Con grande piacere abbiamo incontrato Rodrigo D’Erasmo per un’intervista ricca di contenuti. L’uscita della sua colonna sonora per il film Terapia di coppia per amanti (regia di Alessio Maria Federici), la partecipazione ad X-Factor nel ruolo di producer al fianco di Manuel Agnelli, l’uscita dell’antologia Foto di pura gioia in occasione del trentennale degli Afterhours in cui milita da quasi dieci anni sono motivi più che sufficienti per bussare alla porta del favoloso regno musicale di Rodrigo D’Erasmo. Molti chiacchierano, gonfiano di retorica l’inconsistenza di un’omologazione stilistica, pochi sono ad un livello imparagonabile, fatto di poesia e dionisiaco slancio. Questi pochi sono veri musicisti contemporanei, e D’Erasmo è tra questi. (In collaborazione con Amalia Dell’Osso)
Come ha avuto origine questa prima esperienza da compositore di colonne sonore? Come hai conosciuto Alessio Maria Federici?
Nella realtà ci conosciamo da una vita, dai tempi della scuola, ma non ci siamo mai frequentati da quando abbiamo intrapreso le nostre carriere artistiche, io da musicista e lui da regista. L’anno scorso, dopo la fine dell’edizione di X-Factor, Alessio mi ha contattato perché positivamente colpito da me e da Manuel per i contributi che avevamo dato nella produzione dei brani, in particolare gli erano molto piaciuti i Daiana Lou. Per questo motivo mi ha chiesto di essere consulente musicale per il film, di provare a coinvolgere i Daiana Lou ed in un qualche modo di inserirli nel film producendo i loro brani nella colonna sonora. E così è andata, ma poi Alessio mi ha chiesto di completare il lavoro, di comporre la colonna sonora del film perché non avrebbe avuto alcun senso affidarla ad altri. Ho accettato con molto piacere ma anche con un po’ di preoccupazione iniziale, che però ho subito superato immergendomi al massimo, come mi accade quando accetto delle belle sfide.
Nello sviluppo della colonna sonora quanto ti ha aiutato la figura del protagonista del film, un musicista come te, in particolare un chitarrista session man di chiara fama?
Molto, perché da lui ho imparato come indirizzare il suono del tutto. Come ben sai, sono un violinista e di archi nella mia colonna sonora ce ne sono ben pochi. Ho fatto questa scelta perché volevo che le musiche fossero il proseguimento naturale della sua figura di chitarrista. Quindi ho cercato di pensare i brani proprio nella maniera in cui li avrebbe pensati il protagonista come chitarrista solitario a casa sul divano (come capita anche a me quando cerco ispirazione), e inoltre mi sono concentrato anche su elementi più da band perché lui nel film ha un band, dove si riconoscono i Daiana Lou. Quindi sicuramente la sua figura è stata una guida.
Hai suonato tutti gli strumenti per questa soundtrack. Per chi conosce la tua storia non è proprio una sorpresa. I live degli Afterhours ti hanno sempre svelato come un giocoliere tra vari ruoli. E’ proprio la tua attitudine che hai importato nella composizione della colonna sonora, giusto?
Mi diverte molto saltare tra gli strumenti. Pianoforte, basso, batteria mi servivano più dal punto di vista funzionale, per avere una visione anche ritmica delle mie idee per la colonna sonora. Poi ho constatato che la soluzione da one man band reggeva, e quindi alcune cose un po’ sbilenche sarebbe stato giusto lasciarle così, e sono diventate anche un marchio di fabbrica del tutto. Comunque, al di là della perizia tecnica che un artista ha sugli strumenti che suona da una vita, credo sia fondamentale la libertà di esprimere la propria creatività e cimentarsi in vari strumenti alla ricerca di un suono, di un’identità funzionale ad un’atmosfera, andando dunque oltre una certa scala suonata e posizionata in maniera giusta. Non è quello che cercavo. Ho usato tanti strumenti perchè avevo bisogno di quelle frequenze. Poi l’insieme mi è sembrato giusto non snaturarlo.
Ti sei spogliato delle sole vesti di violinista. Con l’obiettivo di raccontare dei paesaggi sonori in contrasto con il filo narrativo delle immagini, ti sei cimentato in diversi generi e diversi strumenti, perché alla fine tutto era lecito se funzionale all’idea di atmosfera che volevi creare, come ci siamo detti. Questo approccio l’hai meditato o è stato istintivo durante la scrittura?
