Senza dubbio gli Zen Circus stanno rappresentando il volto del rock più onesto e più punk nel descrivere la decadenza e le metamorfosi socio-culturali della grande provincia Italia. L’apice di questo cantautorato folk-punk è l’ultimo disco La terza guerra mondiale che abbiamo voluto esplorare nel corso di una lunga chiacchierata con Appino, il leader della band pisana.
Già in Andate tutti affanculo si fotografava l’Italietta provinciale che stavamo diventando. La mutazione è stata completata? Nelle macerie post-berlusconiane c’è qualche speranza di ricostruzione o abbiamo bisogno di un atto finale come quello di una terza guerra mondiale per riscoprire valori perduti?
Da Andate tutti affanculo abbiamo vestito i panni dei provocatori-catastrofisti e diciamo che, essendo umani, ci potremmo definire allegramente fatalisti che credono sempre in una speranza (anche se Monicelli diceva che la speranza è una trappola). Alla fine sono il primo a credere nella nostra gente perché continuo a frequentare persone che si spaccano per far sì che questo paese cambi. Certo, bisogna dire che nella vasta scala con cui si potrebbe rappresentare la popolazione italiana il rischio di essersi persi come identità socio-culturale e la necessità di ritrovarsi sono due aspetti evidenti. La metafora della terza guerra mondiale sta proprio a voler raffigurare questo concetto del ritrovarsi uniti come popolo, un po’ come i nostri nonni raccontavano di questa grande umanità ritrovata durante la seconda guerra mondiale.
Diciamo che oggi c’è troppo individualismo…
Sì e la musica degli Zen Circus ha l’intento non di indicare la via maestra ma di fotografare questa realtà bella e brutta che sia…Questo traspare in pezzi come Non voglio ballare e Andrà tutto bene in cui si sottolinea questo aspetto della rivoluzione che è una questione in primis personale ma che non deve condurre alla solitudine. Anche un concerto degli Zen Circus è sempre un momento di aggregazione, di festa catartica.
Come è cambiata la tua scrittura lungo la linea temporale dei dischi degli Zen Circus? Possiamo dire che questo disco è quello più equilibrato tra le varie attitudini della band, tra matrice punk-folk alla Violent Femmes e tradizione cantautorale italiana alla Bennato?
Sì, lo possiamo dire! Scrivere in terza persona fa molto male e, siccome io sono uno che non riesce molto ad inventare storie, ho bisogno di raccontare quello che mi circonda. La mia scrittura è cambiata nel corso degli anni perchè è cambiata la mia condizione di vita da quando ho scritto la prima canzone in italiano nel lontanto 2005 ed è cambiata anche la società italiana. Continuo a prendere spunto dalla realtà, vedi Ilenia che è una lettera scritta ad una nostra amica fan. Purtroppo lascio poco spazio all’imaginazione. Di solito attingo da quello che vedo e dai ricordi di altri. Come sono cambiato io è cambiata la mia scrittura. Non sono mai stato di una coerenza eccessiva, sono simile ma molto diverso da quello che ero a undici anni.
Mi parli di Ilenia?
Appunto, è nata da un carteggio con questa nostra fan. E’ un botta e risposta tra noi e lei. Cerchiamo di darle delle risposte ma un bambino capisce che si brucia con il fuoco solo se lo prova, è inutile avvisarlo.
In questi 18 anni di carriera c’è stato mai un momento in cui gli Zen Circus stavano per sciogliersi? Il primo magico aneddoto che ti viene in mente di questi 18 anni di tour?
Penso al 2005 quando eravamo usciti con il disco Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo, che nessuno se l’era cagato, solo dopo Andate tutti a fanculo è stato rivalutato (per me è uno dei più bei dischi degli Zen). In quel periodo eravamo senza un euro. Dico davvero senza un euro, per farti un esempio: non avevamo neanche i soldi per pagare l’autostrada per raggiungere il locale dove avremmo suonato e quindi facevamo finta di aver perso il biglietto e ci facevamo fare il foglio per pagare il giorno dopo al ritorno con i soldi del cachet della data. Stiamo parlando di una miseria che va oltre l’umana concezione.
