Vestito lungo rosso e nero, spalle nude, ampia scollatura e sorriso aperto, accogliente; intorno il suo disordine curato e illuminato da lampade vintage e nessuna linea di confine. La incontriamo alla fine del live di presentazione del suo album Il faro, la tempesta e la quiete (2016), ecco cosa ci ha raccontato la custode di questo luogo Ilaria Pastore (foto di Cristiano Mugetti).
Da sempre hai avuto un singolare rapporto con il tempo. Lo hai sempre raccontato con l’apparente semplicità di Ora al valore del presente da conservare indelebile in Ricordi migliori, fino al “ritardo” adulto e consapevole di Va tutto bene .Qual è il tuo rapporto con il tempo? Se è cambiato, com’è cambiato?
Il mio rapporto col tempo è parzialmente ossessivo. Sento ogni secondo della mia vita, lo vivo fortemente. A volte sono frettolosa, a volte pigra. Ma il tempo è una chiave che trova sempre una serratura attraverso la quale passare, sistemare cose. Oggi è sicuramente un rapporto molto più onesto quello che ho col tempo, infatti c’è un approccio molto forte verso il vivere adesso, stare nel presente, che viene fuori nel nuovo album. Nel proprio rapporto col tempo che passa, che deve ancora arrivare o che è già passato, lo stare nel qui e ora gioca un ruolo fondamentale e crea una reale possibilità di vivere sereni.
Sei anni sono passati, di viaggi di palchi di teatro, di insegnamento.Due cose che ti porterai per sempre?
La gioia di aver scelto di vivere di sola musica, cambiando completamente vita. Le persone che rappresentano la mia famiglia.
Occhi lucidi live sopra ad un tetto messicano all’alba. Che esperienza è stata?
Un’esperienza incredibile. In Messico e particolarmente nella realtà unica di Tijuana, la musica d’autore, di contenuto e l’approccio acustico, sono molto amati e considerati. C’è una particolare attenzione verso le melodie italiane e la personalità unica del nostro Paese.
Il regista Arti-Leria, molto famoso a Tijuana, si è reso disponibile per una presa diretta e arrivati di fronte a questo enorme e vecchio edificio la prima cosa che mi sono detta è stata “troverò il phatos per cantare e suonare? È così strano qui”. Arrivati sul tetto si è aperto un mondo. Quello di un tramonto incredibile su Tijuana che è una città immensa, una distesa di case sovrastate da un monte, colori, profumi. Abbiamo fatto un solo girato: buona la prima. 6 minuti in tutto dopodichè siamo rimasti li, a goderci il panorama, felici di aver condiviso insieme un momento così naturale, che ci ha regalato un bellissimo video.
Ascoltando il tuo disco, si possono ritrovare pezzi di storie affini e immaginare un disegno. Come nasce una canzone?
Non ho una sola risposta a questa domanda, le modalità sono tante. Forse non è una canzone che nasce, ma sono io che rinasco ogni volta.
Da un sentire o da una situazione?
Da un’esigenza, prima di tutto.
Cosa rend epeculiare questo disco rispetto alle tue precedenti esperienze?
Questo nuovo disco custodisce un percorso più strutturato. Non è solo il risultato di canzoni che ho scritto, ma di un lungo lavoro di approfondimento, modifica e ricerca. Credo molto nella forza di questi brani e sono convinta che anch’essi rappresentino un ponte levatoio, verso altro ancora.
Tre aggettivi per descrivere questo disco?
Granitico. Delicato. Con una sua personalità.
Qual è stato il motore / l’urgenza che ti ha spinto a fare questo disco?
Il bisogno di racchiudere un’altra fetta di vita, esperienze e condividerle il più possibile. Il bisogno di tornare live con un repertorio nuovo, cose nuove da dire e da dare. La voglia di lavorare in team e confrontarmi.
In questo album arrangiamenti e orchestrazioni sono compatte e rendono il prodotto molto più cantautorale rendendo tangibile un’emozione, un sentire. Come ci siete riusciti?
Il lavoro è stato lungo e la collaborazione tra me e Gipo Gurrado è sempre stimolante, perché siamo due persone e musicisti completamente diversi. Questo ha fatto sì che si creasse un connubio, una sorta di compromesso, dovuto anche al fatto che, questa volta, ho voluto io produrre il mio stesso album assumendo quindi un ruolo preciso. Abbiamo lavorato sodo, ma ci siamo anche concessi di sperimentare direttamente in fase di registrazione, avvalendoci del contributo di musicisti incredibili.
Quali sono state le influenze musicali e non che ti hanno accompagnato?
Sicuramente non mi accompagna l’attuale musica pop italiana. Non ho la televisione, sono lontanissima da tutto ciò che è il mondo dei talent e della tv in generale: non so nulla di ciò che accade lì e non ho interesse. Ascolto pochissimo la radio e se lo faccio, non ascolto musica italiana attuale. Sono legata ad un cantautorato che arriva dall’ascolto dei vecchi cantautori come Modugno, Celentano, Lucio Dalla e a livello di musica d’autore attuale ancora oggi non faccio a meno di quelli che secondo me sono grandi maestri, fruitori e donatori di emozioni come Niccolò Fabi, Carmen Consoli, Cristina Donà, Daniele Silvestri.
Ascolto moltissima musica straniera, ultimamente vado pazza per Camille e per il suo modo di costruire i live, altro aspetto per me importante e che spesso mi aiuta a generare una canzone.
Polaroid è il fulcro di questo viaggio, può essere definita complementare a La chiamano notte?
In un certo senso sì, perché, anche se prende spunto da una foto, racconta anch’essa alcuni dettagli legati a mia madre e attraverso le immagini e il racconto dei panni stesi paragonati a domande che chiedono una risposta, c’è tutto un tragitto riservato a tutti noi, che parla in generale di questioni astratte e concrete nello stesso tempo.
Il respiro è la strada per i sogni, qual è il prossimo sogno di Ilaria?
Il sogno è uno. E’ questo. Questa vita qui. Sempre in evoluzione.
Parlando di live, le canzoni del primo disco hanno cambiato volto: sono molto più potenti, quasi irriconoscibili e minimali. Come mai questa scelta?
E’ un’esigenza quasi fisica quella di donare nuova vita ad un brano che ha i suoi anni. Una delle cose che più mi fa crescere è andare contro tendenza, per quanto possibile, tenendo conto del fatto che a volte, il rischio del cantautore è proprio quello di cantarsi addosso ed essere la cover di se stesso.
Da poco è iniziato il nuovo tour, cosa ci aspetta oltre alla tua voce e l’inseparabile chitarra?
Questa è solo una prima parte di Tour. La prima pagina riguarda soprattutto la mia voce e la mia chitarra e, in alcune occasioni, mi esibirò in Duo con Tina Omerzo, polistrumentista con la quale abbiamo lavorato ad un incastro unico. Alcuni palchi mi consentiranno di tornare al trio.
La seconda parte, da Settembre, prende di mira situazioni ancora diverse. Ma non vi svelo niente.
Il faro, la tempesta e la quiete contiene una canzone che possiamo definire “manifesto”? Se sì, quale?
Non per me. Sono tutte un manifesto. Ma lo considero un album talmente vario da consentire ad ognuno di trovare un brano al quale legarsi di più. O col quale litigare.