutto nel periodo di Figura, persino Marilyn Manson.
Ti offro di condividere il tuo prossimo tour con un artista, italiano o no: chi sceglieresti? Ci tengo a precisare che la scelta includerebbe viaggi in furgone insieme, condivisione di piccole ed affollate stanze d’albergo e di divani usurati in backstage improvvisati….
Dato che mi offri le ali per volare con la fantasia, ti direi che me ne andrei in tour con i Cure, ma anche senza suonare, solo per il gusto di farmi trascinare da quei suoni così romantici.
Domanda a piacere: sì, concluderei proprio così, chiedendoti di rispondere ad una domanda che ancora nessun fantasmagorico redattore ti ha posto ma che vorresti tanto ricevere. A scuola le domande a piacere facevano spesso più vittime delle interrogazioni a sorpresa di latino… a volte, però, sollevavano la giornata.
Sarebbe bello poter rispondere alla domanda: “Qual è il fine ultimo del tuo percorso artistico, come uomo?”