Quando si inizia a scrivere di un evento del quale si è certi di non potersi dimenticare mai, si prova prima di tutto imbarazzo e paura. La guerra per la conquista delle parole giuste, si sa, è persa in partenza, ma il timore più grande insiste nella sfida con il ricordo stesso e il proprio futuro. Fra qualche anno, rileggendo ciò che sto scrivendo, riuscirò ad emozionarmi? Sarò in grado di riconoscere quella parte di me che oggi sento esplodere? Sarò all’altezza degli eventi vissuti?
24 Giugno 2017, Firenze. Mi trovo nella città di Dante e del Brunelleschi perchè una persona speciale mi ha fatto un regalo inaspettato, di quelli che colpiscono al cuore: un intero micromondo di bellezza condensato in un weekend. Il biglietto del concerto di Eddie Vedder è senza dubbio l’apice di questa perfetta costruzione elevata a mia forma e misura.
Prima di Eddie Vedder, mitico frontman di quei portatori sani di “grunge” che sono i Pearl Jam, sul palco fiorentino fin dal pomeriggio si sono esibiti anche altri artisti. I giovani Altre di B hanno scaldato il pubblico più coraggioso disposto a sfidare il caldo. Dopo di loro l’esordiente Eva Pevarello (dai palchi televisivi di X Factor a quello dei 50mila della Visarno Arena) chiamata a sostituire il nome dei Cigarettes After Sex, così come il più noto Samuel (Romano) in sostituzione dei The Cranberries.
La mia presenza di fronte al grande palco inizia proprio sulle prime note del live del cantante dei Subsonica, giunto all’esordio solista a 45 anni. Seppur preventivamente molto contestato nel mondo social (l’accusa è di essere “troppo commerciale”) il live è stato complessivamente apprezzato dal pubblico di Firenze. Per l’occasione i brani tratti da Il codice della bellezza sono stati presentati in una veste scarna. Voce e tastiera di Samuel, batteria di Christian Tozzo. Il lato più melodico e pop dei brani esonda soltanto nei singoli La risposta e La statua della mia libertà, portando leggerezza ad un set che è invece intenso, a tinte chiaroscure, non distanti dalla tavolozza di colori cara al pubblico electro-rock che sempre ha amato i Subsonica.
Dopo di lui il palco è lasciato a Glen Hansard, uno degli artisti più sottovalutati del pianeta. L’amicizia coltivata negli anni con Eddie Vedder lo ha portato fin qua, a suonare di fronte ad un inaspettato pubblico di 50 mila persone, costringendolo a richiamare a sé membri della sua band per allestire all’ultimo un set elettrico e più organico rispetto al “solo” previsto nelle altre date del tour.
Glen Hansard sul palco è senza filtro, semplice e diretto. La sua musica non usa mezzucci per arrivare al pubblico. Tantissimi dei presenti (purtroppo) non lo conoscevano: torneranno a casa con un nuovo amore. La voce di Glen sa essere dolce e graffiante, a tratti straziante nella ricerca di una profondità sincera e sorprendente. La chitarra è ormai distrutta dalle pennate potenti, che graffiano il legno fino a forarlo come una lama sulla pelle. Applausi, applausi, e ancora applausi per il grande Glen.
La giornata è speciale anche per altri motivi: il 24 Giugno ricorre la festività del Santo patrono di Firenze. Per i fiorentini durante la sera di San Giovanni è tradizione assistere al grande spettacolo pirotecnico che chiude i festeggiamenti della giornata. Per questo motivo la scaletta del concerto subisce una pausa forzata tra il set di Glen e quello di Eddie. Quando il sole è tramontato, dopo 30 minuti di fuochi (visibili in lontananza anche dalla Visarno Arena) può avere inizio il concerto dell’artista californiano adottato dalla città del grunge, Seattle.
Il palco si illumina sulla scarna scenografia. Un allestimento quasi casalingo, caldo, con custodie di strumenti, amplificatori e una bizzarra composizione che pare fare il verso al Trono di Spade: birilli del bowling lo compongono in modo giocoso.
Eddie Vedder entra da solo sul palco, e da solo resterà quasi fino alla fine del concerto. Entra con il suo passo deciso, ma che presto tradisce l’emozione. Un blocco di appunti in mano, un bicchiere, i saluti al pubblico in visibilio.
Sotto al palco l’emozione è tanta: siamo al cospetto dell’ultimo esponente di una scena musicale che non si è limitata a fare tendenza, ma ha caratterizzato un’intera generazione, forgiandone il pensiero e l’esistenza. Nessuna scena musicale dopo il grunge ci è riuscita in modo così radicale. Il pubblico lo terrà ben presente per tutto il concerto, tra picchi di applausi ed urla, irreali silenzi, qualche lacrima e canti rivolti al cielo.
Si inizia con Elderly woman behind the counter in a small town: l’intro perfetta, che si muove nell’aria come un inno, capace di unire subito tutti quanti in un canto unico.
