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Il gusto della semplicità: intervista a Milorad

L’ep Drops nasce dal coraggio di vedere in faccia la vita, senza precludersi nessuna domanda scomoda, senza paura di farsi trascinare dalla corrente del fiume dei ricordi. Ancora una volta la produzione di Giuliano Dottori esalta ed eleva quanto basta le strutture armoniche dei cinque pezzi di questo piccolo magico ep, capace di distillare in poche canzoni tante emozioni e tanti colori che ad album interi super prodotti e promozionati non riuscirà mai. Abbiamo incontrato Milorad per conoscere meglio la sua musica così evocativa.

Perché Drops come titolo del tuo nuovo Ep?
Possono essere gocce di acqua, di vita, di sangue. Possono racchiudere un microcosmo vitale, possono rappresentare tutti i nostri microcosmi personali che si incrociano, immersi in una dimensione universale che ci ingloba, che lo vogliamo o no.
Sulla copertina c’è una goccia di colore rosso, può essere una goccia di sangue, il sangue versato nelle guerre, nei tentativi di ribellioni sociali costantemente repressi dal potere, nello sfruttamento disumano di intere fasce di popolazione per il privilegio di pochi. Penso anche al sangue di chi per poter trovare una possibilità di sopravvivenza emigra per il desiderio di condizioni di vita più umane.
La goccia può rappresentare tante dimensioni: esistenziale, personale, particella con qualità fondamentali per i cicli vitali della natura e della vita su questa terra. Pensa al senso profondo della canzone, racchiude in sè un mondo di vissuti, ricordi, osservazioni, emozioni, nostalgie. Ogni canzone è una goccia piena di vita e vitalità, che porta colore e tanto altro alla nostra vita…

Nelle cinque gocce di questo Ep sembrano aleggiare costantemente due anime, quella post-rock delle parti strumentali e quella post-punk della parte cantata. Il minutaggio non corto dei brani e la forma canzone talvolta non rispettata sembrano voler sottolineare l’urgenza emozionale che si cela dietro la composizione. Possiamo dire che sono appunti di vita interiore? Come sono nate queste canzoni?
Sono costantemente alla ricerca di una certa libertà ed essenzialità nel manifestare con la musica il mio sentire, il mio percorso psicologico. Aggiungi l’elaborazione e l’assimilazione di tutto quello che  quotidianamente ricevo, come influenze musicali, culturali. Tutto porta ad una sorta di materiale che lentamente prende forma, e si sviluppa all’inizio come una traccia primaria che con il tempo  rielaboro. A volte una canzone prende forma da sola, come se si sviluppasse e modificasse in modo autonomo. Capita che una melodia arrivi quasi come un frutto maturo che cade da una pianta. Nelle canzoni è riflesso tutto il mondo di esperienze, di sensazioni vissute, di percezioni, di ascolti, che cerco di trasmettere nel modo più vero, in una forma forse scarna o semplice, ma che credo e spero abbia una sua “Verità” espressiva, libera da finalità compiacenti e dai gusti del momento.

Ogni tua uscita è sempre nel formato Ep. Perché non un album? Forse perché è tutto frutto di una tua esigenza espressiva fuori da ogni logica promozionale?
Per me suonare è una sorta di viaggio/spazio personale che ho sempre cercato di mantenere libero da pressioni e condizionamenti esterni. Credo che un Ep permetta di raccontare i cambiamenti in una manifestazione più diretta e con possibilità di riflessione o rielaborazione più gestibili, essendo meno vincolati dai “tempi” di un progetto più articolato.
Con i miei tempi lunghi un album sarebbe complicato. Ho bisogno di fotografare il momento delle mie sensazioni.

Nei tuoi brani si sente molto lo spirito di artisti del passato come Ian Curtis e Lou Reed, ma non solo, si sente anche l’influenza di band moderne come gli Over The Ocean. Cosa ci deve essere nella scrittura di un songwriter per essere credibile ed emergere in questi giorni dove il canale musica è intasato?
Sono contento che si possano sentire queste influenze che hanno lasciato in me questi musicisti. Sai, li ho ascoltati molto in passato ed in questo ultimo periodo. La loro traccia in me è molto profonda ed ormai fa parte del mio substrato musicale inconscio. In generale ho sempre amato molto l’espressività diretta e libera del punk e del post punk.
Trovare uno spazio in questo nostro periodo, in cui ci sono infinite proposte di livello e qualità alta, non è facile. Uno deve suonare perchè ne sente il bisogno profondo, per  nutrire ed esprimere la propria sensibilità creativa, cercare di farlo nel modo piu vero e sincero. Suonare per sè, per una persona  o 100, dovrebbe essere la  stessa cosa, un modo di esprimersi che appaga. Mesi fa a Valencia mi sono imbattuto in un folksinger che suonava per strada, sono rimasto più di un’ora ad ascoltarlo, e devo dire che mi ha lasciato un ricordo vivo e pieno, molto piu di quello di altri concerti canonici acui ho assistito.

Ancora una volta la produzione artistica di Giuliano Dottori. Sempre un delicato apporto tutto incentrato a far emergere la forza emotiva senza troppi orpelli sonici. Mi racconti questa collaborazione?
Conosco Giuliano da quasi quattro anni, è un persona estremamente sensibile e molto rispettosa del mondo personale altrui, ha la capacità di intervenire delicatamente nel progetto e di individuare precisamente il percorso e lo sviluppo di ogni pezzo, definendolo e facendolo risuonare per sottrazione, in modo che pochi suoni e strumenti sostengano il brano, lasciando più spazio alle melodie e alle parole. Riesce con questa delicatezza ad enfatizzare la struttura del pezzo in tutte le sue parti, lasciandone intatta la natura profonda, la sua verità. Ho una grande stima di Giuliano e devo ringraziarlo per tutto il supporto ricevuto in questi anni, credo si sia creata un amicizia che, con ormai anni di lavoro, si è strutturata in una capacità di comprensione  molto reale.

Se dovessi descrivere questo disco attraverso delle immagini di un viaggio, quali sceglieresti? Mi permetto di porti questa domanda perché so che hai viaggiato molto…
Ho molti ricordi ed impressioni di luoghi in cui sono stato, ma in particolare ho sempre presenti in me due immagini: lo sguardo intenso, silenzioso, pieno di forza e dolcezza di un Sadhu nella piazza dei templi a Kathmandu, un luogo pieno di vita, colori ed architetture bellissime; nei pressi di Kathmandu, una scalinata lunghissima che porta al tempio Swayambhunath, o Tempio Delle Scimmie, mi sono trovato nel mezzo di una processione di monaci che risaliva la scalinata all’imbrunire, il tempo si era annullato, gli unici suoni erano le litanie ipnotiche dei monaci e i versi delle scimmie che vivono lì intorno, la penombra avvolgeva tutto, in cima alla scalinata la cupola dorata del tempio con due occhi dipinti che ti fissavano da lontano, un’immagine coinvolgente, in cui non esisteva altro che la magia e la forza piena di “Senso” di quel luogo onirico.

Overnight – Video di Monica Onore

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