E’ stato molto istintivo, sono partito inizialmente col cercare un suono, che a livello primordiale è stato quello della chitarra acustica, che è anche lo strumento che più mi fa compagnia in quest’ultimo periodo. Molte cose di Folfiri o Folfox sono partite da una chitarra acustica o al massimo distorta. Ci sono molte cose che sono nate da questo strumento, che per me è una grande fonte d’ispirazione. Sono partito da lì e poi ho fatto di necessità virtù, pensavo in un primo momento di mettere tutte queste idee in bella, coinvolgendo musicisti ad hoc per svilupparle, ma poi mi sono accorto che lavorando da solo stavo andando verso qualcosa di molto identitario e difficilmente riproducibile, quindi con gioia mi sono fermato a questo stadio prendendomi tutta la responsabilità sulle spalle.
C’è molto fingherpicking nelle trame di chitarra, a parte Nick Drake, a quale altro chitarrista ti sei ispirato? Ho intravisto un po’ il Ry Cooder di Paris Texas… o Alexi Murdoch, che firmò la colonna sonora di American life di Sam Mendes…
Come no! Sono entrambi ottimi riferimenti. Mentre per Ry Cooder possiamo parlare di un’istituzione, per Alexi Murdoch hai citato proprio un artista che in un certo periodo ho ascoltato molto e, senza dubbio, è stato per me fonte d’ispirazione. Non sono comunque riferimenti specifici, bensì ascolti che ho metabolizzato nel corso degli anni.
Penso a L’ironia dei sentimenti, sei riuscito in una ballad così intensa che non ha bisogno di parole…
Grazie! Lo sai che molti mi hanno detto che alcuni brani di questa colonna sonora meriterebbero uno sviluppo canzone? Ne prendo atto, lo capisco ma penso che questi brani abbiano la loro dimensione e sublimazione con l’accompagnamento delle immagini e che la loro migliore veste sia proprio quella strumentale. Ho scoperto che questo mestiere ha la sua responsabilità e la sua dignità, tanto è vero che il compositore della colonna sonora fa parte dei quattro autori di un film. Sento questa colonna sonora intimamente connessa al nostro film. Mi hanno detto che posso dire così, che è anche il mio film, proprio per il ruolo che ho ricoperto.
Una domanda fuori contesto. Il violino nel rock cosa aggiunge? Cosa ti ha spinto tanti anni fa a sperimentare questo strumento classico nell’ambito di strutture rock?
Esco fresco fresco dal concerto di Nick Cave che mi ha letteralmente sconvolto, mi ha emozionato, ferito e curato e… tante altre cose ti potrei dire per quanto è stato intenso. E’ stato un ritorno al mio mentore Warren Ellis che mi folgorò nel 1997 in un concerto dei Dirty Three a Roma. Mi colpì questo folletto diabolico, mi cambiò la prospettiva e mi fece capire che potevo andare con quello strumento al di là di quello che stavo cercando. Rimasi a fine concerto a fronte palco a prendere appunti di memoria fotografica sulla sua strumentazione, all’epoca non c’erano i cellulari con fotocamera! Da lì cominciai un percorso, da lì capii che volevo indagare quella parte dello strumento e violentare tutto il mio retaggio classico preservando la cifra distintiva del violino nel rock che è quella di tenere sempre le melodie tese e distese, così come nessuno strumento riesce a realizzare, solo l’EBow sulla chitarra può riprodurre quel genere di suono. Amo la possibilità che ho con il mio archetto di tenere delle note per creare e aprire degli scenari sonori che nel rock sono impensabili con altri strumenti. Poi mi interessa anche esplorare la parte noise del violino, per generare disturbo e fastidio sonoro. Questi sono i due ambiti nei quali il violino fa proprio la differenza rispetto ad altri strumenti, anche perché ha una paletta di frequenze incredibili, può essere uno strumento super noise, può diventare quasi una seconda chitarra elettrica o può vestire i panni dello strumento classico nelle ballate, fornendo un’accezione più nobile ai brani. Ricopre sicuramente un ruolo importante in una band dedita al rock… certo in una band di cinque elementi come gli Afterhours è difficile prendersi questo spazio, ma diciamo che mi difendo bene!
Cosa pensi di operazioni come quella di David Garrett? Contaminare i due mondi per far scoprire la classica ai giovani?
Non le apprezzo. Le vedo non funzionali a quell’intento. Penso che per questo scopo sarebbe meglio far assistere i giovani ad un concerto di Paganini eseguito da grandi interpreti solisti della classica contemporanea come Maxim Vengerov e Leōnidas Kavakos. Questo non perché Garrett non sia un ottimo violinista, è un gran virtuoso che però ha smesso di lavorare sul timbro, sulla cavata del suono che sono aspetti fondamentali della classica ed ha spinto molto nella direzione dello spettacolo, dello show. A me questi progetti non interessano. Penso lo stesso anche di altre operazioni, come quella zigan-rock di Ara Malikian.
