Abbiamo incontrato Davide Combusti in occasione del primo concerto del tour di Nowhere. All’Off di Bologna si presenta sul palco con Mattia Boschi, ma prima del concerto, davanti ad una birra, ci concede venti minuti del suo prezioso tempo che, considerando quanti progetti e lavori riesce a intraprendere, pare indubbio scorra più lento che per tutti gli altri esseri viventi.
Ancora una volta veniamo travolti dal suo entusiasmo creativo. Gli chiediamo di Nowhere, la colonna sonora di un film mai realizzato, e scopriamo tantissimi dettagli di questo progetto rimasto nell’ombra per otto anni. E’ stato poi inevitabile parlare anche del suo prossimo album e di altri progetti che non lo tengono mai fermo.
Mi è capitato già qualche tempo fa di discutere intorno a questa affermazione: un tempo si pubblicavano i dischi e poi si organizzavano i tour per promuoverli mentre ora accade spesso il contrario, quindi si pubblicano dischi per “giustificare” dei tour. Quello che proponi tu è un caso ancora più particolare…
Addirittura questo è un film, che ancora non c’è! O meglio: c’è la sceneggiatura e ci sono persone che lo vogliono produrre. Però una mattina mi sono svegliato con il desiderio di suonare dal vivo la colonna sonora del film, così l’ho scritto su facebook e mi sono state richieste quattro date in mezz’ora. Ho pensato che dovevo parlarne con qualcuno e da lì è nata questa collaborazione con La Fabbrica. Pensavo sarebbero state fissate poche date in questo periodo in cui lavoro alle rifiniture del nuovo disco… invece le date sono diventate venticinque!
Quando è nata l’idea di questa colonna sonora?
L’idea è nata otto anni fa. Ancora prima del secondo album. Avevo pensato che mi sarebbe piaciuto lavorare su un film musicale: escludendo qualcosa negli anni ’70 ed altro poco legato ai musical, per l’Italia sarebbe stata praticamente una novità. Inizialmente all’etichetta è piaciuta molto questa nuova idea, ma un cambio alla dirigenza ha portato a nuove politiche aziendali e quindi all’abbandono del progetto. Decisi così comunque di far uscire la colonna sonora dimezzata chiamandola Best wishes.
Questo fatto mi è sempre però rimasto in sospeso: la seconda metà era rimasta inedita, quindi a distanza di tempo mi è venuta voglia di portarla fuori, farla conoscere. Inoltre ora la Sony si è interessata alla produzione, quindi…
In ordine, come si svilupperà? Prima un disco, poi un film?
Può darsi… ma prima dovrebbe uscire il mio nuovo disco. Poi ci sono altre cose che ruotano attorno a Nowhere. Per esempio nelle prime quattro date di questo tour sarà con noi una regista, Alice Iammartino, che realizzerà un documentario per raccontare cosa è Nowhere, non solo il lato musicale ma anche la storia. Lei ha letto la sceneggiatura, quindi nel montaggio saranno inseriti dei lanci alla storia.
La storia come si sviluppa? Qual è il protagonista?
Il protagonista è un giovane mod che manca l’appuntamento con la propria morte e si ritrova con la capacità di uccidere tutto ciò che tocca e finisce per non toccare più nessuno. E’ piuttosto desolante, ma ci sono anche diversi altri personaggi già conosciuti nei brani di Best whishes. Ad esempio The wrestler: un lottatore che abbandona la figlia (episodio raccontato in When your father, il prologo del film musicale) e la figlia vincerà l’agorafobia travestendosi da uomo diventando Johnny. Johnny poi diventerà il miglior amico del protagonista, Andy (raccontato in Post Atomic Dawn). L’intreccio narrativo è molto articolato.
Quindi in Best wishes i brani erano raccolti in modo disordinato, ma in realtà erano elementi di un racconto che non era visibile. Tanti puntini legati da un filo invisibile?
Sì, avevo cercato di mischiarli per non rendere il disco un racconto mozzato, e con Nowhere si va a riordinare e completare il tutto. Spero che la storia musicale venga capita, nonostante la lingua inglese. Oltre a ciò che sarà il film, mi è stata anche chiesta per un adattamento teatrale e uno sceneggiatore di fumetti sta lavorando per realizzarne un romanzo e annessa versione a fumetti. Tutta questa attenzione è arrivata dopo una sola data a Roma quindi fa ben sperare vedere che il progetto si sta allargando. Pensa al regista di Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti – ndr), aveva tenuto quella sceneggiatura ferma per sei anni, e poi ha fatto incetta di David di Donatello!
La collaborazione con Mattia Boschi com’è nata e sviluppata?
Ci conosciamo dal 2009, abbiamo diviso il palco allo Spaziale Festival con i Marta sui Tubi, poi l’ho inserito nella band insieme agli altri ragazzi. Inoltre in ambito cinematografico, quando scrivo colonne sonore, lo chiamo sempre per le parti di violoncello ed archi in generale. Siamo molto amici ed anche simili di carattere. So anche che è una persona molto aperta ai progetti particolari. La sceneggiatura lui l’ha letta proprio oggi in treno: quando è arrivato mi ha detto “Sei pazzo! Questa cosa è tipo Lynch, la amo!”.