Come solito, Eddie saluta il pubblico in italiano, sottolineando che il primo concerto solista in Italia è anche il più grande che abbia mai fatto, e subito ci rende protagonisti della sua emozione, in uno scambio che sarà continuo per tutto il concerto. Whishlist, Immortality: Eddie Vedder snocciola brani sacri ad ogni fan dei Pearl Jam, e lo fa con una naturalezza che lascia esterrefatti. Lui, solo sul palco, con una chitarra ed una cassa con pedale: Eddie Vedder in versione one-man-band è strepitoso!
La maggior parte del concerto è occupato da brani dei Pearl Jam colti da un po’ tutti i dischi. Da Vs e Yeld i primi due brani, poi No Code con Sometimes, I am mine e Can’t keep da Riot Act, da Backspacer la raggiante Unthoght know, e tanti altri.
C’è spazio anche per diverse cover, tutte con una differente magia: le prime proposte nel live sono Trouble di Cat Stevens / Yusuf e The Needle and the demage done di Neil Young.
Ovviamente non possono mancare in scaletta i magnifici brani tratti dalla colonna sonora del film Into the wild. Dal campionario timbrico della sua voce, Eddie Vedder sceglie il più delicato per proporre al suo pubblico la bellissima Guaranteed; un pizzico di ruvidità in più è inserita in Rise, senza però intaccare la poesia che si stende sulle vibrazioni dolci del mandolino.
I momenti più intensi del concerto però sono senza dubbio altri due, e Eddie li anticipa tramite dialoghi con il pubblico. Prima cita il patrono di Firenze facendo notare l’assonanza del nome (San Giovanni) con la parola “Soundgarden”, in un velato ma sentito omaggio all’amico Chris Cornell. Le lacrime bruciano ancora sulle guance, e tornano a farlo in questa proposizione di Black. Il pubblico si stringe in sé, cercando di implodere nella bellezza struggente di un brano immenso. Eddie non resiste all’emozione e sul finale quell’ultimo “come back” si annoda alla gola, trafiggendo tutti con quella emozione che solo chi era presente può conoscere. Il grunge (e l’esperienza di Vedder come frontman) insegna però che i ritmi più serrati servono proprio per scrollarsi di dosso tutti i pesi: Lukin è un’ottima medicina.
Dopo una sorprendente cover di Comfortably numb (dei Pink Floyd di Roger Waters, eseguita da Vedder all’organo) ecco il secondo momento che entrerà nella storia della musica. Sul palco Eddie intona Imagine di John Lennon, un brano inflazionato ma che di questi tempi ritrova una profonda attualità. Con i cellulari alzati la Visarno Arena diventa un campo pieno di lucciole in una splendida notte estiva. Alla conclusione del brano, tra gli applausi emozionati del pubblico, una luminosissima stella cadente attraversa il cielo alla sinistra del palco. Non è un sogno, anzi è un segno: questa sera non c’è limite alla bellezza.
Better man (da Vitalogy), Last kiss, e l’ingresso sul palco di Glen Hansard. Eddie e l’amico Glen intonano la canzone premio Oscar Falling slowly mentre il pubblico raggiunge picchi emozionali che forse non aveva previsto, che stupiscono ad ogni nota.
Il brano di Hansard Song of good hope è cantato quasi interamente da Eddie Vedder il quale ha deciso per una fusione completa con i 50mila di Firenze, scandendo dal palco e andando a cantare in piedi sulla transenna, sostenuto dalle mani del suo stesso pubblico.
La scaletta si sta ormai esaurendo, lo si percepisce dall’elettricità nell’aria. Glen Hansard rimarrà sul palco fino alla conclusione: Society e la liberatoria Smile (dopo qualche plettro e una bottiglia di vino, anche l’armonica sarà offerta ad un fortunato spettatore tra le prime file, indicato con premura dallo stesso Ed).
Rockin’ in the free world è la forza, la determinazione, la testimonianza che il rock non è morto e mai morirà perchè questo mondo ne ha troppo bisogno.
Hard sun è invece la consapevolezza di potercela fare, insieme uniti in un canto che non finisce questa sera, che ci ricorda chi siamo e perchè esistiamo.
U’immagine fissa nei mega schermi: il mare appena increspato ed un grande sole rosso che saluta il giorno. Tra gli applausi finali, dopo i saluti di reciproca gratitudine, Eddie se ne va. Voltando le spalle diretto verso il backstage alza la mano in segno di saluto. L’ultima magia della serata è dovuta ad una dissolvenza incrociata che fonde le due immagini: la sagoma di questo grandissimo personaggio del rock e quel sole rosso che brucia come le nostre mani che non smettono di applaudire.
Le luci si accendono sulla folla. Il concerto è finito e nel volto di tutti quanti ci sono gli occhi dei bambini di fronte ad una scoperta. Torniamo tutti a casa sapendo qualcosa in più su noi stessi. Questa sera non la dimenticheremo e con un pizzico di paura iniziamo a pregare di essere in grado di non tradire mai questo ricordo.
[ph Firenze Rocks]