Venerdì 11 marzo lo spazio Base di Milano ha ospitato la malinconica e misteriosa cantautrice Dillon, accompagnata dal compositore Tamer Fahri özgönenc e da un coro di sedici voci femminili del CPM Music Institute di Milano. La data milanese è stata occasione per presentare in Italia il nuovo lavoro Live At Haus Der Berliner Festpiele proposto da poco a Berlino.
Lo show è pensato per elevare al massimo la spirale emotiva della sua musica: le aspettative sono alte e quindi pure io attendo molto dalla tanto elogiata Dillon.
Dopo un’ora abbondante di ritardo rispetto alla tabella di marcia dentro allo spazio Base comincia a fare molto caldo e la gente inizia a diventare irrequieta. L’aura di mistero e fascino che si porta dietro Dillon comincia a sciogliersi pian piano, ma continuo a pensare che ne varrà la pena.
Finalmente si spengono le luci, inizia il live.
Accompagnata da una musica techno minimal (le influenze della casa discografica Bpitch Control di Ellen Allien si fanno sentire, God bless you Ellen), entra in scena Dillon, vestita di tulle nero e trasparenze dark. Dopo una serie di movenze mistiche e ululati alla luna, si entra nel vivo dello spettacolo.
La sua voce dal vivo non delude, anzi, incanta veramente. Tamer e il coro la guidano con la giusta alternanza per tutto il concerto. Nota di merito a Tamer che con sinth e campionamenti realizza basi electro-techno che scaldano il pubblico.
Il live inizia bene ma si vede che i due anni di assenza di Dillon dai palchi si fanno sentire: il concerto comincia a perdere un po’ di colpi.
Il malore di una ragazza in mezzo al pubblico interrompe il live: Dillon si presenta molto premurosa e fa accomodare la ragazza (che si è ripresa, ma nonostante ciò Dillon per tutto il concerto continuerà a chiederle come sta).
Lo show riprende intonando le prime parole di Tip Tapping e il pubblico esulta! Dillon chiede a noi di cantare e ripetere le prime strofe della canzone: tutti felicissimi per i primi due minuti, ma poi la gente smette di cantare mentre lei invita a continuare perchè nel frattempo sta cercando di convincere il figlio a salire sul palco a cantare con lei (e con noi). Ovviamente il poverino è un po’ in imbarazzo e non pare molto dell’idea, ma lei continua ad insistere. Nel frattempo anche buona parte del pubblico si è stufato di ripetere “tip tapping, I was tip tapping in the dark” all’infinito.
Superata l’empasse, il live prosegue con brani inediti che si alternano a pezzi più conosciuti, e ad occhiatacce di Dillon ai bodyguard che senza colpe cercano di fare il loro lavoro e di mantenere le distanze di sicurezza tra pubblico e palco. Dillon però evidentemente ha un bel caratterino, così si spazientisce e scende a togliere le transenne che la dividono dal suo pubblico (pronta però a redarguirlo quando fa troppe foto)
Nel momento più intimo del concerto, lei da sola sul palco con il piano, basta un leggero brusio di sottofondo a farla sbottare: “Anybody’s listening me?”. Ecco che qui tutta la malinconia, magia e grazia che si porta dietro svaniscono in due secondi. Fortunatamente la mini polemica finisce presto e lei comincia a suonare il piano e riprende il brano iniziato. Ogni tanto qualche nota fuori posto si fa sentire, la vediamo parecchio scocciata e nuovamente riprende qualcuno che le fa foto (senza flash). Dice al pubblico che la sta mettendo in imbarazzo, che è sul palco da vent’anni e mai le era capitato di trovarsi in una situazione del genere.
Al termine delle lamentele, oltre che del brano che stava cercando di suonare, Dillon scappa dietro le quinte.
Per fortuna esce poco dopo e per farsi perdonare, ci invita tutti sul palco a ballare.
Finito il concerto, la sensazione che rimane addosso è di stanchezza: il concerto è sembrato un parto. Lungo, lamentoso e difficile.
Spero di potermi ricredere presto riguardo allo show di Dillon, perchè la sua voce è assolutamente unica ed è un peccato vederla perdersi in dettagli e situazioni evitabili.
Gallery fotografica di Teresa Enhiak Nanni