Anche nella nostra precedente chiacchierata ricordo dell’entusiasmo che contagia tutti i tuoi lavori e chi ti sta intorno. Mi parlavi di mille progetti, presenti e futuri…
Sì è vero, ho lavorato a tante cose: sceneggiature, colonne sonore e brani per film e documentari; collaboro tantissimo con Michele Braga (che ha fatto le colonne sonore di Lo chiamavano Jeeg Robot) e con lui ho questa società di produzione per talenti emergenti che si chiama Odd Dog Records, abbiamo prodotto il disco di un cantautore romano che si chiama Lopez; poi accompagno in tour alla chitarra Sarah Dietrich.
Dicevi che hai lavorato recentemente anche ad altre sceneggiature…
Sì, una si chiama Alimentari Watson, e un’altra si intitola Il grande salto. Quest’ultima è ambientata a Berlino Est negli anni ’80. Racconta di un uomo che tenta di evadere dalla Berlino Est saltando con l’asta. Lui non n è capace ma ha questa visione da seguire, così finisce per allenarsi con la DDR per le Olimpiadi di Los Angeles ’84. Peccato che poi non partecipi per via del blocco sovietico che decide di rispondere al precedente boicotaggio statunitense alle Olimpiadi di Mosca ’80.
Tutta questa creatività a largo spettro da dove nasce?
Forse dalla noia! Cerco di colorare la mia vita con cose un po’ particolari, dando il mio apporto umile. Io propongo, poi se qualcuno accetta sono contento. Ho un’idea un po’ diversa sia di musica che di cinema. Nel cinema non mi sono ancora buttato, ma se mi chiedessero di girare un film lo farei sicuramente in modo personale. Ho la passione, e mia caratteristica è la visione d’insieme. Per Nowhere, oltre che alla sceneggiatura ho realizzato lo storyboard scena per scena… poi in realtà non so nemmeno accendere una lucetta o fare una foto decente (infatti su Instagram ho pochi seguaci!). Però leggendo manuali di regia ho notato che, seppur importante, non è indispensabile saper prendere in mano una telecamera ma piuttosto conoscere le teorie di azione e reazione, sapere come trasmettere ciò che si ha in testa. In fondo Lynch è nato come pittore, poi solo dopo ha sviluppato il linguaggio cinematografico.
Si tratta di passioni mirate e radicate o scoperte con il tempo?
Il mio nome d’arte non può che tradire la mia grande passione per il cinema. In ogni caso ho sempre pensato che ci sono due approcci esistenziali. Il primo è “artigianale”: impari un metodo e poi rappresenti ciò che hai studiato secondo le regole, il mio approccio invece è più “anarchico”, con la ricerca di un linguaggio personale, così nella musica come nel cinema.
Però, fammi capire: la scelta di leggere un manuale di regia cinematrografica è frutto di semplice passione nella quale poi hai scoperto di avere anche le capacità, oppure la scelta di fare quella lettura è dovuta alla volontà di acquisire quelle specifiche capacità?
Io l’ho letto perchè mi era stato richiesto di fare un film su una mia sceneggiatura. Una grande società assicurativa aveva offerto una barca di soldi per questo, la produzione era impazzita. Poi quando la proposta arrivò in Germania, alla sede principale, tornò indietro con la richiesta di modificare e rendere il lavoro un film sul mondo delle assicurazioni. Ovviamente ho detto di no, anche se mi avrebbero ricoperto d’oro. Sia nella musica che nel cinema cerco un percorso di coerenza, altrimentiò ci sto male.
Ad ora a cosa tieni di più? Da quale dei tuoi progetti attendi con più piacere riscontri positivi dalla gente?
Nowhere è un progetto di otto anni fa, io lo vivo come un revival perchè a me non è nuovo anche se per tutti invece lo è. Il prossimo album è qualcosa che sicuramente mi renderà molto fiero, è più vivo, nel presente. Emotivamente mi farà più male suonare quei brani: è un disco autobiografico e porta con sé gli ultimi due anni della mia vita nei quali ho vissuto due lutti importanti e situazioni personali difficili da superare. Ogni volta rivivrò quelle sensazioni e sarà tostissimo suonare quei brani.
Per questi nuovi brani hai mantenuto la strada di 1969, il tuo precedente album? A lavoro quasi ultimato riscontri delle influenze musicali che hanno lasciato un segno nei brani?
Non so dirti se la strada è la stessa. Il canto è ancora in italiano, ma generalmente il lavoro mi appare più maturo… forse lo dico per tutti i dischi! Per certi aspetti è più asciutto. Di influenze, invece, ne avrò miliardi, però non riesco ad innamorarmi al punto tale da seguire un filone preciso piuttosto che un altro. Ci saranno brani più lenti, altri più rabbiosi, tempi dispari, ma allo stesso tempo mi sembra che arrivino prima.
Il disco ha già un nome? Si può sapere?
Al 90% un nome ce l’ha. C’è sempre quel 10% di probabilità che all’ultimo venga cambiato quindi meglio non dire nulla. Mi piacerebbe portare avanti quel titolo lì perchè è forte, poi chissà se qualcuno mi farà rinsavire.
Tornando a Nowhere, cosa vorresti che le persone trovassero in quel “luogo”?
Vorrei che ascoltando i brani, assistendo al concerto, le persone vedessero il film. Che non sarà quello esatto che verrà realizzato, ma vorrei che questi brani emozionassero e portassero ad un altro livello di percezione. Io ogni volta che li suono, ovviamente, mi vedo il film… spero di contagiare qualcuno con questa visione!