Infatti Villa Inferno è il titolo di un disco che è nato proprio da un paesino scovato in una di queste deviazioni assurde per non pagare l’autostrada…
Sì, è proprio così. Questo dell’autostrada è uno dei principali aneddotti insieme a quello che ci vede incontrare i fan a fine concerto per scroccare le sigarette. Quello è stato proprio il periodo più difficile degli Zen Circus e ne siamo usciti alla grande, grazie al fatto che incontrammo Brian Ritchie, il bassista del nostro gruppo punk folk preferito, i Violent Femmes. A sorpresa si innamorò di noi e volle registrare un disco. Sia ben chiaro, non c’erano problemi di band ma solo di soldi, di miseria nera.
Cos’è per te la musica indipendente, la musica alternativa? Ha ancora un senso parlare in questi termini di certe band che hanno deciso di proporre un modo diverso di scrivere canzoni rispetto al mainstream, di creare questo “pseudo-ghetto”?
Diciamo che non ha senso. Da filologo della musica, aveva senso solo fino al 1991, fino a quano è uscito Nevermind. Dopo è stato tutta una minchiata. Indie è un’etichetta che ci è stata attaccata e che va a manetta, a me non frega nulla. Per me l’indie è la musica pre-Nirvana americana come quella dei Fugazi, per esempio.
I talenti devono andare ad X-factor o devono farsi il mazzo come voi?
No, assolutamente non voglio passi questo messaggio. Diciamo che prima la gavetta era obbligatoria ed era una grande merda. Detto questo, i talent non sono il male, sono un format televisivo dove chi ha il talento emerge, ma potrebbe spaccare anche senza quella trasmissione in quel mondo lì. Un Mengoni avrebbe sfondato indipendentemente perchè è un talento, a me non piace ma ne riconosco il talento, appunto. La stessa cosa vale per i Colors, sono dei mostri a suonare, sono belli… avrebbero funzionato lo stesso, anche senza talent-show. La cosa stupida ed assurda che passa da queste trasmissioni è che per fare questo mestiere devi essere per forza famoso, invece è importante avere un pubblico che dura nel tempo. La televisione è il modo più veloce per essere famoso, ma puoi scomparire con la stessa velocità. Il mazzo te lo fai anche in un talent, ma proprio questo concetto della competitività nella musica non mi piace. Lo trovo una follia. La musica non è mica uno sport. Allora a questo punto non si potrebbe usare l’autotune, verrebbe visto come doping. Non stiamo facendo sport, ripeto. Stiamo facendo arte. Poi si sa che la televisione continua a servire per diventare “famosi”, ma io nella mia tracotanza di ventenne volevo diventare leggendario e non famoso, una cosa ben diversa. Io sognavo di diventare i Talking Heads o i Fugazi, sicuramente più leggendari che famosi. Sai, in questo tour forse anche noi siamo diventati famosi, visti i numeri riscontrati ai live! Numeri che hanno superato la nostra immaginazione e che sono altamente superiori a quelli che riescono a fare i ragazzi che escono dai talent. Questo è frutto anche del fatto che noi siamo onesti in quello che facciamo. Anche sei fai la cosa più pop possibile, se non la fai con onestà non sopravvivi e non raggiungi un certo pubblico nel lungo tempo. Se sei costruito forse nel breve tempo anche se sei merda arrivi facile, ma poi finisci. Anche i Pooh, per quanto siano una cosa assurdamente pop e banale, sono sopravvissuti perchè sono proprio così, devono essere uniti perchè sono i Pooh, dico questo perchè li ho conosciuti davvero per varie coincidenze assurde.
Il primo film del passato che ti viene in mente che potrebbe rappresentare questo disco?
Wow! Senza dubbio, The road.
Cinque canzoni del passato che potrebbero rappresentare il sound degli Zen Circus ne La Terza mondiale?
Undone (The Sweater Song) – Weezer
Annarella – CCCP
A chi – Fausto Leali
Hold On – Alabama Shakes
The Diamond sea – Sonic Youth
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