Come ti trovi nei panni di producer per il secondo anno ad X-Factor? Si può intervenire sulla tendenza del mondo mainstream?
Non riesci a modificare quell’indirizzo che è nel DNA del format del programma, quel dispositivo regolamentare non lo sradichi. Però la nostra presenza ha portato molte band a presentarsi, sono arrivate già solo per il fatto di essere giudicate da Manuel e magari con la speranza di lavorare con lui lungo il corso del programma. Vedi i Ros. Trovo molto importante la frequentazione quotidiana con i ragazzi, che nel caso specifico di quest’anno fanno parte di band giovani, parlando il nostro stesso linguaggio riescono ad assorbire come delle spugne. Si può crescere in modo esponenziale dove si instaura un buon rapporto, che è fondamentale proseguire anche dopo, quando si spengono le luci di X-Factor. Eva e Biagioni hanno continuato la loro strada avendoci come riferimento durante quest’anno, li abbiamo supportati moltissimo.
Come vivi il trentennale degli Afterhours tu che hai partecipato ad un terzo di questa storia ma l’hai vissuta con tale intensità da essere stato subito parte essenziale?
Vivo il trentennale con grande emozione, anche per l’antologia in uscita il 17 novembre. Si tratta di un oggetto bellissimo. Ci saranno una versione base ed un’altra deluxe con un bellissimo libretto fotografico e con un testo altrettanto bello di Federico Fiume. Ho visto tantissima emozione anche in Manuel, che giustamente ha compilato la maggior parte del lavoro, perché stiamo parlando soprattutto della sua vita musicale.
Trovo molto indicativa la scelta della foto di copertina. Fa capire come nella scrittura di un artista restino delle immagini della propria vita…
Sì, delle immagini ancestrali, un imprinting che ti segna. Siamo felicissimi di questo periodo, è meraviglioso l’affetto del pubblico che ci sta arrivando, sia per l’uscita del singolo Bianca che per le prevendite partite a bomba per la data celebrativa prevista per il 10 aprile al Forum Di Assago. Sta diventando una sorta di chiamata alle armi per tutti i fans, quelli storici e quelli dell’ultima ora.
Collabori con tanti artisti. In quest’ultimo periodo so che hai collaborato con i partenopei EPO. Cosa nei pensi della nuova scena musicale napoletana, tu che arrivi anche da quella romana dell’Angelo Mai?
C’è un bellissimo fermento. Sono stato da poco a Napoli per visitare lo Scugnizzo Liberato (centro sociale di Salita Pontecorvo, ndr), un posto fantastico dove ho rivisto quella unità d’intenti e forza propositiva che caratterizzava il collettivo Angelo Mai di Roma. Sicuramente con Manuel organizzeremo qualcosa lì. Penso che proprio in questo periodo a Napoli si stia vivendo un bel momento. Ho degli amici che non sono di primo pelo ma stanno uscendo meritatamente con un po’ più di gratificazione e successo, come Francesco Forni e Ilaria Graziano, Gnut, con cui ho collaborato anni fa e che resta un fratello. Ho avuto il piacere di conoscere i nuovi brani per la prima in volta napoletano degli EPO grazie a Daniele “Il Mafio” e mi è talmente piaciuto il progetto che ho voluto prestare il mio archetto in alcuni brani e sono uscite delle cose veramente intense. Spero che abbia il meritato successo questo lavoro che hanno fatto perché è veramente speciale. Io sono innamorato del suono della lingua napoletana. C’è un potenziale enorme che si è un po’ perso nel tempo rispetto all’epoca d’oro degli Almamegretta, ma sembra che ci sia un buon ritorno al dialetto ed è giusto così perché i dialetti sono lingue nobili che devono rimanere vive, soprattutto dal punto di vista artistico.
Ad un buon intenditore si chiede sempre consiglio. Consigliaci un buon disco da ascoltare, senza vincoli di tempo!
Sicuramente Waiting on a Song, il disco solista di Dan Auerbach. Un disco che ho amato tantissimo. E’ l’esempio di come, secondo me, si dovrebbero fare i dischi pop nel 2017. Vi piacerà, è fatto con la testa, con una certa cultura musical e con il gusto del sound, con il manico strumentale e produttivo di un certo livello ma anche con la capacità di essere freschi e attuali, di giocare con la melodia nazional-popolare, mantenendo comunque uno standard qualitativo altissimo. Lo trovo un disco bomba, centratissimo.